Nasce il BU.S.O., "BUso Sociale Occupato". Il comunicato di #occupytrieste.

#occupytrieste - i laboratori di democrazia sono legittimi

14 / 11 / 2011

Venerdì 11.11.11 volevamo riempire uno spazio vuoto. Sì, lo sappiamo che è illegale: però crediamo con fermezza che sia legittimo. È legittimo rivendicare la libertà di utilizzare spazi vuoti per costruire alternative alla crisi e al futuro che essa ci prospetta, per fare piani, per progettare, per stare insieme. È legittimo strappare uno spazio al nulla che lo riempie e al decadimento che lo attende per restituirlo alla città.

In questo senso, eravamo noi a difenderlo venerdì, non sicuramente la polizia.

È legittimo desiderare fortemente una Agorà, una piazza per costruire una democrazia reale, in cui si possa discutere di ciò che riguarda la vita reale delle persone. Questa è la volontà che ci muove, che ci spinge a rivendicare questo spazio, spazio che è bene comune. Liberandolo venerdì volevamo opporci al saccheggio di tutto ciò che è comune. Se per fare ciò è necessario disobbedire a leggi che non ci sembrano legittime, è quello che faremo. Non siamo votati a nessuna obbedienza ad ogni costo, noi.

Sui fatti di venerdì sono state dette molte cose.

È stato detto che un fitto lancio di lattine ha colpito gli agenti costringendoli a caricare i manifestanti. Curioso come due o tre lattine lanciate dopo la cosiddetta “carica di alleggerimento” che ha colpito il nostro compagno siano diventate un “fitto lancio”. In ogni caso riteniamo che due o tre lattine semivuote non siano un motivo valido per caricare e picchiare ragazzi – tra cui molti minorenni – a volto scoperto e mani alzate.

È stato detto che ci sono 4 agenti feriti, con prognosi tutte di 7 giorni (guarda caso esattamente il numero di giorni necessario per richiedere l'infortunio sul lavoro).

Ci sembra difficile credere che lattine semivuote o ragazzi a mani alzate siano riusciti a provocare anche solo leggere contusioni ad agenti addestrati e corazzati con divise antisommossa dotate di caschi, scudi e protezioni di ogni genere. Se anche ciò fosse vero, la differenza tra le prognosi di questi agenti e quella del nostro compagno ferito – 15 giorni – ci sembra sufficiente a rendere bene la sproporzione fra l'”azione” dei manifestanti e la reazione della polizia.

Ci sembra più probabile che questi agenti si siano feriti da soli nella foga che hanno impiegato per respingerci, testimoniata anche dal fatto che alcuni dirigenti della Digos – che in piazza non avevano nessun possibile margine di mediazione, esautorati dai dirigenti della Questura - si sono frapposti fra loro e i manifestanti cercando di bloccare la carica. Ciò forse dovrebbe aprire per tutti una riflessione sulla volontà politica espressa dal Questore di normalizzare immediatamente ogni situazione eretica che si possa creare in questa città.

Il nostro compagno è stato ferito di spalle, mentre era girato per dire agli altri di indietreggiare per sfuggire alla carica. Mentre era a terra stava per essere colpito di nuovo, il ragazzo che l'ha soccorso è stato colpito sulla schiena da un'altra manganellata di nuovo indirizzata a lui.

Altre cose false sono state dette: e noi ancora una volta ci troviamo a ripetere che nel nostro movimento non ci sono leader, c'è una condivisione di intenti e pratiche. Che non siamo chiusi al dialogo, venerdì stesso le trattative con le forze dell'ordine sono durate ore, partendo dall'ipotesi si una occupazione a progetto per un'assemblea che esprimesse un percorso di autoformazione cittadina sulla crisi in un luogo così evocativo. La risposta che ci è sempre arrivata è stata un categorico “no” ad ogni ipotesi. Ribadiamo che alla luce di ciò, e non a priori, il dialogo è stato impossibile.

Ebbene, oggi siamo arrabbiati. Siamo arrabbiati per la violenza che ci ha colpito, noi che dall'inizio del nostro movimento non abbiamo posto la “violenza” come un'opzione politica e in piazza eravamo a volto scoperto e mani alzate.

Sì, siamo costernati nel vedere quanta foga, violenza, intransigenza e ottusità si sia utilizzata per difendere uno spazio vuoto e abbandonato, inutile per la città e privo di senso.

Sì, siamo indignati nel vedere come ancora una volta la violenza ingiustificata delle forze dell'ordine sia protetta, tutelata e addirittura elogiata da superiori e istituzioni, che riescono addirittura a manipolare i resoconti dei fatti proposti dai quotidiani.

E avremmo alcune domande da porre, perché quando c'è qualcosa che ci sembra oscuro cerchiamo di capirlo, non di ignorarlo (noi non costruiamo muri, cerchiamo di aprire strade). Vorremmo chiedervi: non è che questa risposta così intransigente e categorica, così violenta anche, è dovuta al fatto che in fondo #occupytrieste fa paura? Non è che fa paura il fatto che in tutta Italia le città occupate da tendopoli si stanno moltiplicando? Non è che fa paura che in alcune di queste città degli spazi sono stati presi e liberati, sono stati restituiti alla città, sono stati trasformati da palazzi vuoti e inutilizzati a laboratori di ricostruzione della democrazia, centri di socialità, di confronto, di partecipazione, di costruzione di un'uscita dalla crisi? E tutto ciò, non è che fa paura perché abbiamo ragione, e sono gli scudi e i manganelli, materializzazione dei “niet” pronunciati da sale e poltrone così distanti dalla strada, a difesa di spazi e democrazia pieni di nulla, ad avere torto marcio?

Noi continuiamo a stare in piazza e nelle strade, abbiamo occupato un piccolo ufficio nella zona antica di Trieste, ne abbiamo fatto uno sportello anti-crisi, in cui la città possa incontrarsi per parlare, per confrontarsi fra tutti, per condividere idee e spunti di riflessione. È il nostro Bu.S.O (Buco Sociale Occupato), è la nostra casa finché non troveremo uno spazio più grande. Perché non abbiamo nessuna intenzione di arrenderci, “fissati come siamo che ogni spazio maltrattato funziona molto meglio come spazio occupato”.