Pochi giorni fa è stato celebrato, a dir la verità un po' in sordina tra la fiction di San Remo e gli apocalittici annunci della recessione ormai in corso, il ventesimo anniversario della cosiddetta “Mani Pulite”: interviste ai protagonisti, in particolare ai giudici e pm eroi di Milano, e amare riflessioni sull'oggi in "cui nulla è cambiato, anzi".

Non si esce vivi dagli anni '90? Appunti a vent'anni da Tangentopoli

Per non restare impantanati nella retorica moralista e giustizialista bipartisan, occorre ricostruire il contesto storico in cui avvenne quel passaggio di paradigma.

21 / 2 / 2012

Giuliano Santoro, su Micro Mega, individua una data fondamentale per spiegare il crollo della Prima Repubblica: 7 febbraio 1992, giorno in cui il settimo governo Andreotti firma il Trattato di Mastricht, la pietra miliare che segna l'avvio il processo che porterà all'unione monetaria europea. Tre anni prima, il crollo del Muro di Berlino, destabilizza le rendite di posizione che puntellavano il sistema politico italiano, facendo venire meno la necessità del blocco di potere nato attorno alla Democrazia cristiana, che ormai aveva assolto il suo compito storico: impedire un'alternativa politica guidata dal più forte partito comunista occidentale. In questo quadro, la spesa pubblica a pioggia e la corruzione partitica, utilizzati come strumenti di controllo delle lotte sociali esplose nel lungo '68 italiano, diventano un ostacolo allo sviluppo dei processi di globalizzazione economica. La “politica dei redditi”, sancita dal'accordo del 31 luglio 1992 tra sindacati e governo Amato, segna simbolicamente la restaurazione sociale iniziata con la sconfitta Fiat del 1980 e passata per l'eliminazione della scala mobile del febbraio 1984. Le nuove condizioni del mercato globale – definitivo superamento del ciclo fordista, delocalizzazioni produttive, centralità della dimensione finanziaria – non solo riducono una volta per tutte il salario a variabile dipendente del capitale, ma inaugurano il processo di nuova accumulazione originaria, attraverso il saccheggio del welfare, della formazione e dei servizi pubblici, dei beni comuni. In questo nuovo inizio, la funzione storica dello stato-nazione, intesa come spazio di mediazione dialettica tra interessi sociali diversi, non ha più ragione di esistere. E, con essa, il ruolo preminente dei partiti come strumenti di organizzazione e di indirizzo del consenso.

Per queste ragioni, un episodio minore di mazzette che coinvolge uno sconosciuto funzionario socialista, Mario Chiesa, dà il via libera al terremoto spettacolare che spazza un'intera classe dirigente. O quasi, perché nonostante la sconfitta storica, gli eredi del Pci, parzialmente “immunizzati” da una condizione permanente di opposizione, si ritrovano una struttura organizzativa ancora salda, che regge l'onda d'urto delle inchieste giudiziarie. In quel preciso istante, la miopia politica e l'incapacità di analisi delle trasformazioni economiche e sociali globali, traghettano la sinistra verso il suicidio politico. Alla magistratura si affida il ruolo catartico di azzeramento della vecchia classe dirigente, la politica diventa semplicemente corollario moralista e spazio subalterno ai nuovi totem alzati dal mercato globale: flessibilità e precarietà, competizione senza garanzie, produttività senza innovazione.

Ma basta leggere i dati recenti della Corte dei conti sui costi della corruzione in Italia, per capire che quella catarsi non ha funzionato. Ed ecco allora alzarsi dalla sedia commentatori indignati che gridano allo scandalo, alla “rivoluzione tradita”, all'anomalia italiana. Che ci sia una qualità storica specifica del malaffare italico è indubbio, basta studiare la genesi dell'apparato burocratico-amministrativo preunitario e il suo rapporto con la borghesia parassitaria e la criminalità organizzata. Il punto oggi è un altro: capire come la dimensione finanziaria e speculativa dell'economia globale renda sempre più labile la distinzione tra legalità ed illegalità. Quando Sergio Marchionne incassa centinaia di milioni di euro di stock options, grazie all'exploit in borsa e nonostante il calo delle vendite Fiat in Italia, significa che evidentemente siamo entrati in un nuovo paradigma: dalla produzione reale alla produzione di denaro a mezzo di denaro. Vendere titoli tossici, come i “derivati” o offrire mutui subprime ad altissimo rischio di insolvenza è tanto diverso dal vincere bandi pubblici con il massimo ribasso che produce una catena infinita di subappalti? Che differenza c'è tra le scatole cinesi delle holding finanziarie che aprono conti bancari nei paradisi fiscali, sottraendo ricchezze li dove vengono prodotte, e i pescecani del mattone che per costruire utilizzano materiali di risulta al posto del cemento?

La vicenda di Tangentopoli ha segnato un passaggio di fase, una messa a sistema (dal punto di vista economico, finanziario e istituzionale) di quelle dinamiche di malaffare che un tempo rappresentavano anomali ma efficienti strumenti di consenso al potere e di contrappeso delle spinte di cambiamento. Così come dalla speculazione edilizia degli anni sessanta - che rispondeva brutalmente a una esigenza diffusa - si è passati alla rendita immobiliare (pura valorizzazione finanziaria di beni che non hanno alcun rapporto con il loro valore d'uso), anche con la “rivoluzione” di Mani pulite, non solo si è registrata la fine di un'epoca, ma si sono ricostruite le condizioni di un nuovo modello economico ontologicamente corrotto e disuguale.

Tangentopoli, però, rappresenta anche l'apice della crisi della rappresentanza così come si è data negli anni '80, aprendo una nuova fase storica in cui lo scarto sempre più radicale tra società, nuovi bisogni e nuovi soggetti del lavoro non si ricompone dentro un nuovo patto sociale, né con una nuova architettura istituzionale. Non è un caso che in quegli anni emergono nuove forme di partecipazione civica – associazioni, centri sociali, reti di scopo, movimenti di opinione - ben oltre le ricette della vecchia politica, che rimette a tema il ruolo della "società civile". In nome di una presunta superiorità morale, la sinistra istituzionale, non solo non comprende le trasformazioni di paradigma, ma si condanna a gestire la fase di transizione senza alcuna bussola “riformistica”, sia sul piano sociale-economico che su quello culturale, dei diritti e delle libertà poste dai nuovi soggetti sociali. La stessa difesa "fanatica" della Costituzione da parte della sinistra istituzionale denota l'incapacità di immaginare un "riformismo vero" che intacchi lo stato delle cose presenti, e che aggiorni il patto costituzionale ai nuovi bisogni dei nuovi soggetti sociali "esclusi", sia in termini di diritti sia in termini di rappresentanza politica.

Sarà Silvio Berlusconi e il suo impero economico-mediatico ha scommettere fino in fondo sulla trasfigurazione autoritaria della stagione straordinaria di cambiamento culturale e sociale avvenuto in Italia negli anni settanta: le pratiche di liberazione diventano l'apologia de liberismo, la fuga dal comando di fabbrica si trasforma in egoismo proprietario, l'immaginario di rivolta si riduce alla trasgressione addomesticata dei palinsesti televisivi Fininvest.

E così se è vero che neanche la Seconda Repubblica non ha molto da ridere, segnata com'è da quel perverso intreccio tra comitati d'affari, media e politica incarnato da Silvio Berlusconi, come molta stampa ha amaramente fatto notare, cogliendo però esclusivamente l'aspetto "morale" e di "mal costume" rappresentato da Mani Pulite, come se bisognasse ancora tornare sulle tracce "dei valori perduti" della "rettitudine morale" "del senso delle istituzioni" smarriti da un ceto politico mediocre e corrotto.

La sostanza di Mani Pulite è a nostro avviso più complessa, molto più complessa, e interroga proprio la crisi della rappresentanza, l'architettura stessa di questa. L'insufficienza di istituzioni non più in grado di organizzare in senso verticale spinte, bisogni, interessi che provengono dalla società si è accompagnata alla crisi di tutti i corpi intermedi, in primis partiti e sindacati. Una crisi sostanziale della democrazia, non è un caso che dal 1983 l’aumento dell’astensione alle elezioni è una dato strutturale in Italia, aggravata dall’aggressivo esproprio della sovranità politica che il capitalismo finanziario e le sue istituzioni hanno compiuto nell’ultimo quindicennio e il cui epilogo è “l’onesto” governo dei tecnici guidato dal “moralizzatore” Mario Monti.

Non sappiamo ancora qual è la risposta a questa crisi irreversibile della forma delle istituzioni politiche e della rappresentanza così come le conosciamo, ma crediamo che la "felice intuizione" di sperimentare qui e subito "istituzioni del comune", nate da atti di conflitto che riescano a produrre contemporaneamente norma e nuove istituzioni, sia la strada da seguire.

Emiliano Viccaro Valerio Renzi