Necropolitica mediterranea

La messa in scena della natura e le responsabilità dei governi europei nella strage di Crotone.

28 / 2 / 2023

La lettura dominante del governo italiano, dei principali partiti dell’arco parlamentare, con sfumature, e delle istituzioni europee si concentra sulla “tragica fatalità”, sulle condizioni meteomarine particolarmente ostili e proibitive e sulla totale responsabilità dei trafficanti di esseri umani nell’aver messo in mare un’imbarcazione di quel tipo con il mare in quelle condizioni.

Si tratta di un discorso che da un lato oscura le molteplici cause strutturali che determinano questi movimenti migratori, dall’altro, agitando lo spauracchio dei trafficanti, mira ad assolvere governi e istituzioni europee dagli effetti di politiche migratorie e confinarie che generano in prima istanza le condizioni per cui questi naufragi possono avvenire. Creare politicamente, a livello strutturale, le condizioni per cui un gruppo di persone possano morire è ciò che il filosofo Achille Mbembe ha chiamato necropolitica.

L’ennesimo tragico naufragio nel Mar Mediterraneo. Una precaria imbarcazione di legno partita dalle coste di Izmir, in Turchia, nella notte tra il 25 e il 26 febbraio ha fatto naufragio vicino alla costa calabrese, di fronte a Cutro. Stipati a bordo si stima ci fossero dalle 200 alle 250 persone provenienti da Iran, Afghanistan, Siria. Di queste solo 80 si sono salvate: 64 i corpi rinvenuti, tra i quali 14 minori, mentre tra i 20 e i 30 sarebbero i dispersi. Le prime agenzie evidenziano le condizioni metereologiche particolarmente avverse, con mare forza 4, il sovraffollamento dell’imbarcazione di soli 20 metri, la richiesta di aiuto pervenuta alla centrale operativa della Guardia di finanza alle 4 del mattino e l’intervento della Guardia costiera ostacolato dalle intemperie.

Il discorso delle rappresentanze politiche e istituzionali del governo italiano, dei principali partiti dell’arco parlamentare e degli organi europei muove da queste scarne informazioni. Questo discorso si focalizza primariamente su due punti: la naturalità del naufragio, la totale responsabilità dei trafficanti di esseri umani. Proviamo a vedere che cosa significano e ciò che implicano questi elementi.

Il primo punto evoca la “natura”. Le intemperie, il maltempo, il mare in burrasca, hanno creato le condizioni determinanti il naufragio. In questo come in analoghi discorsi, gli eventi naturali e gli avvenimenti ad essi collegati vengono inquadrati come neutrali e astorici. “Un’imbarcazione fragile e sovraccarica difficilmente può sopravvivere il mare in tempesta”. Di più, i soccorsi stessi sembrano essere impotenti di fronte alla forza della natura. La rappresentazione che si delinea è quella di una natura matrigna, ineluttabile e imprevedibile, difficilmente controllabile, esponendosi alla quale si corre un rischio di per sé.

Proviamo ad allargare lo sguardo. Il territorio europeo, e in particolare le sue zone di confine, sono uno spazio sovra-monitorato. Il Mar Mediterraneo è vivisezionato costantemente da radar, sonar, aerei e droni, assetti delle diverse polizie. Le imbarcazioni che lo attraversano hanno per la maggior parte strumenti di navigazione, GPS, radio. Quello che appare come uno spazio sconosciuto e inconoscibile è invece mappato e tracciato. Basti pensare che i radar di pertinenza militare di Pantelleria e Lampedusa possono coprire un’area molto vasta, raggiungendo le acque tunisine, mentre i velivoli di Frontex monitorano il Mediterraneo quotidianamente. La stessa imbarcazione affondata, dopo quattro giorni di navigazione, era stata individuata la sera prima del naufragio da uno di questi velivoli.

Più che di natura, allora, parliamo di “messa in scena” della natura come di una forza incontrollabile e che quindi solleva da responsabilità. La filosofia da Marx ad Heidegger1, così come le scienze sociali, con l’importante lavoro del recentemente scomparso Bruno Latour2, hanno contestato l’idea di natura come data e separata da società e cultura, ricomprendendola come culturalmente e socialmente determinata, quindi interna al divenire storico e all’azione politica. La naturalizzazione della morte per naufragio, allora, con la sua evocata neutralità e astoricità, si dimostra funzionale ad assolvere gli stati europei che, con le proprie politiche, espongono materialmente le persone a un ambiente in cui la sopravvivenza dipende da determinate risorse e mezzi3.

Il secondo punto del discorso governamentale si concentra sui trafficanti di esseri umani come principali responsabili delle tragedie nel Mediterraneo. Così la Commissario agli Affari interni dell’Unione Europea Ylva Johansson identifica la lotta allo smuggling come la principale responsabilità dell’UE4 e il Ministro dell’Interno italiano Matteo Piantedosi afferma come “assolutamente necessario contrastare con fermezza le filiere dell’immigrazione irregolare, in cui operano scafisti senza scrupoli che pur di arricchirsi organizzano questi viaggi improvvisati, con imbarcazioni inadeguate e in condizioni proibitive”.

Di fatto, le misure di contrasto allo human trafficking costituiscono da più di un decennio uno dei veicoli principali di governo delle migrazioni verso l’Europa. Il documento programmatico “EU Action Plan against migrant smuggling” del 2015, ad esempio, istituisce un forte legame tra traffico di migranti e migrazione irregolare. Nel documento, un’efficace politica di contrasto del fenomeno è identificata dal rendere maggiormente efficiente il meccanismo dei rimpatri, implementando la Direttiva Rimpatri del 2008 e rafforzando il ruolo di Frontex. Una prospettiva abbracciata anche dai Return Action Plan del 2015 e del 2017 fino al Patto sulla migrazione e l’asilo del 2020. Non stupisce allora come nella stessa dichiarazione, sia Ylva Johansson che Matteo Piantedosi evochino il blocco delle partenze e l’aumento dei rimpatri come strategia di contrasto all’immigrazione irregolare. La narrazione “umanitaria” dei governi, che invoca il contrasto al traffico di esseri umani “per salvare vite umane” si traduce in politiche e misure orientate al controllo, esclusione e filtraggio delle mobilità migranti. In più, come è stato messo in luce dalla ricerca sociale, queste politiche europee di controllo confinario hanno contribuito alla professionalizzazione dello smuggling, in particolare lungo il tratto del Mar Mediterraneo: l’organizzazione dell’attraversamento richiede infatti infrastrutture, mezzi e risorse che sono perlopiù appannaggio di reti criminali strutturate5. In questo contesto, le politiche e le pratiche dell’UE in materia di controllo delle frontiere e di gestione delle migrazioni hanno consentito un effetto iatrogeno6 rafforzando il fenomeno sociale che intendevano contrastare.

Concentrarsi sulla dimensione del traffico di esseri umani, con tutte le sue implicazioni dal punto di vista delle politiche di governo delle migrazioni implementate, significa quindi oscurare in prima istanza le cause delle partenze, le ragioni che portano le persone a migrare. Si tratta poi di uno sguardo paternalista che fa dei migranti vittime dei trafficanti e passivi destinatari della carità degli stati europei – un’ospitalità che è un’altra forma che assume il governo della mobilità.

Entrambi i punti di questo discorso sembrano allora orientati a rafforzare politiche di chiusura dei confini e di restringimento della libertà di movimento, al fine di sottrarre gli stati europei alle proprie responsabilità circa gli effetti mortiferi di queste stesse politiche. In questo scenario, il discorso umanitario viene evocato per rappresentare come naturale la crescente violenza e mortalità del confine, nascondendone le cause strutturali, e legittimando al contempo procedure e pratiche di confine escludenti incentrate sulla sicurezza della nazione da minacce esterne. La ragione umanitaria è in realtà il veicolo per l’attuazione di politiche di confine securitarie che dividono, trattengono, deportano i migranti dichiarando di voler “preservare la vita umana”, ma di fatto esponendo attivamente i soggetti alla morte. L’espressione di una volontà di far morire una parte di popolazione, il creare politicamente, a livello strutturale, le condizioni per cui un gruppo di persone possano morire, è ciò che il filosofo Achille Mbembe ha chiamato necropolitica. Sono le politiche migratorie europee contemporanee a generare in prima istanza le condizioni per cui i naufragi come quello avvenuto lungo le coste calabresi possono avvenire.

___________

1 Si veda ad esempio Alfred Schmidt, Il concetto di natura in Marx, 2. ed, Biblioteca di cultura moderna (Bari: Laterza, 1973)

2Bruno Latour, We Have Never Been Modern (Cambridge, Mass: Harvard University Press, 1993)

3Estela Schindel, «Bare life at the European borders. Entanglements of technology, society and nature», Journal of Borderlands Studies 31, fasc. 2 (2 aprile 2016): 219–34

4Si veda il tweet

5Julien Brachet, «Manufacturing smugglers: From irregular to clandestine mobility in the Sahara», The ANNALS of the American Academy of Political and Social Science 676, fasc. 1 (2018): 16–35

6Eva Magdalena Stambøl, «The Rise of Crimefare Europe: Fighting Migrant Smuggling in West Africa», European Foreign Affairs Review 24, fasc. Issue 3 (1 ottobre 2019): 287–307