Siamo sull’isola da giovedì e ci sembra di essere intrusi in uno
spettacolo organizzato ad arte per il mondo intero. Ieri le proteste sul
molo dei tunisini hanno bloccato per qualche ora l’ingresso alle
autorità. La tensione è alle stelle. Lampedusa non è più una isola ma
una prigione a cielo aperto in cui migliaia di persone, abitanti e
migranti sono tenute in ostaggio dal Governo. Come in un enorme
palcoscenico, sull’isola va in scena l’emergenza. Da domenica le barche
con a bordo i migranti vengono recuperate in mare a 30-40 miglia dalla
costa e condotte al porto, nonostante non vi sia più un centimetro su
cui adagiarsi a terra (o forse proprio per questo). Sono centinaia le
persone in arrivo ogni giorno ed ancora, nonostante il Governo si stia
prodigando con annunci, accordi e piani fantasma, il saldo tra sbarcati e
trasferiti è negativo. Tra i nuovi arrivati molti più di prima sono
minori che vanno ad aggiungersi alle centinaia già abbandonati
sull’isola. Gli sbarcati restano sul porto, in accampamenti di fortuna.
Arrivano a gruppi organizzati in base al villaggio o al quartiere di
provenienza. Restano uniti nelle lunghe ore di attesa, per capire cosa
sta succedendo, per mangiare dopo che, obbligati in fila indiana dalle
forze di polizia, hanno atteso lunghe ore sotto il sole per un pasto.
Aspettano i pullman che, a gruppi di cinquanta, li portano al CIE per
l’identificazione, per poi essere ancora consegnati all’attesa, come in
una sorta di anti-camera alla detenzione ed alla clandestinità.
Il CIE di Contrada Imbriacola è un enorme discarica umana: vivono
ammassate tra camerate e container centinaia di ragazzi in condizioni
igieniche e sanitarie disumane. Nel teatro di Lampedusa la finzione non
poteva mancare anche al CIE: da una parte i cancelli di ingresso
presidiati dalla polizia, in alto, sulla collina, tra le decine di
micro-accampamenti, la rete abbattuta e un via vai continuo di persone.
Le donne e i minori sono stati trasferiti invece nella sede del Museo
del Mare, vicino al Porto Vecchio, ma la struttura a sua volta non è
sufficiente e nelle ultime ore è stata aperta anche la “Casa della
Fratellanza” messa a disposizione dal parroco.
Di fatto i minori sono abbandonati a loro stessi, le case-famiglia non
bastano per accoglierli. Restano legati agli adulti con cui sono partiti
e vagano senza meta per le strade dell’isola. E aspettano, anche loro.
I migranti aspettano di essere trasferiti in altri
Centri. Come la tendopoli allestita a Manduria, uno dei tredici Cie
provvisori che il Governo annovera tra le destinazioni risolutive. In
realtà si tratta di una ulteriore tappa detentiva nella catena di
montaggio della fabbrica della clandestinità. I giovani tunisini non
sono profughi. Sono persone che come sempre nella storia, ed oggi più
di prima, partono per cercare di migliorare le loro condizioni di vita.
Scappano dalla miseria, dalla disoccupazione, da paesi in subbuglio dopo
le rivolte dei mesi scorsi in cui sono saltati i controlli. Vengono
trattenuti sull’isola, identificati, in attesa di trovare un posto dove
infilarli, di assegnarli un ruolo nella sceneggiatura scritta dal
Viminale. Poi, in media dopo 8 giorni, vengono trasferiti in altre
strutture, in Sicilia o sul continente. Liberati ad un destino
clandestino con un foglio di via ed una pacca sulla spalla che li
accompagnerà fino in Francia. Li ritroviamo a Ventimiglia dove sono
costretti a sfidare un nuovo confine perché il governo ha deciso di
trasformarli in clandestini invece di concedere loro una protezione
temporanea prevista dalla legge che, da sola, basterebbe a
decongestionare l’isola in poche ora. L’unica salvezza per loro, è
l’umanità che ancora, dopo un mese estenuante, stanno con grande dignità
dimostrando i lampedusani. Ogni passo che muoviamo sull’isola si
trasforma in una micro-assemblea: denunciano maltrattamenti, vogliono
informazioni, sapere cosa gli accadrà, se saranno rimpatriati o
incarcerati. Noi cerchiamo di mandare notizie in diretta a tutta la
penisola attraverso www.meltingpot.org e abbiamo attivato un numero di
telefono per seguire i loro spostamenti una volta abbandonata l’Alkatraz
del Mediterraneo.
Da qui, dall’isola prigione, rivolgiamo un appello a tutti, in ogni
angolo del paese, per dare vita insieme ad una staffetta per stare al
fianco degli abitanti e dei migranti a Lampedusa.
Per raccontare ciò che accade e costruire dal basso, da Nord a Sud, da Lampedusa a Ventimiglia, da Mineo a Gradisca, una grande campagna per la protezione dei migranti e la libertà di circolazione in Europa, contro la detenzione e per l’accoglienza, fin da ora, e in vista della giornata di mobilitazione diffusa del prossimo 2 aprile.
Pubblicato su Il Manifesto il 27.03.11