Nell’isola prigione ostaggio del Governo: Welcome lancia un appello

27 / 3 / 2011

Siamo sull’isola da giovedì e ci sembra di essere intrusi in uno spettacolo organizzato ad arte per il mondo intero. Ieri le proteste sul molo dei tunisini hanno bloccato per qualche ora l’ingresso alle autorità. La tensione è alle stelle. Lampedusa non è più una isola ma una prigione a cielo aperto in cui migliaia di persone, abitanti e migranti sono tenute in ostaggio dal Governo. Come in un enorme palcoscenico, sull’isola va in scena l’emergenza. Da domenica le barche con a bordo i migranti vengono recuperate in mare a 30-40 miglia dalla costa e condotte al porto, nonostante non vi sia più un centimetro su cui adagiarsi a terra (o forse proprio per questo). Sono centinaia le persone in arrivo ogni giorno ed ancora, nonostante il Governo si stia prodigando con annunci, accordi e piani fantasma, il saldo tra sbarcati e trasferiti è negativo. Tra i nuovi arrivati molti più di prima sono minori che vanno ad aggiungersi alle centinaia già abbandonati sull’isola. Gli sbarcati restano sul porto, in accampamenti di fortuna. Arrivano a gruppi organizzati in base al villaggio o al quartiere di provenienza. Restano uniti nelle lunghe ore di attesa, per capire cosa sta succedendo, per mangiare dopo che, obbligati in fila indiana dalle forze di polizia, hanno atteso lunghe ore sotto il sole per un pasto. Aspettano i pullman che, a gruppi di cinquanta, li portano al CIE per l’identificazione, per poi essere ancora consegnati all’attesa, come in una sorta di anti-camera alla detenzione ed alla clandestinità.
Il CIE di Contrada Imbriacola è un enorme discarica umana: vivono ammassate tra camerate e container centinaia di ragazzi in condizioni igieniche e sanitarie disumane. Nel teatro di Lampedusa la finzione non poteva mancare anche al CIE: da una parte i cancelli di ingresso presidiati dalla polizia, in alto, sulla collina, tra le decine di micro-accampamenti, la rete abbattuta e un via vai continuo di persone. Le donne e i minori sono stati trasferiti invece nella sede del Museo del Mare, vicino al Porto Vecchio, ma la struttura a sua volta non è sufficiente e nelle ultime ore è stata aperta anche la “Casa della Fratellanza” messa a disposizione dal parroco.
Di fatto i minori sono abbandonati a loro stessi, le case-famiglia non bastano per accoglierli. Restano legati agli adulti con cui sono partiti e vagano senza meta per le strade dell’isola. E aspettano, anche loro.

I migranti aspettano di essere trasferiti in altri Centri. Come la tendopoli allestita a Manduria, uno dei tredici Cie provvisori che il Governo annovera tra le destinazioni risolutive. In realtà si tratta di una ulteriore tappa detentiva nella catena di montaggio della fabbrica della clandestinità. I giovani tunisini non sono profughi. Sono persone che come sempre nella storia, ed oggi più di prima, partono per cercare di migliorare le loro condizioni di vita. Scappano dalla miseria, dalla disoccupazione, da paesi in subbuglio dopo le rivolte dei mesi scorsi in cui sono saltati i controlli. Vengono trattenuti sull’isola, identificati, in attesa di trovare un posto dove infilarli, di assegnarli un ruolo nella sceneggiatura scritta dal Viminale. Poi, in media dopo 8 giorni, vengono trasferiti in altre strutture, in Sicilia o sul continente. Liberati ad un destino clandestino con un foglio di via ed una pacca sulla spalla che li accompagnerà fino in Francia. Li ritroviamo a Ventimiglia dove sono costretti a sfidare un nuovo confine perché il governo ha deciso di trasformarli in clandestini invece di concedere loro una protezione temporanea prevista dalla legge che, da sola, basterebbe a decongestionare l’isola in poche ora. L’unica salvezza per loro, è l’umanità che ancora, dopo un mese estenuante, stanno con grande dignità dimostrando i lampedusani. Ogni passo che muoviamo sull’isola si trasforma in una micro-assemblea: denunciano maltrattamenti, vogliono informazioni, sapere cosa gli accadrà, se saranno rimpatriati o incarcerati. Noi cerchiamo di mandare notizie in diretta a tutta la penisola attraverso www.meltingpot.org e abbiamo attivato un numero di telefono per seguire i loro spostamenti una volta abbandonata l’Alkatraz del Mediterraneo.
Da qui, dall’isola prigione, rivolgiamo un appello a tutti, in ogni angolo del paese, per dare vita insieme ad una staffetta per stare al fianco degli abitanti e dei migranti a Lampedusa.

Per raccontare ciò che accade e costruire dal basso, da Nord a Sud, da Lampedusa a Ventimiglia, da Mineo a Gradisca, una grande campagna per la protezione dei migranti e la libertà di circolazione in Europa, contro la detenzione e per l’accoglienza, fin da ora, e in vista della giornata di mobilitazione diffusa del prossimo 2 aprile.

Pubblicato su Il Manifesto il 27.03.11