Ancora un'estate di suicidi nelle carceri italiane

Morire di carcere

di Aurelio Tutino*

27 / 8 / 2010

Il fenomeno dei suicidi in carcere rappresenta probabilmente l'apice del vastissimo panorama di problematiche sociali relativo al sistema detentivo italiano. Non è facile affrontare questo tema senza rischiare di rifugiarsi in una lista di dati di matrice meramente statistica che rendano però chiare le dimensioni del fenomeno.
Si potrebbe parlare di una vera e propria strage che lo stato italiano perpetra in maniera quanto mai volontaria se si pensa che dal 2000 ad oggi, o quantomeno al 26 agosto (dato dell'ultimo suicidio a Sulmona) le morti in carcere sono 1.715.
Di queste oltre un terzo sono rappresentate dai suicidi, per il resto si parla di assistenza sanitaria disastrata, di overdose o di morte per “cause non chiare”, definizione che ad esempio, se non avesse avuto risalto mediatico sarebbe toccata alla tragica vicenda di Stefano Cucchi.
Dall'inizio di quest'anno Raffaele Panariello è il 43° di una macabra conta che se mantenesse questa frequenza supererebbe le più tragiche previsioni. Aveva 30 anni. Pochi giorni prima Matteo Carbognani di 34 anni è stato trovato morto , impiccato nella sua cella del carcere di Parma dove aveva trascorso gli ultimi sei anni, ne rimanevano due ancora da scontare.
La propensione al suicidio è infatti inversamente proporzionale alla speranza di rimessione in libertà. Più il detenuto è giovane, la posizione giuridica non particolarmente aggravata, maggiori sono i rischi che esso avvenga, nonostante la speranza di una rapido inserimento nella cosiddetta società civile.
Un gran numero fra questi sono i “suicidi annunciati”, già tentati o facilmente ipotizzabili ed evitabili se solo fosse previsto un lavoro di monitoraggio.
Ma come risaputo la quasi totalità delle case circondariali sul territorio italiano opera in una condizione di completa illegalità; carenze strutturali ,mancanza di fondi e del personale previsto rendono impossibile qualsiasi attività volta al recupero sul piano sociale e lavorativo del detenuto. La maggior parte dei sopracitati “suicidi annunciati” vede come vittime sopratutto soggetti sottoposti per la prima volta al regime detentivo. È facile capire in che modo questo possa accadere, è facile immaginare che chi non abbia mai avuto esperienze di carcere si trovi di fronte ad una condizione di vita totalmente inumana e fuori dalla legislazione di qualsiasi stato di diritto.
La vita all'interno delle strutture penitenziarie si presenta al primo impatto in tutto il suo abominio, come totale sottomissione della proprio volontà ad un regime totalizzante.
Se solo si pensa alle carenze strutturali in un carcere come quello di Poggioreale è chiaro come non si riesca a vivere rinchiusi per più di 22 ore al giorno in spazi che rendono impossibile qualsiasi forma di convivenza. Le celle, che per normativa europea dovrebbero prevedere 7 metri quadrati per ogni detenuto non ne consentono nemmeno la metà arrivando a casi limite per cui in stanze di poco più di 30 metri quadrati vengono stipate oltre le dieci persone. Ed è trascorso quasi un anno dalla sentenza della Corte europea dei diritti umani che ha condannato l’Italia per aver detenuto persone in meno di tre metri quadri: la violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea, un’ipotesi di tortura, “trattamento inumano o degradante”.
Le condizioni igienico sanitarie non sono per nulla garantite ed infatti capita sovente che il wc sia posizionato vicino al piano cottura o adiacente ai letti. Le docce in diversi padiglioni sono possibili solo due volte alla settimana. L'assistenza sanitaria è pressocche inesistente e le infermerie sono mal fornite di farmaci e di personale e questo tipo di carenza è tra le cause principali delle morti in carcere.
Il personale addetto alla custodia non è qualificato a svolgere altre mansioni oltre al compito di sorveglianza, mentre quello addetto alla rieducazione ed al benessere psicologico dei detenuti è carente e sono poche e sporadiche le ore riservate per questo genere di attività.
La volontà viene resa nulla facendo si che il detenuto per qualsiasi necessità debba chiedere il permesso ad un agente di custodia e rimettersi solo ed esclusivamente alla sua voglia di accondiscendere alla richiesta. Ci si trova cosi di fronte ad una realtà che di umano ha ben poco , totalmente privato di qualsiasi logica individuale il detenuto viene assorbito dall'asfissiante totalizzazione del regime carcerario.
Queste problematiche sono solo una piccola parte delle cause scatenanti che ogni anno portano ad un cosi elevato numero di suicidi all'interno delle strutture penitenziarie.
Lo stato italiano, pienamente consapevole di quanto accade all'interno delle carceri, continua a perpetrare questa violazione dei diritti umani che giorno dopo giorno si intensifica.
Basti pensare solo a due leggi varate da questo governo per capire come il problema del sovraffolamento non sia mai stato preso in considerazione ma anzi pesantemente aggravato. Con la legge fini-giovanardi sulle sostanze stupefacenti e con la legge bossi-fini sull'immigrazione il numero già straripante della popolazione carceraria è aumentato di oltre terzo. Per reati che rappresentano già di per sé una violazione dei diritti civili.
È intollerabile che nei prossimi tre anni ,dopo aver già ridotto di un miliardo di euro gli stanziamenti al comparto sicurezza con la legge 133/2008, il governo sottrarrà al sistema penitenziario almeno altri 600 milioni di euro per rinvestirli nella costruzione di nuovi padiglioni e nuove carceri. Il piano proposto dal ministro Alfano infatti vede come soluzione a tutto questo la costruzione di nuove strutture detentive. Facile prevedere come questo tipo di politica porterà soltanto all'ampliamento delle problematiche stesse. La classe politica è totalmente sorda di fronte alle disperate grida di aiuto provenienti dalle oltre settantamila persone detenute, senza considerare i reclusi nei c.i.e.
Altro capitolo macabro è quello relativo al regime di 41/bis o di ergastolo ostativo in cui è annullata ogni libertà personale nella maniera più feroce e disumana annullando quasi totalmente ogni sorta di contatto con altri individui, rendendo impossibile finanche la sopravvivenza o eliminando ogni speranza di ritorno alla vita libera.
Non è esagerato sostenere che il sistema penitenziario italiano nel contesto europeo rappresenti la massima negazione dei diritti fondamentali dell'uomo, ed il tragico paradosso consiste proprio in questo: se da un lato lo stato crea una sovrastruttura per rieducare alla legalità, dall'altro la stessa diviene esempio massimo dell'illegalità espressa dallo stato stesso.
È quindi chiaro come il suicidio rappresenti una via di fuga all'insopportabile regime di vita a cui il detenuto è sottoposto e di cui le uniche responsabili sono le politiche governative, da sempre insensibili a questo genere di tematiche pur consapevoli di attuare indirettamente suicidio dopo suicidio, morte dopo morte una vera e propria strage.
Togliersi la vita spesso rappresenta l'estrema protesta, l'unica possibile, per sfuggire alla brutalità di un'esistenza con la dignità sottratta e repressa dietro le sbarre.
È fondamentale ed urgente far capire alle istituzioni che nessun regime detentivo è umanamente accettabile e che ogni forma di carcerazione è deteriorante nel processo rieducativo di ciascun individuo. È fondamentale interrompere la catena di morti annunciate restituendo a tutt@ diritti e libertà.

* Laboratorio Insurgencia, Napoli