Padova - Open Your Borders: una giornata di transizione

24 / 2 / 2021

Per la prima volta Sabato 6 Febbraio, dopo vari anni di attività l’associazione Open Your Borders ha svolto una presentazione pubblica.

Oltre ad essere la prima, ciò che ha connotato la presentazione è la modalità con la quale si è tenuta, che ha rappresentato per noi un'anomalia, un qualcosa che non eravamo abituatə a fare.

Lo scopo dell'iniziativa, infatti, non era tanto quello di mostrare e restituire alla città le svariate attività svolte nel corso degli ultimi anni, quanto quello di sfumare, cambiare, mettere in discussione, criticare i confini del nostro operare e della nostra identità.

La giornata si è svolta al Centro sociale occupato Pedro, creando tutte le condizioni necessarie per mettere le persone a proprio agio e per potersi esprimere.

Si è scelta la sistemazione a "cerchio",e dopo aver parlato di quello che già facciamo e creato discussione su tematiche inerenti a confini ed accoglienza, si è passati allo svolgimento delle attività laboratoriali sulla scuola e sull’help desk.

La discussione

Oltre alla disposizione a cerchio, abbiamo deciso di tenere la discussione in inglese per mettere tuttə nella condizione di potersi esprimere.

Partendo dalla presentazione di ciò che politicamente è stato Open Your Borders, che per anni ha fondato la propria azione e il proprio pensiero sull'"antirazzismo classico", abbiamo poi posto le nostre perplessità: percepiamo che l'antirazzismo classico, che mirava alla tutela dei diritti dei migranti ma perpetuando di fatto una modalità protettiva tra "noi" e un "loro", deve essere superato, ma per andare verso dove?

La scissione tra un "noi" ed un "loro" deve essere abbandonata, le chiavi di lettura politica del presente devono essere cambiate e ci stiamo attrezzando per farlo.

L'antirazzismo classico ha trovato il proprio darsi materiale attraverso la scuola di italiano LiberaLaParola, attiva da oltre dieci anni, con l'intento  di abbattere gli ostacoli che le persone migranti incontrano nell’apprendimento dell’italiano.

Il tutto dentro un quadro di autodeterminazione della persona, alla quale vengono fornite gratuitamente degli strumenti utili per poterla raggiungere.

Il lato didattico non esclude il lato sociale- aggregativo, di condivisione e di mutuo scambio.

Organizziamo, infatti, da sempre cene, pranzi o alcuni semplici momenti di incontro.

In questi casi, la priorità dell’insegnamento dell’italiano lascia spazio a quello della spontaneità: si parla e ci si confronta in inglese, francese, spagnolo e altri linguaggi non alfabetici, a cominciare dalla musica.

Con modalità relazionali e obiettivi diversi, ma sempre in una cornice di autodeterminazione della persona, l'associazione tiene, da quasi tre anni, uno sportello di bassa soglia, di orientamento e supporto legale chiamato Help desk.

Sportello di bassa soglia che permette di indagare le contraddizioni e le problematiche territoriali, in tema di immigrazione, lavoro, casa e reddito, incarnate dall'utenza che costantemente usufruisce di questo servizio.

Ponendo inizialmente la nostra attenzione sui richiedenti asilo, nell’ultimo anno invece ci siamo interfacciati maggiormente con chi si è ritrovato senza casa, con i senza fissa dimora, facendo pressione sull'amministrazione comunale affinché rivedesse la propria concezione dell"emergenza freddo" e facendo emergere la problematica abitativa come un qualcosa di strutturale e non temporaneo.

Dall'agire territoriale, l'associazione ha promosso, a livello europeo, la nascita della campagna Lesvos Calling, che si inserisce nella direzione che Open Your Borders vuole prendere: dalla costante messa in discussione della nostra identità di “europei” si è presa  coscienza che dietro quella identità ci sono storture de jure e vere e proprie torture di fatto è che i confini uccidono.

Proprio il giorno della presentazione è stato l’anniversario della morte di 15 persone che hanno perso la vita a El Tarajal, la piccola spiaggia di Ceuta (enclave spagnola in Marocco) divenuta tristemente nota per aver fatto da sfondo ad una delle tragedie più gravi che la città abbia registrato negli ultimi anni.

Per ultimo, ma non per importanza, il Laboratorio Musicale di Libera la Parola ha lo scopo di creare un linguaggio comune e nuovo, un prendere parola che è rispondere al contempo. Non si tratta di insegnare a fare una musica ma di cercare la musica di ognuno, e renderla collettiva.

Dopo questi interventi iniziali, si sono inseriti nella discussione altri partecipanti: studenti ed ex studenti della scuola, Qualcuno ha approfittato dell’occasione semplicemente per ringraziare del lavoro fatto da OYB, altri hanno chiesto la nostra opinione e esperienza con il sistema dell’accoglienza del territorio, altre, più critiche hanno chiesto a noi, in cosa consisteva questa transizione e soprattutto, cosa in quanto associazione ma anche come semplici “cittadini bianchi” stavamo facendo per permettere a chi lo necessita di trovare un lavoro per avere il permesso di soggiorno. E ancora è stato chiesto perché tendiamo a soffermarci da un punto di vista politico ma anche culturale e musicale sulle soggettività nere statunitensi e non su quelle africane dove persone muoiono di fame tutti i giorni.

Abbiamo risposto e discusso in base alla nostra esperienza, ben sapendo che le nostre risposte non potevano che essere parziali e momentanee, e che sarebbero stati uno sprone per la nostra discussione interna, e motore di quel cambiamento che vogliamo avviare: “Nel settore dell’accoglienza, nel territorio operano organizzazioni che hanno un approccio morale, altre che lo fanno in modo disumano e truffaldino, ma il problema è che è un “fucking business” al posto di essere un sistema di auto-organizzazione”, “Lo spazio della scuola, dell’associazione tutta sono sempre aperte a tutt*, chiunque è benvenuto nel fare iniziative di approfondimento su un qualsiasi problema che gli stia a cuore - sia esso correlato al proprio paese di origine, a una propria passione o difficoltà nel trovare lavoro, come singolo e come soggetto migrante”, “la transizione in una nuova identità passa da momenti di confronto come questi ma anche con l’attivismo di tuttə”.

Il momento laboratoriale

Una volta conclusa la conversazione, le persone che avevano piacere a fermarsi hanno potuto partecipare a due momenti laboratoriali. Nel primo, incentrato sulla scuola, si è fatta una sessione di brainstorming sia con gli studenti che con potenziali volontari per capire come migliorare o rendere più accogliente lo spazio scuola. La lavagna riporta la conclusione della discussione. Nel secondo, incentrato sull’Help Desk, si è parlato in cosa consiste nel pratico l’attività quotidiana dell’help desk, a cominciare dalla prima intervista che si fa a chi si presenta per avere aiuto sull’ottenimento dei documenti fino agli aspetti più concreti, come e gli accompagni in questura e la ricerca della casa.

Considerazioni a caldo: prendere la parola

“Se non troverò la donna che mi ha dato alla luce, la mia non sarà vita. Posso esprimerti un voto? La vorrei di Atene, [questa donna che mi ha dato alla luce e che cerco,] per ricevere da lei il diritto di parlare da uomo libero [affinché la parrhesia mi venga da mia madre]. In una città di purissima schiatta, lo straniero ha un bel diventare cittadino, la sua lingua resta quella di uno schiavo, senza libertà di parola [non ha la parrhesia: ouk echei parrhesian]”[1].

Nel corso degli anni abbiamo sempre avuto un dialogo costante tra noi attivisti, con gli studenti e studentesse dei corsi di italiano, con le persone che si rivolgono allo sportello e con i partecipanti del laboratorio musicale. Questo dialogo, a volte informale, a volte strutturato come nel momento-lezione, a volte personalissimo e al contempo imposto come nei momenti di intervista dell’help desk, aveva sempre un carattere più intimo,nel rispetto delle privacy.

Con la discussione pubblica e aperta di Sabato, abbiamo visto in pratica il prendere parola di tuttə, non solo degli attivisti, in una dimensione immediatamente pubblica e politica. Per alcune persone, è stata la prima volta in assoluto o almeno da quando sono in Italia. Vogliamo che sia l’inizio di una pratica di autodeterminazione più inclusiva, una piccola breccia in quel muro che, fin dai tempi della fondazione della nostra civiltà, ha posto confini attorno alle assemblee, escludendo su criteri linguistici o di sangue.



[1]Euripide, Ion, 669-675, in Tragédies, t. III, Les Belles Lettres, Paris 2002, p. 211; trad. it. Ione, Garzanti, Milano 2003, p. 185.