Obama, è questa la tua democrazia?

5 / 7 / 2009

Nella giornata dell’indipendenza, Vicenza si trova sotto occupazione militare; migliaia di agenti in assetto antisommossa, con i manganelli in pugno e le maschere antigas al volto, si sono schierati fin dalla mattina nell’area limitrofa al Dal Molin, smentendo le parole del questore Sarlo che nei giorni passati aveva dichiarato che il corteo sarebbe stato libero di percorrere le strade della città.

Una prova – l’ennesima – dell’arroganza di chi vuol imporre la nuova base statunitense; un messaggio chiaro, a sfidare coloro che, a Vicenza come altrove, si ostinano a “osare la speranza”. Nella città del Palladio, diceva quel ingente quanto minaccioso schieramento di militari accompagnati da decine di mezzi blindati, la democrazia non esiste. Accettare e aver paura è quel che il governo chiede ai vicentini.

Una situazione, quella che si sono trovati di fronte i manifestanti quest’oggi, sulla quale Obama ha da dare più d’una spiegazione. Perché se questo è il cambiamento promesso dal presidente statunitense, qualcosa non torna. Non solo ai vicentini è stato vietato esprimersi con una consultazione popolare; non solo è stato impedito ai cittadini di conoscere le conseguenze che avrebbe la realizzazione del progetto, attraverso una Valutazione d’Impatto Ambientale. Quest’oggi, con lo schieramento provocatorio di migliaia di carabinieri ai margini del percorso della manifestazione, si è anche tentato di impedire l’espressione del dissenso.

Come scriveva il commissario Paolo Costa, per chi vuol imporre la nuova base è necessario “sradicare alla radice il dissenso locale”; e, visto che di argomentazioni convincenti a sostegno del progetto non ce ne sono, da alcuni mesi la questura ha deciso di mostrare il muso duro. Botte lo scorso 6 settembre sui vicentini seduti per terra; minacce il 10 febbraio contro chiunque osava avvicinarsi a Via Ferrarin. E, oggi, un’occupazione militare che ha fatto sembrare Vicenza una zona di guerra più che una città in cui è riconosciuto il diritto democratico di manifestare.

È servito il coraggio di esserci di migliaia di persone – almeno 20 mila – per difendere il diritto di percorrere strada S. Antonino senza la minacciosa presenza di manganelli e maschere antigas; è servita la determinazione di una mobilitazione che per il suo non volersi arrendere all’imposizione viene messa all’indice come violenta ed estremista.

Ma a chiunque percorreva oggi l’area intorno al Dal Molin era evidente chi difende l’illegalità e chi la democrazia: da una parte migliaia di agenti armati di tutto punto, a intimidire una città che vuol costruire il proprio futuro; dall’altra un corteo composito, trasversale, che ha capito che i reticolati e la militarizzazione del territorio sono la metafora dell’imposizione. Chi oggi difendeva militarmente il Dal Molin ha difeso un’illegalità imposta con l’autoritarismo; e accettare questa situazione senza rivendicare con determinazione il proprio diritto a manifestare liberamente equivaleva ad alzare le mani di fronte a coloro che vogliono calpestare, con i propri scarponi chiodati, la città berica.

Lo sappiamo: domattina si aprirà la gara dei moralisti; perché in tanti preferiscono abbassare la testa al violento vassallo di turno – il questore Sarlo – invece di denunciare l’insopportabile occupazione della città. Perché troppi non hanno il coraggio di riconoscere che i manifestanti hanno il diritto di tutelarsi e difendersi di fronte a un’arrogante rappresentazione della forza con la quale lo Stato vorrebbe far valere la propria decisione di costruire la base.

Oggi abbiamo visto il vero volto di chi vuol imporre la base: arrogante, minaccioso, violento; volevano costruire una trappola in cui far sfilare un corteo umiliato e minacciato dallo schieramento, ai suoi lati, di migliaia di militari. Ma, oggi, abbiamo visto ancora una volta il volto della Vicenza che ama la sua città: incredula, di fronte a tanta militarizzazione, ma anche determinata e incazzata. La città berica non si fa calpestare. No Dal Molin? Yes, we can.