Non basta assolvere Erri De Luca

Perchè l'assoluzione dell'intellettuale napoletano non rimanga un caso isolato

21 / 10 / 2015

“Il tav va sabotato”: questa la dichiarazione per la quale hanno tentato di incriminare Erri De Luca.

Una dichiarazione usata ad arte da politica e PM tanto da mettere in piedi un'accusa ad istigazione al sabotaggio ai danni dell’intellettuale napoletano.

Non ha convinto l’impianto accusatorio sostenuto dalla pubblica accusa per cui esprimere pubblicamente la propria contrarietà al Tav sarebbe imputabile di “associazione a delinquere” e costituirebbe reato. I PM Antonio Rinaudo e Andrea Padalino, che per l’imputato avevano chiesto otto mesi di reclusione, ritenevano che le parole di De Luca, pronunciate durante un'intervista nel 2013, potessero fomentare le tensioni in Val di Susa e istigare gli attivisti No Tav a commettere azioni violente.

Il processo era nato dall’esposto di Ltf, società che si occupava dei lavori al cantiere della Maddalena di Chiomonte, in seguito alla pubblicazione di alcune interviste rilasciate dall’intellettuale in cui dichiarava appunto che “la Tav va sabotata” e che “quelle cesoie servivano”.

Forse la prima vicenda giudiziaria riguardante le lotte contro il TAV che si conclude con un esito positivo per chi esprime contrarietà all'Alta Velocità, a rafforzare ciò la lettura della sentenza del giudice Immacolata Iadeluca, che ha dichiarato Erri De Luca “assolto perché il fatto non sussiste”.

Il problema ora si deve spostare sul piano politico: se è vero che Erri De Luca è stato assolto - merito in parte della pressione mediatica e della notorietà internazionale dell'imputato - è anche vero che la repressione che stanno subendo i movimenti no tav è di tutt'altro calibro. 

Erri De Luca con le sue dichiarazioni non ha ritrattato quanto detto nel lontano 2013, bensì ha difeso con impeto il verbo sabotare: “Sono incriminato per avere usato il verbo sabotare. Lo considero nobile e democratico. Nobile perché pronunciato e praticato da valorose figure come Gandhi e Mandela, con enormi risultati politici. Democratico perché appartiene fin dall’origine al movimento operaio e alle sue lotte. Per esempio uno sciopero sabota  la produzione. Difendo l’uso legittimo del verbo sabotare nel suo significato più efficace e ampio. Sono disposto a subire condanna penale per il suo impiego, ma non a farmi censurare o ridurre la lingua italiana.”

La libertà di manifestazione del pensiero nasce una tradizione dell’antica Grecia, dove la libertà di parola, detta parresia, dal greco pan tutto e rhema ossia  “ciò che vien detto”, coincideva con la facoltà di ogni cittadino di esprimere liberamente la propria opinione durante le assemblee pubbliche. Certo vi era anche nella Grecia “illuminata” un’uguaglianza tra soggetti parziale, ma all’interno delle poleis negli ambiti politici e di vita pubblica veniva praticata questa dottrina. Successivamente la libertà del pensiero diviene principio fondamentale di tutte le Costituzioni democratiche. In Italia allo Statuto Albertino e alle successive leggi del governo Giolitti del 1912, che concedevano la libertà di espressione all’interno della libertà di stampa, subentra il sistema di censura del regime fascista sancito dal Codice penale Rocco del 1930. Nel dopoguerra l'approvazione del sopracitato articolo 21 della Costituzione segna, quindi, una  rottura con il Ventennio.

Un principio che immediatamente venne attaccato e limitato in diverse maniere affiancandogli prima il diritto alla riservatezza e il diritto alla segretezza, per esempio nel caso di segreti di Stato o d’ufficio, poi il diritto all’onore umano, inteso in senso di buona reputazione. Insieme a queste limitazioni formali sono inoltre presenti dei forti condizionamenti a livello pratico, che ne impediscono la corretta attuazione.

Questo principio è, quindi, fortemente limitato e si lega alla libertà di informare liberamente, e vede nel “diritto di cronaca” e di “informazione” dei casi emblematici. Questo impasse nasce da specifiche contingenze del nostro Paese, infatti il possesso dei canali privati di comunicazione non può che influire in maniera marcata sulla libertà di manifestazione del pensiero, mentre i canali pubblici rimangono sottoposti alle decisioni del potere politico vigente.

Partendo dalle parole di Erri  “Non è una mia vittoria  è stata impedita un’ingiustizia. E’ stata ripristinata la legalità dell’articolo 21” [1] questa sentenza dovrebbe essere usata da grimaldello sia per intaccare le regole di censura imposte dall’articolo 414 del codice penale fascista (tutt’ora in vigore) sia per ripristinare l'efficacia del principio costituzionale.

Rimangono, inoltre, all'ordine del giorno casi di discriminazione e repressione nei confronti di attivisti e simpatizzanti No Tav.

Diviene evidente quanto chi si fa portatore di messaggi, partecipa a iniziative di movimento, o semplicemente "simpatizza" con chi mette in pratica proteste per la salvaguardia dei territori o l'accrescimento di diritti, sia condizionato e limitato anche solo nel poter svolgere il proprio lavoro, rispetto a questo sono emblematiche le vicende legate ai licenziamenti "da parte della Questura" ad Expo2015, così come il rifiuto degli accrediti stampa sempre per la kermesse universale.

[1] Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.”