Non ci resta che (dis)obbedire

19 / 3 / 2012

abcIl referendum del 12 e 13 giugno ci ha consegnato il dato di una volontà di partecipazione e di presa di parola rispetto alla cosa pubblica senza precedenti. La voce di milioni di italiani si è espressa in maniera chiara rifiutando la speculazione su un bene vitale come l'acqua ed opponendosi alla privatizzazione del servizio idrico e di tutti i servizi pubblici locali: l'esito referendario afferma con forza l'interesse ad una gestione veramente democratica e partecipata di queste risorse.

Seguendo le direttive dei mercati finanziari, dopo soli due mesi il vecchio governo andava contro il risultato del referendum popolare, prendendo parola in merito alla gestione dei servizi pubblici locali. Non serve un'analisi particolarmente attenta per capire in quale direzione vada la manovra anticrisi di Agosto; senza troppi scrupoli, ad esempio, un passo della nuova legge ricalca parola per parola il comma 5 dell'articolo abrogato a Giugno con il primo quesito: “Ferma restando la proprietà pubblica delle reti, la loro gestione può essere affidata a soggetti privati”. L'attuale governo Monti prosegue nella stessa direzione, continuando ad ignorare l'esito del referendum e proponendo una via di uscita dalla crisi che passa dalla svendita sul mercato di quanto, fino ad ora, ne era rimasto fuori. In breve, l'intento del legislatore è chiaramente quello di dare in mano ai privati  la gestione dei servizi pubblici locali e questo è perfettamente in linea con l'augurio del presidente della proliferazione delle Spa per dare nuova crescita al paese.

Oltre ad essere il modello del privato che si appropria del bene comune, le aziende che attualmente gestiscono il servizio idrico (tutte Spa, ad eccezione della neonata ABC Napoli) continuano a trarre profitto dall'acqua senza rispettare l'esito del secondo quesito referendario, che abrogava la possibilità di far pesare sulla bolletta una quota di remunerazione del capitale investito. A Giugno abbiamo detto chiaramente che l'acqua non è un bene su cui speculare. Invece di iniziare a gestire in modo realmente democratico e collettivo i beni comuni, che per definizione si sottraggono al privato ed estendono la sfera del pubblico ad una sempre maggiore partecipazione e condivisione, è inammissibile che invece di iniziare a gestire in modo realmente democratico e collettivo i beni comuni, che per definizione si sottraggono al privato ed estendono la sfera del pubblico ad una sempre maggiore partecipazione e condivisione, si deleghi la gestione dell'acqua al privato e si permetta a quest'ultimo di trarne profitto. E non si tratta di pochi spiccioli: nelle bollette di Acque Spa, gestore della rete idrica pisana, questa quota corrisponde a quasi un quinto del totale pagato!

Per riaffermare l'esito referendario e pretendere la sua attuazione, si rende quindi necessaria una campagna che vada innanzitutto a riappropriarsi di quella quota che il privato continua, in maniera illegittima, ad esigere. Ma la campagna di obbedienza civile vuole essere molto di più: di fronte all'enorme contraddizione tra una legalità formale del governo ed un'illegalità con cui de facto si continua a tradire e ad arginare la scelta di milioni di persone, dobbiamo riaffermare con forza che le uniche decisioni legittime sono quelle che vengono prese in maniera diretta da tanti e diversi. É questa l'idea di democrazia che va ricostruita dal basso a partire dall'istanza di partecipazione che lo stesso referendum ha palesato. Per questo, una campagna di obbedienza civile vuole riaffermare una forma di fare politica che ormai abbiamo da tempo dimenticato: una democrazia legittimata unicamente e fondamentalmente dalla partecipazione diretta dei suoi cittadini.