Né moi né mai! La lotta contro TAP non si processa

Sono iniziati la mattina dell’11 settembre, i due processi che vedono imputati, da un lato, 92 attivisti e attiviste del Movimento No TAP e, dall’altro, la multinazionale TAP AG e le aziende a cui sono stati appaltati i lavori di costruzione del gasdotto.

14 / 9 / 2020

Sono iniziati pochi giorni fa, la mattina dell’11 Settembre, i due processi che vedono imputati, da un lato, 92 attivisti e attiviste del Movimento No TAP e, dall’altro, la multinazionale TAP AG e le aziende a cui sono stati appaltati i lavori di costruzione del gasdotto Trans Adriatic Pipeline.

Le accuse mosse ad attivisti e attiviste No TAP sono quelle di manifestazione non autorizzata, violenza privata in relazione al blocco del transito dei mezzi di TAP, violazione del foglio di via, invasione di terreni privati e oltraggio semplice a pubblico ufficiale, mentre i 19 imputati del processo alla società TAP AG e alle aziende esecutrici dei lavori dovranno rispondere delle accuse di devastazione ambientale, costruzione abusiva e violazione dei vincoli ambientali e paesaggistici. Tra questi ultimi, vi sono i vertici italiani della multinazionale come Luca Schieppati e Elisabetta de Michelis, rappresentanti legali della società nel paese, Michele Mario Elia, ex Country Manager di TAP e già accusato per la strage di Viareggio del 2009, e Gabriele Paolo Lanza, Project Manager per l’Italia (qui un approfondimento di Re:Common).

In questa occasione, attivisti e attiviste del Movimento No TAP si sono riunite in presidio dinanzi al Tribunale di Lecce, dove si è tenuta l’udienza riguardante le accuse di devastazione ambientale e costruzione abusiva, per ribadire che criminale non è chi difende la terra ma chi la distrugge.  

La prima udienza si è conclusa per TAP AG e le altre aziende coinvolte nel processo con la calendarizzazione della prossima udienza, che si terrà il 20 Novembre, durante la quale si discuterà la costituzione come parte civile del Movimento No TAP, dei Comuni di Melendugno e di Lecce e della Regione Puglia.

Il processo alla lotta No TAP

Poche ore dopo è iniziato presso l’aula bunker - in prossimità del carcere di Lecce - il processo contro 92 attivist* No TAP, che riunisce tre fascicoli di indagine inerenti a fatti accaduti tra il 2017 e il 2018, quando il conflitto tra popolazione locale e TAP si inasprisce.

La violenza di cui la comunità si sarebbe resa colpevole riguarda il lancio di monetine, il danneggiamento delle recinzioni al cantiere e le offese ad agenti della Digos, ridicole se comparate con la violenza che questa grande opera ha portato sul territorio sia in termini di devastazione ambientale e inquinamento che in termini di militarizzazione. 

Come evidenziato pochi giorni fa in un articolo pubblicato su Carmilla “L’utilizzo delle aule bunker per i processi ai movimenti fa ormai parte di una tradizione consolidata, inaugurata nove anni or sono dalla magistratura di Torino che scelse l’aula bunker del carcere delle Vallette per il dibattimento a carico di due sindaci della Val Susa, inquisiti per una manifestazione No TAV. Una decisione finalizzata evidentemente ad equiparare i movimenti per la difesa ambientale e sociale alla lotta armata di quasi mezzo secolo fa ed alla criminalità organizzata di ieri e di oggi, a cui l’aula in questione era destinata.”

Questo tentativo di criminalizzare il dissenso politico la comunità salentina l’ha vissuto sulla propria pelle per numerosi anni: istituzione di zone rosse, militarizzazione del territorio e persecuzione giudiziaria sono state le sole risposte che dal 2017, quando la protesta è esplosa, ad oggi, i governi di vari colori che si sono susseguiti hanno saputo dare. In parallelo a queste forme di repressione, vi sono stati altri provvedimenti che hanno colpito economicamente gli/le attivist* che oggi si trovano a pagare - oltre alle spese legali - numerose multe per la violazione del daspo, per un totale di 240mila Euro di sanzioni amministrative e che, in molti casi, hanno perso il proprio lavoro e la propria fonte di sostentamento poiché il daspo non consente loro di lavorare nei pressi degli stabilimenti balneari - rientranti nelle zone a loro precluse -  intorno alla quali gira l’economia locale. 

I precedenti

Nel marzo 2017, la società tenta di dar inizio, nonostante l’assenza di autorizzazioni, ai lavori di espianto degli ulivi nella località di San Basilio per far spazio al cantiere. A partire da quel momento inizia un braccio di ferro che vede contrapporsi da un lato la società TAP, difesa dal governo nazionale, e dall’altro le comunità che abitano il territorio e le istituzioni locali. Un braccio di ferro che, esaurite le possibilità di dialogo, si trasferisce nelle strade. La determinazione ed energia che la comunità salentina esprime in quei mesi porta il governo nazionale a dichiarare, nella notte tra il 12 e il 13 Novembre 2017, una zona rossa circostante al cantiere affinché i lavori di costruzione del gasdotto possano procedere. La risposta muscolare dello stato, incapace di dialogare col dissenso politico, genera un’ulteriore convinzione per gli attivisti e le attiviste di essere dalla parte giusta della barricata e svela il vero volto del sistema estrattivista che questa grande opera incarna. Inoltre, la militarizzazione posta in atto dallo stato viene percepita dagli abitanti come una forma di occupazione del proprio territorio volta a difendere non la comunità - come sarebbe legittimo aspettarsi dal proprio governo - ma degli interessi economici e speculativi di una multinazionale. 

E’ contro tale violenza, strutturale e simbolica, che si è rivolta questa contestazione popolare in cui casalinghe e pescatori, studenti e contadini, nonne e nipoti si sono trovati insieme a stringersi intorno agli ulivi, a condividere per intere estati l’afa e il caldo scrosciante delle campagne salentine pur di impedire l’avanzamento dei lavori, a marciare per le strade di Lecce, a dormire con la suoneria del telefono accesa per essere sempre pronti a correre via di casa e raggiungere i propri compagni di lotta in caso di necessità, o a condividere la notte, raccolti intorno al presidio permanente e illuminati dalla stessa luna, per vigilare sul cantiere.

In quelle campagne, persone che prima non si conoscevano, si sono scoperte comunità. Persone che mai si erano confrontate direttamente con la politica si sono scoperte ribelli e insubordinabili. E’ questo ciò che, chi si propone di governare dall’alto e mettere a profitto i territori, ha necessità di distruggere. Ed è per questo che il Movimento No TAP viene portato al banco degli imputati con accuse assurde e ridicole. Per piegarlo e sradicare il seme che questa lotta ha gettato.

La prossima udienza contro i No TAP

L’udienza di venerdì ha stabilito che il processo verrà scorporato in tre parti, una per ognuno dei tre fascicoli di indagine precedentemente accennati. L’appuntamento è al 25 Settembre, in occasione del quali si terranno i processi agli attivisti e alle attiviste del Movimento No TAP. Il fitto calendario di udienze previsto, come denuncia Re:Common in un tweet, rischia di pregiudicare il diritto alla difesa degli attivisti.

Nel frattempo prosegue la campagna di raccolta fondi organizzata da Gastivists e dal Movimento No TAP per sostenere le spese legali e le multe a carico di attivisti e attiviste, che in due mesi ha raccolto circa 13mila euro grazie alla solidarietà di tanti e tante nel paese e al di fuori.

Il braccio di ferro, che si è a lungo tenuto nelle “piazze”, si è spostato ora nelle aule di tribunale, dove si sta per giocare una partita epocale. Sul banco degli imputati, infatti, vi è un intero sistema estrattivista - spesso imperniato sulle fonti fossili - che trova da un lato coloro che lo incarnano, come TAP, e dall’altro coloro che lo sfidano, come il Movimento No TAP, che in questi anni si è opposto incessantemente alla retorica del gas come energia pulita e fonte di transizione alle rinnovabili e ha svelato l’ipocrisia dell’Unione Europea che, pur mostrandosi apparentemente interessata ai problemi ecologici e al cambiamento climatico, ha elargito - attraverso la Banca Europea degli Investimenti (BEI) - cospicue somme di denaro pubblico per il finanziamento dell’opera, palesando il fatto che la politica energetica europea orbita ancora intorno alle fonti fossili.

Come ha scritto il Movimento No TAP pochi giorni fa, “tutto il territorio è a processo”. Aggiungo, che l’esito dei procedimenti giudiziari a cui assisteremo nei prossimi mesi sarà importante non solo per il territorio che è stato direttamente vessato dalla costruzione del gasdotto ma, fuori da ogni intento retorico, per tutt* noi, nella misura in cui quello che si cerca di sradicare siamo noi, il nostro desiderio di vivere in un ambiente socialmente ed ecologicamente sano, la nostra forza di continuare a lottare e di non essere rimast* asfissiat* dal miope pragmatismo neoliberale della nostra epoca.

È presto per fare pronostici sull’esito di questo processo, ciò che però si può dire è che, comunque vada, quello della ribellione è un seme infestante e che, anche se potranno processare la lotta contro TAP, non potranno estirparla. “Né moi né mai!!”