Niscemi - Il 9 agosto dei #nomuos

Oltre un migliaio in corteo a Niscemi, dopo il blitz sulle antenne, assedio alle reti e invasione della base militare: il 9 agosto siciliano contro il Muos, la militarizzazione del Mediterraneo e il massacro di Gaza

11 / 8 / 2014

Oltre un migliaio i manifestanti che sono tornati sabato scorso alla base Usa di Niscemi sotto il torrido sole dell'agosto siciliano. Il concentramento del corteo è al presidio No Muos, devastato e ricostruito pochi giorni fa, alla vigilia dell'inizio della settimana delle attività del campeggio di lotta che si concluderà il 12 agosto. Cominciano ad arrivare i pullman da diverse città, anche se numeri del corteo saranno inferiori rispetto ad un anno fa, quando la costruzione del Muos era ancora in corso, la “grande opera militare” ancora non conclusa.

Eppure, lo spostamento del TAR, i dietrofront partitici e le revoche istituzionali, le minacce e le intimidazioni, le denunce e le misure cautelari che hanno colpito il movimento in questi ultimi mesi non lo hanno fermato: un radicamento a livello territoriale da parte di attivisti, militanti, comitati di cittadini provenienti da vari paesi e città, formatisi nelle lotte delle scuole e delle università contro le riforme educative e nelle mobilitazioni contro l’austerità e le speculazioni territoriali, assieme ai comitati che si sono attivati proprio nella lotta No Muos, ha costituito un nuovo spazio di agibilità, soggettivazione, mobilitazione ed organizzazione dal basso in Sicilia.

Ad un anno esatto dalla prima invasione della base Usa, la manifestazione, controllata a vista da decine di agenti della digos e da celerini e blindati della polizia dentro e fuori le reti della base militare, avanza verso la porta 1 tra tantissime bandiere palestinesi e lo striscione “Da Gaza a Niscemi: resistenza”.

Davanti il comitato di Niscemi, le mamme No Muos determinate e combattive con i loro striscioni di denuncia degli effetti delle radiazioni, il coordinamento dei comitati regionali, i comitati di sostegno alla Palestina, centinaia di studenti, attivisti, famiglie, poi i sindaci di alcuni comuni (“Possiamo aver perso la battaglia, non la guerra”, dice il sindaco di Niscemi, in piazza con il gonfalone così come altri sindaci della zona, che ancora resistono ) e alcune bandiere di partito in fondo al corteo. Ma quel che conta, la determinazione. Di chi è salito sulle antenne 36 ore prima, e resiste al vento e al sole, per reclamare una Sicilia e un mediterraneo senza guerra, di chi assedia le reti, con le battiture e le cesoie, di chi insiste nella difficile e complessa battaglia legale rispetto alla sentenza del TAR.

Superata la porta 1 il clima nel corteo cambia: determinazione, slogan, canti, si avanza ancora, si dice pubblicamente ciò che il corteo vuole fare, tornare ancora una volta, ad un anno di distanza, a violare divieti e recinzioni e invadere la base per riprendere i compagni arrampicati sulle antenne da 36 ore, denunciare le intimidazioni poliziesche e ribadire che alla criminalizzazione giudiziaria si risponde con la determinazione ad andare avanti. Un’azione dimostrativa con i fogli di via e i divieti di dimora bruciati davanti alla base, poi l’assedio alle reti, al calar del sole.

“Nessuna delegazione per andare a riprenderci i compagni sulle antenne, o tutti o nessuno”, dicono al megafono i comitati no muos, e comincia la battitura delle reti. La testa avanza, lo schieramento di celere segue le battiture dall'interno, ma il tentativo di invasione della testa è solo un diversivo. Le reti vanno giù qualche centinaio di metri più indietro, il corteo torna indietro e spinge mentre decine di metri delle recinzioni vengono divelte. La polizia si schiera, partono manganellate, a mani alzate i manifestanti avanzano, sono in tanti a smontare le reti, il corteo invade ancora una volta la base militare arrivando fin sotto le antenne, aspettando che i compagni scendano e decidendo in assemblea dentro la base Usa come proseguire la mobilitazione. Rivendicando dunque la legittimità di violare ancora una volta le reti della base militare, per riprenderci la “nostra terra che è un bene comune” oggi espropriato dai signori della guerra e dagli speculatori.

Il movimento ha dimostrato di continuare ad esserci, a lottare con grande determinazione, ma la situazione è adesso segnata da nuove difficili ed urgenti sfide da affrontare. Alcuni degli attivisti saliti sulle antenne, che hanno resistito per oltre due giorni, sono rimasti sulle antenne anche dopo il corteo, assieme a diverse decine di attivisti che decidono di fermarsi all’interno della base, dopo l’assemblea sotto le antenne. Poche ore dopo la celere ha trascinato via brutalmente tutti gli attivisti rimasti nella base mentre hanno resistito ancora alcune ore sulle antenne gli due ultimi attivisti. Che sono rimasti fino a questa notte, quando un nuovo blitz notturno nella base militare, da parte dei manifestanti del campeggio, ha violato le reti per andarsi a riprendere, collettivamente, i compagni sulle transenne. Perchè si parte e si torna assieme, dal campeggio e dalle città fino alle antenne, e viceversa.

Serve però rilanciare con forza, oltre la manifestazione e il campeggio estivo, una mobilitazione segnata da una strategia comune e forte. Rilanciare la mobilitazione popolare, per ridare slancio alla battaglia nella società a livello largo e complessivo: ci vuole uno sforzo autonomo dei comitati e delle realtà che sostengono la lotta contro il Muos, per rilanciare le ragioni di chi si oppone alla guerra, alla devastazione ambientale, alle speculazioni, rilanciando connessioni nazionali e transnazionali, aprendo gli orizzonti della lotta in vista del Tar di novembre, quando si deciderà sull'entrata in funzione delle parabole.

Quello che è certo è che una generazione, siciliana ma non solo, sta crescendo nelle pratiche di lotta definite dalla legittimità dell’azione diretta, dell’autorganizzazione, a partire dalla rivendicazione di legittimità rispetto all’atto di tagliare le reti ed invadere la base, di rivendicare diritti mobilitandosi in prima persona: la sfida è di nuovo quella di allargare la mobilitazione, creare un processo che rafforzi la battaglia, che giunge al suo ultimo, difficile stadio, dopo che la costruzione delle parabole è stata ormai terminata e manca poco alla sua entrata in funzione.

Provare a fermarla è uno sforzo che riguarda tutti, che chiama in causa i movimenti anticapitalisti, e tutti coloro i quali sono determinati a lottare per rompere le logiche neoliberiste della guerra e dello sfruttamento, quelle logiche che stanno trasformando il Mediterraneo in una frontiera grondante di sangue, in un confine militarizzato, consacrandolo come luogo delle stragi. Per questo per chi intende ribaltare questo paradigma, rifiutare le logiche di guerra, fermare il massacro di Gaza, disegnare un altro Mediterraneo, quello dei diritti, dell'accoglienza, della solidarietà, oggi la battaglia del Muos è una battaglia collettiva, comune e quanto mai urgente. E questa lotta complessiva non si ferma qui.

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