Nardò, contraddizioni e indicazioni

9 / 8 / 2011

Mentre facciamo riunione nella sala cucina della masseria c'è una troupe di RaiTre che si aggira per il campo. Poco prima un ragazzo ubriachissimo inveiva contro tutto e tutti, etnie diverse dalla sua, bianchi, chiunque. Nel frattempo si sta cercando con infinita pazienza di convincere alcuni migranti a spostarsi da dove hanno costruito le loro baracche di fortuna. Spiegargli che sono fatte in una zona del campo in cui non è possibile farlo non risulta essere un argomento particolarmente convincente.

È una giornata tranquilla e, paragonata ai momenti passati, sembra tutto calmo.

Nardò, provincia di Lecce, Salento, Puglia.

 L'umanità che popola queste terre brulle a Nardò è variegata da tutti i punti di vista.

Per il secondo anno alla masseria Boncuri le Brigate di Solidarietà Attiva e l'associazione Finis Terrae gestiscono un campo ove centinaia di braccianti migranti originari dall'Africa giungono per la raccolta dei pomodori e delle angurie.

Sono numerosissime le etnie che abitano le tende blu nella parte organizzata della masseria così come tutti gli angoli e pertugi possibili e immaginabili. Tunisini, ghanesi, camerunensi, ivoriani, da anni in Italia con tutte le carte in regola, senza permesso di soggiorno, arrivati da poco, con famiglie che li aspettano nelle diverse città da cui si sono mossi per venire qui piuttosto che da soli, studenti universitari, laureati, senza scolarizzazione, giovani, giovanissimi, uomini di mezz'età, balordi furbi e malandrini come serafici e flemmatici lavoratori, sorridenti, gioviali, incazzati, polemici, consapevoli, determinati, stressati, senza speranza, fiduciosi...


Dentro le tre stanze della masseria analogamente si trovano persone che arrivano da tutte le città e da storie anche molto diverse. Le Brigate di Solidarietà Attiva insieme a Finis Terrae sono il riferimento di quest'esperienza e catalizzano la partecipazione di molti dei suoi appartenenti così come di gruppi e singoli che, in relazione con loro sui diversi territori, vengono a contribuire al di là delle specifiche situazioni d'appartenenza.

Qui c'è il meglio di quello che si potrebbe trovare, il suo contrario e tanto altro ancora.


Qui gli estremi si scontrano, convivono, si influenzano, si modificano e si ripropongono.

Per la prima volta s'è dato un evento unico: i braccianti si sono organizzati e messi in sciopero. Da soli, perchè le BSA sono fermissime sul principio di autorganizzazione dei migranti: le assemblee, le discussioni, le decisioni riguardo questa battaglia sono completamente in mano ai braccianti.

Ci sono stati, ad oggi, sei giorni di sciopero. I migranti, compatti, si sono astenuti dal lavoro. Hanno rifiutato di fare la raccolta dei pomodori, di essere sfruttati per 3/4 euro per ogni cassone che richiede un'ora e più di lavoro, d'esser costretti a pagare il trasporto al caporale di turno, il panino, l'acqua, perchè si è liberissimi di portarsi il cibo da soli ma così facendo il giorno dopo non si viene più presi a lavorare. Si sono organizzati tra le diverse etnie, scegliendo un portavoce per ognuna, svolgendo assemblee di campo in cui decidono insieme su quali punti costruire questa battaglia.

Chiedono paghe più alte, contratti veri, un centro per l'impiego al campo di Boncuri che permetta di saltare il passaggio obbligato dai caporali, trasporti messi a disposizione dalle imprese o dalle istituzioni, una legge sul caporalato che passi dalle sanzioni amministrative a quelle penali.

Rivendicazioni chiare, semplici, dirette.


D'altra parte la quotidianità in questo luogo è complessa, sfiancante, colpisce in tutta la sua drammatica umanità.

Ogni giorno ci sono decine di richieste d'aiuto di ogni tipo: c'è il presidio medico, con i volontari che cercano faticosamente di soddisfare ogni domanda, con continui invii negli ospedali della zona (è morto anche un ragazzo qualche giorno or sono e non certo per le condizioni di vita nel campo, come addirittura qualcuno a sinistra ha lasciato intendere). Le condizioni complessive di vita (e ancor di più di lavoro) sono le cause di continue malattie circolatorie, polmonari, di ogni tipo, per non parlare di quanto rischia “d'ammalarsi” la testa: depressione, abbruttimento, mancanza di fiducia e speranza, problemi d'abuso d'alcool, autolesionismo, aggressività sono rischi e compagni di viaggio quotidiani.

Il lavoro poi nel periodo della raccolta delle angurie mancava, con la raccolta dei pomodori è arrivato ma solo per una piccola fetta dei braccianti presenti. E allora, in queste condizioni, allo stremo delle forze, della sopportazione, delle proprie risorse economiche quanto interiori, farsi prendere dall'odio e dalla rabbia, magari verso chi è di fianco a sé, sarebbe la cosa più semplice.

Le risse, i litigi, le ruberie gli uni verso gli altri, sarebbe falso negarlo, sono una costante che accompagna, a volte in forma esplosiva, altre rimanendo sottotraccia, la vita di questo luogo. I volontari, i militanti che gestiscono questo campo camminano su di un sottile filo del rasoio tra tutto ciò. Ci vuole pazienza, dedizione, convinzione in sé e ancor più nella funzione di questo luogo innanzi tutto come esperienza non (solo) di solidarietà quanto di lotta, di battaglia politica. Generosi, pazzi, sorridenti e stremati, dal mattino sino a orari impossibili la notte, in un continuo aiutare, affiancare, ascoltare, assistere, partecipare. Con l'unica organizzazione possibile in questo luogo, che è quella che si inventa di giorno in giorno e che cambia continuamente rimodellandosi quotidianamente alla luce di ogni imprevisto e di ogni evento.

Ma come contraltare vi sono slanci enormi e piccoli gesti quotidiani fatti di solidarietà, forza comune, condivisione. I dannati della terra di Nardò sono al contempo un corpo unico in lotta, una forza consapevole e potente.


Del resto qui prende forma la storia più antica della lotta di classe, nelle sue accezioni più vere e storicamente esperite, in una terra che ha visto lo sfruttamento dei braccianti, la messa in schiavitù delle persone, la violazione sistematica di ogni diritto crescere e radicarsi come fosse una tradizione consolidata. Ma allo stesso modo a Boncuri siamo nel pieno della modernità della crisi economica che reinventa lo sfruttamento e lo declina all'oggi, siamo all'innalzamento all'infinito della precarietà di vita e di lavoro fatta a sistema.

La battaglia dei braccianti di Boncuri di cosa ci parla, del resto, se non delle lotte per il lavoro, il reddito, il welfare?

Cosa chiedono i migranti di questo campo se non le stesse cose che hanno alimentato l'anno appena passato con i suoi scioperi generali e generalizzati, le battaglie per il reddito e i beni comuni che hanno animato le mobilitazioni nate nelle Università sulla scia dell'iniziale contrasto alla riforma Gelmini?

Per la prima volta, forse non in assoluto ma certamente in maniera così evidente, nel nostro paese c'è uno scontro tra la crisi del capitale e la capacità d'autorganizzazione dei migranti su di un terreno eminentemente lavorativo e non genericamente legato “ai diritti”.

Anche per questo motivo “gli antirazzisti” fanno fatica a mettersi sulla lunghezza d'onda corretta. Qui lo schema “italiani solidali con i migranti privi di diritti di cittadinanza” non funziona per niente e non avrebbe alcun senso di proporsi. I braccianti di Nardò per primi dicono che la loro lotta è per il salario, le condizioni di lavoro, come qualunque altro lavoratore (e non), da qualunque parte del mondo provenga, Italia compresa.


E, infine, in questa vicenda si intrecciano radicalità, autorganizzazione, vertenza lavorativa e istituzionale, spezzando anche per i movimenti alcune consuetudini e luoghi comuni: nella battaglia dei braccianti di Nardò l'autorganizzazione è totale, la radicalità delle rivendicazioni ancor più che delle forme di lotta, l'individuazione del terreno vertenziale con le istituzioni altrettanto. Per questo Nardò oggi può essere non solo l'ennesima conferma per cui è dentro le contraddizioni che si esperiscono i processi virtuosi del conflitto ma anche una preziosa indicazione per l'autunno che viene.

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