Il terremoto dell’Irpinia come grande esempio di shock economy in Italia.

O'Shock

di Antonio Musella

19 / 11 / 2010

A Rocca San Felice in Irpinia i presagi avevano imparato a leggerli.
Proprio li’ dove c’e’ la pozza di fango detta Mefite[1], dove i popoli pre romani avevano adorato la dea della fertilita’, dove le emissioni improvvise e fortissime di anidride carbonica allo stato puro avevano ucciso uomini, animali, guerrieri, le cui carcasse ancora oggi giacciono sul fondo della pozza.
Quando la  pozza cominciò a ribollire e poi improvvisamente a disseccarsi, quando il prete del paese notò che proprio in ciò che restava della pozza si stava scatenando una tempesta di strani fulmini globulari, si capì che qualcosa stava per accadere. Era la notte del 22 novembre del 1980, il giorno dopo fu a Rocca San Felice in Irpinia, nella pozza del Mefite, a due passi dalla Via Appia dove Virgilio aveva collocato una delle porte dell’inferno, che si registrò l’epicentro del sisma che distrusse il Sud Italia. Quando il 24 novembre del 1980 , poche ore dopo il sisma che distrusse la Campania e la Basilicata, il principale quotidiano napoletano “Il Mattino”, titolò “Fate presto !” nessuno poteva immaginare che quel titolo, a trenta anni di distanza, potesse suonare come un invito alla speculazione.

Eppure fu proprio così.

Davanti agli occhi sconvolti, alle vite distrutte, alle abitazioni rase al suolo, al cambiamento radicale del paesaggio che quell’evento naturale scatenò, i poteri forti fecero così presto da decidere in pochi mesi il futuro della Campania e delle aree colpite dal sisma per i futuri decenni. La necessità di ricostruire e di fare presto appunto, ben si coniugava con la necessità dei politici e degli imprenditori di allora di piazzare affari memorabili.
Un terremoto della magnitudo 6,9 della scala Richter, 687 comuni coinvolti di cui 3 completamente rasi al suolo, un’area colpita di 17.000 Km quadrati, 150 mila abitazioni ricostruite a spese dei contribuenti, 58.640 miliardi di vecchie lire spesi secondo una stima del 2000, 70 milioni di dollari investiti dagli Usa, 32 milioni di dollari investiti dalla Repubblica Federale Tedesca[2], altri 100 milioni di euro stanziati nella finanziaria 2006 dal governo Prodi.

Così si alimentò notevolmente quel flusso ininterrotto di denaro pubblico nelle casse dei grandi potentati economici legati al gruppo Fiat, alle grazie della Dc e del Pci di allora, nonché ai grandi costruttori, ed ovviamente alla camorra, che già la Cassa per il Mezzogiorno da qualche decennio sosteneva. La teoria della shock economy coniata dal lavoro della giornalista canadese Naomi Klein, trova nella storia contemporanea della Campania, fino ad arrivare all’attualità due momenti in cui questo tipo di ricetta può essere rintracciata.
La prima come si è accennato è quella del post terremoto del 1980.

La seconda, ben più crudele, perché lo shock non è causato da un evento naturale ma è indotto, è legato all’emergenza rifiuti degli ultimi anni.
Cosi’ come il dopo-terremoto portò a ridisegnare completamente la mappa degli insediamenti produttivi in Campania e nel Mezzogiorno, riordinando equilibri, tessendo nuove reti di interessi, cosi’ attraverso la crisi rifiuti, vediamo come il flusso della spesa pubblica finisca direttamente nelle tasche di una vera e propria lobby. La gestione del dopo-terremoto così come quella successiva dell’emergenza rifiuti, significa per il Sud la trasformazione ulteriore in zona ad economia di sottosviluppo. Dove per sottosviluppo si intende, come ci raccontava Luciano Ferrari Bravo , un meccanismo di sviluppo di un territorio che avviene in maniera subalterna ad un altro , ovvero il Nord del paese. Negli anni sessanta e settanta eravamo l’esercito di forza lavoro di riserva, alimentando l’emigrazione di massa, oggi diventiamo l’immondezzaio d’Europa e terreno di conquista dei mercati per costruttori ed inceneritoristi.
Il filo che lega le due emergenze a trent’anni di distanza è innanzitutto lo strumento della legislazione straordinaria. Ieri Zamberletti oggi – fino a poche settimane fa - Bertolaso, anche se come sappiamo il quadro normativo vigente ci dice che la gestione commissariale è finita. Le due leggi chiave la 123 del 2008 (già D.L. 90) e la 26 del 2010 (già decreto di fine emergenza rifiuti) e la mirabolante legge 219 del 1981, costituiscono lo strumento di piano economico per l’applicazione delle ricette da shock economy.

La legge 219 del 1981 fu il piano della divisione dei fondi del dopo - terremoto, arrivati - in un stima della fine degli anni ’90 - a 60.000 miliardi di vecchie lire.

La legge 219 assegnò all’Irpinia gli insediamenti produttivi gestiti dalla Democrazia Cristiana tramite la Banca Popolare dell’Irpinia di proprietà della famiglia De Mita.
Il gruppo Fiat ed il gruppo Parmalat divennero tra i principali benefattori di una legge assurda che rimborsava il 90% dell’opera finale anche dopo aver costruito solo il 50% dell’opera complessiva.

Prendi i soldi e scappa.

Ed è per questo che in un territorio che per centinaia di anni ha vissuto di agricoltura e pastorizia oggi campeggiano capannoni abbandonati in mezzo al verde.

La Fiat di Pratolaserra, la Iveco di Flumeri , la Dietalat di Nusco del gruppo Parmalat, gli stabilimenti siderurgici della IMS del gruppo Bitron a Morra De Sanctis sono tra i principali impianti industriali costruiti, oltre al distretto per la lavorazione delle pelli a Solfora ed il distretto tessile a Calitri.

Investimenti per lo più falliti completamente lasciando solo desolazione sui territori e tanti soldi della legge 219 nelle tasche delle imprese del Nord. Tanto che anche le imprese irpine che parteciparono alla costruzione degli insediamenti produttivi, ancora oggi, avanzano crediti dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Si arrivò al punto che l’8 agosto 1997 l’ufficiale giudiziario ordinò il pignoramento di Palazzo Chigi per somme di competenza della presidenza del Consiglio presso la Tesoreria centrale dello Stato per circa 200 miliardi di vecchie lire piu' interessi[3], su richiesta di un gruppo di aziende e di consorzi edilizi che avevano realizzato lavori di risanamento e di ricostruzione a Napoli e in Campania nel quadro degli interventi del dopo - terremoto del 1980.

Ma di ciò non c’e traccia di ammissione nella relazione finale della commissione d’inchiesta presieduta da Oscar Luigi Scalfaro nel 1991, che valutò tutti “congrui” gli investimenti. A valutarne “l’adeguatezza” c’era Luigi Abete, allora responsabile dei giovani industriali e di lì a poco presidente della Confindustria.

L’affare veniva continuamente rifinanziato attraverso un periodico “nuovo censimento” dei comuni colpiti dal terremoto. Nel 1980 l’ex ministro Ortensio Zecchino fece inserire nella lista dei comuni colpiti dal sisma e che quindi avrebbero potuto usufruire dei fondi della legge 219, oltre quaranta comuni del Sannio e dell’Avellinese colpiti da un sisma di quarant’anni prima !

D’altronde lo scandalo della Banca Popolare dell’Irpinia ci racconta molto degli attori politici che insieme al gruppo Fiat e Tanzi gestirono l’affare : Antonio Gava - più volte ministro delle poste Dc e capo indiscusso del partito a Napoli;  Nicola Mancino - ex Dc, già presidente del Senato e vice presidente del Csm; Vincenzo Scotti - ex Dc, ex ministro dell’interno ed attualmente leader del MPA; Ortensio Zecchino - ex Dc, ex ministro dell’università, oggi nel Udc; Paolo Cirino Pomicino - leader della Dc e deputato Udeur nel governo Prodi; Antonio Fantini - ex Dc ed attualmente segretario del Udeur a Napoli; Giulio Di Donato - vice segretario del Psi , e principale condannato della tangentopoli napoletana, oggi segretario regionale del Udeur in Campania; Francesco De Lorenzo - ex PLI, ex ministro della Sanità, celebre per le truffe sulle trasfusioni e sul sangue infetto negli ospedali; tutti condannati insieme al commissario straordinario Zamberletti, nello scandalo della Banca che tutti chiamavano “lo sportello di casa De Mita”.

La stessa banca passata poi successivamente sotto l’ombrello protettivo della Banca di Roma e quindi del gruppo Capitalia di Geronzi dopo lo scandalo del 1987, fondendosi inoltre con la Banca Popolare di Pescopagano cresciuta e pasciuta sotto l’ala protettiva di Paolo Cirino Pomicino. La popolare dell’Irpinia gestiva i crediti alle aziende e tutti i fondi del dopo terremoto venivano gestiti dalla Dc tramite Ciriaco De Mita e la sua banca. Come dimostrò anche la sentenza del processo all’istituto creditizio conclusosi nel 1988, secondo i giudici del tribunale romano chiamato a giudicare sulla controversia, era giusto scrivere che i fondi del terremoto transitavano nella banca di Avellino e che la Popolare è una banca della Dc demitiana[4].

Ma il buon Geronzi salvò la banca demitiana dopo il crack seguito allo scandalo, e forse è da li che le due famiglie (Geronzi e De Mita) decidono di investire insieme, e con lo stesso stile anche per il futuro. La figlia di Geronzi ed il figlio di De Mita erano tra i principali soci della Gea, agenzia di calciatori ed allenatori sotto l’influenza di Luciano Moggi finita nello scandalo di calciopoli nel 2006.

A Napoli invece toccò la parte della ricostruzione delle case, gestita interamente dal Pci con l’allora sindaco Valenzi protetto a Roma da Giorgio Napolitano e l’affidamento della costruzione dei nuovi e scandalosi rioni popolari della città affidati tra gli altri alla CMC ed alla CCC della Lega delle Cooperative, oltre ai grandi cartelli camorristici. Oltre 20 mila miliardi di vecchie lire fu l’investimento verso le cooperative rosse.

Ponticelli, Scampia, San Giovanni a Teduccio, Monteruscello, e tanti altri luoghi della provincia di Napoli devono la loro assurda composizione urbanistica alla legge 219 in cui tutti avevano fretta di costruire - male - e scappare via coi soldi.
Le Vele di Scampia vengono fuori proprio da questo disastro.

Eppure è strano che a Napoli toccò la parte di ricostruzione, quando nel capoluogo partenopeo venne giù solo un palazzo, in Via Stadera a Poggioreale, causando tuttavia 52 morti, mentre in Irpinia decine e decine di comuni vennero completamente distrutti.

La vicenda della ricostruzione a Napoli, in cui ovviamente anche la camorra ebbe la sua parte con i grandi cartelli di costruttori da Marano ad Afragola , non fu colpita dagli scandali scoppiati invece in Irpinia.

La commissione d’inchiesta del 1991 guidata da Oscar Luigi Scalfaro tenne fuori Napoli ed il post terremoto, gestito in città principalmente dai comunisti del Pci.

In questa vicenda l’elemento chiave sembra essere  l'onorevole architetto Francesco Sapio.

Sapio, già presidente della Commissione lavori pubblici per il Pci, lavorò alla commissione d’inchiesta guidata da Scalfaro proprio a ridosso dello scontro interno alla Democrazia Cristiana nel 1991 – 1992 per la Presidenza della Repubblica. Tra Giulio Andreotti - sostenuto tra gli altri da Pomicino - e Arnaldo Forlani - sostenuto tra gli altri anche da De Mita - alla fine la spuntò proprio Scalfaro.

Sapio fu decisivo nel dirottamento dei voti del Pci su Scalfaro per la poltrona del Quirinale. Un uomo di interessi forti Francesco Sapio,l'ex ministro dei Lavori pubblici Luigi Prandini fece il suo nome come quello del "referente" delle cooperative rosse che gli faceva visita al ministero. Sempre l’architetto era nel consiglio di amministrazione di una delle finanziarie del fratello di Walter Veltroni, coinvolte in un "buco" di 200 miliardi. Dopo l’elezione di Scalfaro a Presidente della Repubblica, Sapio si trasferì con lui con il ruolo di responsabile del servizio patrimonio[5].

Insomma una shock economy anche lì che causò una mappa dell’Irpinia completamente stralunata rispetto a prima del 23 novembre del 1980, ed a Napoli portò all’espulsione dei ceti popolari dal centro della città verso una periferia che dì lì in poi cominciò ad essere sterminata. Una mappa “stralunata” dell’Irpinia dunque, tanto da far costruire delle vere autostrade laddove prima c’erano le mulattiere. È il caso della Ofantina Bis, la superstrada che arriva a Nusco paese natale di De Mita e che collega Avellino all’alta Irpinia. 

Un investimento catastrofico per le casse dello Stato ma estremamente proficuo per le casse delle grandi imprese. La stessa Corte dei Conti con il comunicato stampa n° 6 del 19 febbraio 2001 in relazione alla gestione fuori bilancio di cui all’art. 32, L. 219/81 (Relazione di nuove aree industriali per insediamenti produttivi nelle zone danneggiate dal sisma negli anni 80/81) sostiene : “I risultati della gestione degli interventi rivolti alle imprese industriali che si sarebbero insediate nei territori colpiti dal sisma negli anni 80/81, hanno solo parzialmente corrisposto agli obiettivi previsti dalla normativa. L’obiettivo del legislatore era quello di stimolare le imprese del nord a trasferire impianti e investimenti nel mezzogiorno, in modo da sollecitare la crescita dell’imprenditoria locale, ma ciò non si è realizzato visto che molte imprese hanno considerato la legge una occasione per accedere a finanziamenti pubblici, ed esse, ottenuto il consistente acconto iniziale, pari al 90%, non hanno portato a termine l’iniziativa, mentre tutti i provvedimenti legislativi successivi si sono rivelati nient’altro che un rifinanziamento delle imprese locali.”
Lo scenario pare abbastanza chiaro anche alla corte dei conti dunque.
I giudici sottolineano anche  la circostanza, che, in alcuni casi, l’elevato costo delle infrastrutture, rapportato al limitato numero delle imprese insediate e ancora attive, ha fatto sì che il costo medio per occupato, tenuto conto altresì dei contributi erogati e del numero degli occupati effettivi rispetto a quelli previsti, fosse vicino a 2 miliardi di lire ad occupato rispetto all’importo previsto di circa 640 milioni.
La conclusione della Corte dei Conti è la seguente : “Gli indicati elementi, analiticamente espressi in relazione, portano ad un giudizio complessivo negativo sulla gestione sia sotto il profilo della regolarità che sotto gli ulteriori profili dell’efficacia, dell’efficienza e dell’economicità. “Il vero fallimento degli obiettivi individuati dalla legge 219/81”, così come affermato dalla stessa amministrazione in adunanza, “risiede nel fatto che ci siano voluti tanti anni per arrivare all’attuale situazione e che altro tempo occorre avere per la definitiva realizzabilità degli obiettivi”.

Fu proprio attraverso l’articolo 32 della legge 219/81 che si costruì il sistema di collusione e corruzione tra politici, camorra ed imprese del nord, grazie all’articolo dedicato alla costruzione di insediamenti produttivi, che furono produttivi solo per chi né incasso i finanziamenti statali e non certo per i cittadini del territorio e per gli operai che vi lavorarono[6].
Gli enti pubblici come la Regione Campania e la Regione Basilicata ad esempio, come previsto dall’articolo 32,  individuavano le aree da dover mettere a disposizione delle aziende, ovviamente tutte del Nord, per costruire le loro attività produttive.

Il risultato fu che la maggior parte degli interventi non venne concluso e le attività produttive che furono realizzare costituirono un sostanziale piano di colonizzazione delle aziende del Nord nella regione Campania.
La legge 219/81 è stato uno strumento di pianificazione economica di lungo corso assumendo pienamente in sé la subalternità Nord/Sud come una costante di piano.
Uno strumento della shock economy senza dubbio, così come poi decenni più tardi lo è stata la legge 123 del 2008 – o decreto 90 che dir si voglia – sull’emergenza rifiuti.

Sulla ricostruzione delle case invece si continuò per anni con il cosiddetto “stato di avanzamento dei lavori” che tradotto significa abbiamo bisogno di altri soldi per continuare.
Si partì da 8.000 miliardi di vecchie lire…si è arrivati a 60.000….

Un terremoto che fu dunque lo “spinn off” della nuova speculazione, ma ebbe soprattutto un impatto sociale determinante per gli scenari che si costruirono in Campania e nel Sud negli anni’80 e ’90. Una shock economy in salsa napoletana che rappresenta probabilmente la più grande operazione speculativa che l’Italia abbia mai conosciuto.

Davanti alle cifre del terremoto dell’Irpinia impallidiscono quelle della speculazione sui Mondiali di calcio del 1990 così come quelli del terremoto in Abruzzo.

Una storia assolutamente attuale che ci serve per comprendere non solo i fenomeni di shock economy nel paese e nel Mezzogiorno, ma anche per capire in che modo la Campania tutta è stata modellata e trasformata sul crinale della subalternità.

Uno studio più che mai attuale.



[1] La Repubblica , “Capatina all’inferno” di Paolo Rumiz, 19 agosto 2009

[2] Ippolito Negri. La grande abbuffata: Mani rapaci sull'Irpinia del terremoto, ASEFI, 1996

 [3] Da “Corriere della Sera”, “Pignorati i conti di Palazzo Chigi”, brevi, 8 agosto 1997

[4] Da “La Voce della Campania” , “Zitti e ammutinati”, di A.Cinquegrani, settembre 2007

[5] Da “Corriere della Sera”, “Scalfaro e la guerra continua contro De Mita e Mancino”, del 26 novembre 2000

[6] A.a. V.v.“Trash la metropoli ed i suoi rifiuti”, A.Musella in “Earthquake.La shock economy in salsa napoletana”, Quaderni di Contropiano 2009