Mobilitarsi per l’Università durante e nel post pandemia

Alcune considerazioni sull'università nella pandemia del collettivo universitario Li.S.C. - Liberi Saperi Critici di Venezia

25 / 5 / 2020

Alcune considerazioni sull'università nella pandemia del collettivo universitario Li.S.C. - Liberi Saperi Critici di Venezia

Per parlare di Università ai tempi del coronavirus dobbiamo partire da quello che l'Università era già prima. 

Quello del tornare alla cosiddetta normalità è stato un mantra negli ultimi mesi, ma di cos'era fatta questa normalità? Le riforme degli ultimi decenni hanno radicalmente cambiato il settore dell'istruzione pubblica, dalla scuola elementare fino ai massimi gradi di specializzazione, portando allo smantellamento dell’istruzione stessa e alla riduzione della qualità dell’insegnamento e dello sviluppo dei saperi critici.  In questo contesto, le conseguenze tangibili della pandemia e di ciò che si trascina dietro sono assolutamente funzionali al sistema per come era prima e per come era stato pensato. Questo appare evidente  nel momento in cui viene emanato un decreto legge che punta a prendere provvedimenti economici straordinari (intesi come fuori dall'ordinario)  miranti prettamente all'ampliamento della didattica online , impoverendo ulteriormente un sistema accademico che vuole il valore quantitativo al di sopra di quello qualitativo sempre e comunque. Come se tornare a dar vita agli spazi del sapere non fosse una possibilità nemmeno contemplabile per il prossimo futuro. A questo si aggiunge il fatto che questi provvedimenti economici di straordinario hanno soltanto l'uscita da una consuetudine fatta di tagli e privatizzazione. 

Anni di mobilitazioni e rivendicazioni studentesche non sono riuscite a smuovere gli organi amministrativi sullo stanziamento di provvedimenti economici, anni di crolli, svendite e speculazioni sui luoghi del sapere. Ora quella stessa somma già da tempo necessaria viene predisposta come cerotto momentaneo per tentare di coprire una voragine di cui fino ad ora nessuno pareva preoccuparsi.

Stanziare delle somme più o meno ingenti una tantum continuerà ad essere totalmente inutile fino a quando non avverrà una vera e propria riforma strutturale dell'Università e dell'istruzione pubblica tutta.

Abbiamo ragionato molte volte, in questi mesi, sulla necessità di ripensare il mondo post pandemia, un mondo che inevitabilmente va ricostruito e non ricopiato da quello precedente. Al di là delle singole vertenze legate alla contingenza, le nostre critiche e mobilitazioni puntano a ri-immaginare l’Università in toto, come fucina di sapere critico, libera, pubblica, di massa. Venezia è il simbolo delle contraddizioni che caratterizzano il capitalismo e le sue nefaste conseguenze e Ca’ Foscari si inserisce perfettamente in questa cornice. Un ateneo che ha saputo sfruttare quelle riforme che miravano alla distruzione di Università e ricerca, trasformandosi in un’azienda schiava del suo brand, fagocitata dalla propria Fondazione, mostro insaziabile dedito al profitto. 

La pandemia e la crisi che ne è conseguita hanno messo in luce le disuguaglianze che animavano ciò che all’inizio di questo testo veniva chiamato “normalità”: chi era povero è diventato ancora più povero, e anche chi riusciva in qualche modo a cavarsela si è trovato in grandi difficoltà. A far salire la rabbia e l’indignazione, la (non) risposta di Ca’ Foscari alle richieste del corpo studentesco; le dichiarazioni imbarazzanti del Rettore, che ha insultato le studentesse e gli studenti dell’Università che rappresenta, li ha scherniti sminuendo i loro problemi, per poi lanciare un crowdfunding, come se a sopperire alle mancanze della sua amministrazione dovessero essere le singole cittadine e cittadini. 

A chi in questa emergenza non ha perso niente e forse ha tutto da guadagnare,a chi decide sulle nostre vite determinandone la riuscita, abbiamo portato e continueremo a portare la forza delle nostre rivendicazioni. La chiusura totale di biblioteche, sedi universitarie e spazi in generale ci ha portati a dover ripensare il nostro modo di socializzare, discutere, mobilitarci. In quanto studenti e studentesse che hanno sempre cercato di portare avanti le proprie idee in maniera concreta e con i propri corpi, la chiusura di ogni spazio di ritrovo e confronto ci ha messo davanti alla necessità di trovare nuovi modi e strumenti per continuare a sentirci uniti prima, e a mobilitarci poi, alla continua ricerca di nuovi escamotage per unire le nostre esigenze alle nostre vertenze. Le lezioni on-line hanno duramente plasmato la natura di una formazione già corrosa da quella smania di concludere il proprio percorso di studi il più velocemente possibile, una smania sicuramente figlia dell’impronta neoliberale che l’Università ha perfettamente perseguito negli ultimi anni. Lezioni frontali, mal gestite, totalmente prive di discussione e analisi critica sono state – e sono – all’ordine del giorno. L’organizzazione di autoformazioni on-line è stata la risposta più naturale e semplice. Ritrovarsi, anche insieme a studenti che non sono parte del nostro collettivo, per discutere di temi ogni giorno nuovi, è stato una boccata di ossigeno in un momento in cui il mondo esterno ti obbligava a chiuderti in casa, a isolarti e a reprimere la rabbia normalmente sfogata con le nostre iniziative e azioni. L’utilizzo degli strumenti telematici è controverso per chi ha sempre basato le proprie lotte sull’essere uniti, sulla vicinanza e sulla presenza, ma il sottile equilibrio tra la distanza fisica e l’unione astratta del pensiero è stata la soluzione per oltrepassare quel blocco tanto pesante. E’ un equilibrio, questo, che continua a riassettarsi mano a mano che la situazione esterna muta. Ad ogni piccolo nuovo spiraglio tutto viene ulteriormente ribilanciato, in una corsa sfrenata che ha come obiettivo non il ritorno alla normalità, ma la mobilitazione contro un’Università e una formazione la cui vera faccia è stata totalmente svelata dal covid-19 anche a quegli studenti e a quelle studentesse che prima, complice la frenesia e l’ovattamento di tanti elementi, non l’avevano notata. E così stiamo poco a poco riportando i nostri corpi nei loro spazi naturali.

Lo abbiamo fatto, anche quando ancora non era concesso, perché l’Università che vogliamo è fatta di spazi fisici, liberi e attraversabili da tutte e tutti.  E’ fatta di assemblee, come quella di mercoledì 20 maggio al Laboratorio Occupato Morion, partecipata da tante e tanti,  da conferenze tenute da attiviste e giovani ricercatrici che offrono uno sguardo critico sul mondo, da giardini aperti disseminati di socialità e cultura e di iniziative, come quella del 6 maggio, quando, nel rispetto di tutte le norme sanitarie, abbiamo cercato di portare una lettera al nostro rettore, in cui chiedevamo risposte atte a tutelare gli studenti e le studentesse in questa fase di disagio sociale ed economico. 

Continueremo a mantenere, per poi scardinarla completamente, la sottile linea tra presenza e telematicità, continueremo a lottare per un diritto allo studio degno di essere chiamato tale, per un’università fucina di sapere critico e non di cfu, lotteremo perché il sapere creato da questa istituzione sia utile anche al territorio che la circonda, e non solo alla scalata di graduatorie, per un’università davvero pubblica. Continueremo a lottare anche per la città che abitiamo, per la residenzialità di noi studenti, per la nostra salute, per un trasferimento di saperi basato sul miglioramento del territorio e della vita e non sul profitto. Per questi motivi, e tanti altri, stiamo continuando ad organizzarci e a moblitarci. Lo faremo tra noi studenti e studentesse per continuare a contestare un’università che non ha preso alcun provvedimento reale di fronte alle problematicità portate dal corona virus, e lo faremo con i cittadini e le cittadine che abitano la città che ci ospita, Venezia, alla manifestazione del 13 giugno, il cui manifesto recita, tra l‘altro, che   “Venezia rinasce se scuole, università e ricerca sono fucine di pensiero libero e critico fuori da ogni logica di profitto e speculazione”

Lottare per un’università migliore ai tempi del distanziamento sociale comporta la ri-applicazione di quegli strumenti che hanno da sempre caratterizzato le nostre azioni, ma non significa di certo che ci fermeremo. Noi ci siamo, e ci saremo!