Evitata la trappola del copione "noglobal"

Non è stato un ritorno al passato

La ricchezza e la forza delle mobilitazioni diffuse a Vicenza, L'Aquila, Ancona, Venezia e Roma

21 / 7 / 2009

Se c'era una trappola che bisognava evitare in occasione del G8 de L'Aquila era quella di rimpiangere i bei tempi andati e provare a mettere in scena sempre lo stesso copione, seguendo una formula un po' autistica e per niente comunicativa. I grandi media non aspettavano altro: ingabbiare in un bel quadretto i fantomatici «no global» sarebbe stato un ottimo modo di fare audience e ridicolizzare i movimenti. Non è andata così, soprattutto grazie alle tantissime proteste decentrate che hanno attraversato il paese in lungo e in largo e che proviamo ad elencare nelle pagine successive. In alcuni casi le azioni hanno provocato l'isterica reazione delle forze di polizia [le cariche al quartiere Ostiense di Roma del 7 luglio], in altri sono riuscite a bloccare i luoghi simbolici della crisi che viviamo. Così, gli studenti di molti atenei hanno invaso i rettorati per protestare contro gli arresti che hanno colpito i ragazzi dell'Onda e in tantissimi hanno invaso i porti di Ancona e Venezia in solidarietà ai migranti colpiti da rimpatrio forzato, in barba al diritto d'asilo.

C'è stata la piacevole sorpresa degli abruzzesi, che si sono ispirati alla grande scritta No Tav sulle montagne della Val di Susa e si sono guadagnati le prime pagine dei giornali esponendo di fronte al palcoscenico del G8 berlusconiano la scritta «Yes we camp». Lo scambio di visite reciproco tra
vicentini No Dal Molin e abruzzesi No New Town è il segno che la protesta per una giusta ricostruzione si è connettessa alle lotte in difesa dei beni comuni per legami materiali e non speculazioni ideologiche, come è emerso nel Forum per la ricostruzione sociale che si è tenuto a L'Aquila il 7 luglio.

Insomma, se la crisi ambientale, economica e sociale che le giornate del G8 genovese volevano denunciare è esplosa in tutta la sua violenza, la stragrande maggioranza dei 300 mila che manifestarono nel 2001 sfidando l'esercito impazzito ha capito che tutto si poteva fare fuorché scimmiottare in piccolo le manifestazioni di 8 anni fa. Lo stesso è avvenuto per i tanti giovani che si sono formati nei movimenti degli ultimi anni e che hanno introiettato lo spirito delle giornate genovesi e la sua eredità tragica e feconda, ma non hanno ceduto alla eterna trappola della ritorno al passato.

Il mondo è cambiato anche grazie ai movimenti, sarebbe un paradosso se fossimo proprio noi a non accorgercene. Le tante manifestazioni di piazza di questi giorni hanno ottenuto il risultato di mettere in scena il radicamento sociale dei movimenti, un fenomeno diametralmente opposto alla
rappresentazione virtuale del vertice e al patetico tentativo di ricostruirsi una credibilità istituzionale di Silvio Berlusconi e del suo governo fresco di leggi razziali.

Ma saremmo altrettanto ingenui se non riconoscessimo che accanto alle opportunità si presentano i rischi. In Europa, la profonda crisi della rappresentanza apre spazi di egoismo sociale e violenza. E nonostante i numeri relativamente limitati e l¹estensione della partecipazione a un corpo
sociale ristretto, si può affermare che le giornate dei NoG8 di questo 2009, in maniera diversa e con linguaggi differenti, dimostrano che esiste una rete di resistenza sociale all'odio e di costruzione di un terreno comune di difesa e proposte alternative. Forse servirebbe un passo avanti, un moto di
consapevolezza del proprio ruolo per accettare la sfida, vista la fine della sinistra e l'imbarazzante assenza della opposizione in parlamento. Forse servirebbe la capacità inedita di muoversi su due piani all'apparenza differenti, quello della difesa delle minime garanzie democratiche e quello della sperimentazione di un nuove forme della politica e del conflitto sociale.

Sullo sfondo, passato il vertice, rimane il tentativo bipartisan di far durare «lo spirito del G8» almeno fino all'autunno, nel tentativo di gestire la crisi e i suoi contraccolpi con provvedimenti «tecnici» che ricordano molto i dogmi liberisti di qualche anno fa, gli stessi che hanno portato il pianeta al collasso ambientale e democratico. Ecco la lezione di questi anni e i prossimi impegni della coalizione composita che ha contestato il G8 nella settimana in cui si voleva resuscitare il fantasma del «movimento no global».

da carta.org