Non ti pago. In gioco non c'è un concerto, ma il diritto alla città.

A Pisa i collettivi universitari sfondano le transenne di Piazza dei Cavalieri per vedere il concerto di Capossela

10 / 7 / 2019

L'amministrazione comunale di Pisa a trazione leghista ha organizzato dal 3 al 10 luglio un evento musicale in Piazza dei Cavalieri denominato “Numeri Primi – Pisa Festival”. A tale proposito, in conferenza stampa di annuncio dell'evento, l'assessore alla cultura Buscemi ha dichiarato: “Il termine 'NumeriPrimi' vuole indicare persone con caratteristiche uniche e non replicabili ed è questa la filosofia che abbiamo sposato per realizzare il cartellone della rassegna, grazie ad un budget di circa 230mila euro. I prezzi dei biglietti sono piuttosto calmierati e, a seconda degli spettacoli, varieranno dai 18 ai 48 euro. Abbiamo poi previsto speciali convenzioni come ad esempio per gli under 30, gli over 60 e gli abbonati del Teatro Verdi. Ad ogni serata potranno partecipare al massimo 1200 persone che assisteranno agli spettacoli comodamente seduti”.[1]

Queste dichiarazioni in realtà si sono rivelate un “bluff”: in primo luogo, non è stata prevista nessuna calmierazione dei prezzi, nessun tipo di convenzione per favorire la partecipazione della cittadinanza più giovane, il soggetto principale dell'economia su cui si basa la città, Pisa infatti ha tre università e fonda la propria sopravvivenza economica sull'indotto che deriva dall'utenza universitaria.

In secondo luogo, tale evento, nasce dopo molti mesi di attacchi contro gli studenti universitari e la cosiddetta “movida”: la destra al governo ha proclamato “Pisa città della quiete” e si è spinta fino a usare le idropulitrici per cacciare chi si sedeva la sera nella scalinata di Piazza dei Cavalieri a chiacchierare, a suonare una chitarra e bere una birra in compagnia. Purtroppo non dispongo delle citazioni precise, ma ricordo anche una battuta rivolta dall'amministrazione comunale agli studenti che più o meno diceva: “abbiamo persino invitato quel vostro amichetto comunista di Capossela non siete contenti?”. Gli sfottò e l'arroganza della giunta non mancano, come non manca questa prova di forza tra socialità “da zecche” e la socialità “ordinata e pulita” proposta dalla Lega.

Non è possibile dilungarsi troppo, ma bisogna essere chiari, questo è il clima che si è venuto a creare nei mesi invernali e primaverili rispetto al festival Numeri Primi: combattere la presenza serale studentesca perché ritenuta fastidiosa e rumorosa. Quest'azione della giunta è meramente a scopo repressivo, infatti la Lega deve dimostrare al proprio elettorato la mano forte e la voce grossa temendo di perdere il consenso rabbioso piccolo-borghese. Continuamente e a più riprese a Pisa gli studenti e la parte più giovane della città viene criminalizzata e attaccata nei mesi estivi: chi ha aperto le porte dell'azione leghista è stato il PD di Marco Filippeschi, il quale – a forza di sgomberi dei centri sociali e a forza di ordinanze “anti-movida” – nei suoi due ultimi mandati ha stretto patti per la sicurezza con esponenti politici del calibro di Roberto Maroni e Marco Minniti.

In contrapposizione a questo clima qui brevemente riassunto, le reti dei collettivi studenteschi pisani hanno organizzato una protesta, tipica dell'esercizio politico della disobbedienza civile: organizzandosi in massa poco lontano da Piazza dei Cavalieri e, avvicinandosi in corteo, sono state poi sfondate le transenne, e in seguito è stata praticata l'auto-riduzione, entrando al concerto di Capossela. Tale atto ha suscitato lo sdegno del Sindaco e della giunta che parlano di “squadrismo”,[2] senza comprendere veramente le istanze rivendicate, infatti Capossela ha interrotto il concerto offrendo immediatamente il microfono agli attivisti per esprimere le proprie ragioni, proseguiendo il concerto, ormai aperto a tutti e a tutte.

Tra le diverse prese di posizione spicca quella di un musicista di Capossela, Peppe Frana che su Facebook ha scritto: “Compagni studenti pisani! Ieri avete fatto bene, le piazze non si chiudono, i concerti devono costare poco e chi ha pagato 50 euro e s'è sentito di fottere deve parlare con chi organizza i concerti transennando luoghi pubblici senza prevedere posti in piedi e ridotti per gli universitari, che siano ridotti veramente. Solo na cosa volevo dire alla compagna che ci è venuta a spiegare che ci stavamo facendo pagare dalla lega: non ci paga la lega, ma comunque, se ci sta un leghista talmente cretino da dare soldi a me, ai miei colleghi, a Vinicio o a voialtri ce li dobbiamo pigliare fino all'ultimo centesimo senza senso di colpa e senza fa i moralisti, comprarci il cappio a cui sarà appeso quando si farà la rivoluzione e fargli vedere lo scontrino mentre si strozza. Io qua non mi sento né puro né furbo ma a furia di fare tutti a chi è più puro si inizia a scarseggiare di furbi dalla nostra parte.”[3]

Il dibattito circolato nella città della Torre Pendente e poi nei social network ha preso piede con risvolti a tratti penosi: spesso nemmeno nella galassia di ciò che, dopo la rivoluzione francese, chiamiamo “sinistra” vengono comprese certe battaglie politiche. Si guarda il dito, anziché la luna, e la semplificazione è servita su un piatto d'argento alla stampa collusa con la giunta leghista nel descrivere gli attivisti come “studenti scrocconi figli di papà”. Fiumi di parole moralistiche su come si dovrebbero spendere i soldi e sul perché, riassumendo, “bisogna accettare lo status quo senza se e senza ma”. Al contrario, credo invece che gli attivisti e le attiviste, con questa protesta, abbiano posto delle questioni politiche molto importanti e dirimenti anche rispetto alla problematiche più generali che attraversano il nostro Paese.

L'assessore Buscemi e tutta la giunta hanno organizzato il ciclo di eventi che si sono aperti con il concerto di Capossela apertamente contro i giovani e meno giovani che frequentano quotidianamente Piazza dei Cavalieri. In nome della sicurezza e del decoro, contro “le birrette a poco prezzo” e la chitarra suonata in piazza, l'amministrazione comunale leghista ha deciso di organizzare un evento esplicitamente in antitesi a un certo universo sociale e culturale, contro un certo modo di concepire la socialità collettiva. Chi ha contestato l'evento e ha sfondato le barriere praticando l'auto-riduzione lo ha fatto per rivendicare l'uso pubblico di un “bene comune” come una piazza. Il nocciolo della questione è che un'amministrazione comunale non può blindare gli spazi pubblici e fare gli eventi a prezzi proibitivi per il 99% (come si usa dire negli ultimi anni). Non è accettabile che si chiuda una piazza per dieci giorni e la presenza in quello spazio dipenda dall'avere dai 30 ai 50 euro a serata. Gli spazi pubblici devono rimanere tali e si dovrebbe garantire un uso e una fruibilità gratuita di tutte le piazze, sempre. L'uso pubblico deve essere un principio dirimente sulla scelta di come destinare i “beni comuni urbani”, per citare un'espressione del geografo critico David Harvey. Una piazza pubblica non è uno stadio o un palazzetto dello sport affittato da un soggetto privato per organizzare il tour di un cantante (nonostante sia giusto porre il problema anche di come vengano utilizzati molti immobili pubblici a scopi privati). In modo particolare, un evento organizzato e patrocinato da una istituzione non può avere i medesimi costi proibitivi, in una piazza pubblica, al pari di un evento organizzato da un soggetto privato. Di conseguenza, se si organizzano simili eventi per la cittadinanza, ma poi si pongono tali restrizioni, è chiaro che la giunta ha in mente di rivolgersi a un determinato gruppo sociale e, viene da dire con una battuta, il “prima gli italiani” è ormai diventato il “prima gli italiani ricchi!”.

Un'amministrazione comunale all'altezza del proprio compito, se organizza simili eventi nell'ottica di una pubblicizzazione aperta e per il bene della cultura di tutta la città, deve organizzarli se possibile gratuitamente o almeno con prezzi molto bassi, dato che l'investimento per questo tipo di eventi è di un ente pubblico. In molte città d'Europa l'offerta culturale delle istituzioni è di gran lunga diversa e molto spesso gratuita rispetto all'imperante provincialismo italiano (che chiede istericamente allo studente di pagare il biglietto di un concerto, ma poi legittima l'evasione fiscale o l'autorità di esponenti di governo che hanno rubato alle casse dello Stato 49 milioni di euro).

Tuttavia, mi chiedo: perché desta così tanto scandalo la rivendicazione degli spazi pubblici e dell'uso comune di essi? Chi decide sulla destinazione d'uso degli spazi pubblici? Chi decide dell'organizzazione e della produzione dello spazio urbano? E infine chi decide sulla città? I pochi politici rinchiusi nei loro consigli comunali in nome del profitto? Perché non rivendichiamo più un buon uso, un uso legittimo e coerente degli spazi per tutti i cittadini?

Nell'attuale epoca in cui viviamo è fondamentale comprendere come sugli spazi urbani e sulle città si giochi una nuova “accumulazione originaria”: Harvey ha egregiamente argomentato su come la messa a valore degli spazi pubblici sia un passaggio dirimente del circuito economico che ha prodotto la crisi e che ancora oggi la alimenta. Inoltre, il filosofo e sociologo Henri Lefebvre, nella sua radicale critica all'urbanistica prodotta dal capitalismo, proponeva di pensare la città come “un'opera d'arte” a cui contribuivano democraticamente tutti i cittadini. Il suo celebre motto che lo ha reso famoso, ovvero il concetto di “diritto alla città”, non è altro che il tentativo di dare un nome a quelle spinte antagoniste e ribelli all'uso mercificatore degli spazi delle nostre città.

Quindi, mi chiedo: chi si trincera dietro la legalità dell'idea che “il biglietto del concerto va sempre pagato”, perché non si interroga sulle questioni più generali di come vengono organizzati certi eventi? Perché non si interroga se il Festival Numeri Primi è veramente un evento di cui ha bisogno la città? Nessun attivista ha messo in dubbio che la professionalità di un cantante vada pagata. Non è stato chiesto a Capossela di suonare gratuitamente, nell'ottica di sfruttare il suo lavoro non retribuito, infatti Capossela – avendo compreso la protesta – ha sostenuto le rimostranze. Ciò che viene chiesto, in sintesi, è che un'amministrazione comunale organizzi diversamente un evento “spacciato” sulla stampa locale come di interesse pubblico e aperto alla cittadinanza.

Infine, una riflessione andrebbe fatta anche su quale tipo di “tempo libero” e quale tipo di “vita quotidiana” ci viene offerta dalla società in cui viviamo. A volte, certi prezzi di determinati eventi sembrano una presa in giro, una provocazione, di fronte allo sfruttamento legalizzato che viviamo sul posto di lavoro, di fronte alle briciole del ricatto del “reddito di cittadiananza” a cinque stelle, di fronte all'inerzia di un governo che usa i fenomeni migratori per distrarre il dibattito politico dall'emergenza sociale dilagante, rispetto alla contrazione dei diritti sociali più basilari per poter vivere una vita degna.



[1]    Link: http://www.pisatoday.it/cronaca/numeri-primi-pisa-festival-programma-concerti-2019.html

[2]    Link: https://www.controradio.it/irruzione-a-concerto-capossela-conti-e-squadrismo/?fbclid=IwAR1OUlQHuoPSRsgE46s-eO4r0kRzqDIWTOMeSVgBhyrgw6Cy1I9J5g0tZhk

[3]    Link: https://www.facebook.com/peppe.frana?__tn__=%2CdCH-R-R&eid=ARCDbBaTj3PanbSJbzfUCjuQgK7uJ2K1aqHuD4r5RB6Z9prZ5L3Qn8YDJ4SvWW_naI6jlPiNWvJH96Fc&hc_ref=ARQ3a32pF4jYof0FVJGGPJlsyel-PZ5A17LIZJz4voIRCjJTk_FlHjVb3qJJ22dfycU&fref=nf