Parigi non è la città blindata che ci si immagina. Nella città simbolo dello stile di vita occidentale, costellata di arte, cultura e business le giornate scorrono placide come la Senna, almeno a prima vista. La presenza del controllo, gendarmi e militari in armi, si manifesta in maniera massiccia solo dopo il tramonto, nei pressi di Place de la République, all'ora dell'aperitivo. Durante ore precedenti il dispositivo di difesa messo in atto dopo gli assalti del 13 novembre è quasi invisibile. Ma tra la mattina, quando attorno a Notre Dame non vi sono che quattro militari in armi a pattugliare mentre la Tour Eiffel appare sguarnita, così come Ministeri e sedi istituzionali, e la sera, quando decine di flic prendono possesso del cuore della città, si svolge un flusso di vita completamente alterato, permeato da una molteplicità di micro-intrusioni nella quotidianità della metropoli. Le stazioni della metropolitana sembrano luoghi di frontiera; nel reticolo di scale e gallerie tutto è immediatamente alterato dalla voce che annuncia chiusure di stazioni o soppressioni di fermate, dal nastro bianco-rosso teso ad impedire l'accesso ad una linea e presidiato da poliziotti, mentre altri gendarmi - tanti - si muovono discreti e veloci, quasi confusi tra la folla.
Lo
sforzo di continuare a vivere normalmente contiene in sè la coscienza della
fragilità, il racconto del pericolo scampato per un soffio quel venerdì, la
possibilità che il 13 novembre possa accadere ancora, nonostante l’état d'urgence.
La sicurezza, o meglio la sensazione di
sicurezza che i governi dell'occidente “promettono” da anni, non passa certo
per qualche migliaio di flic col
fucile. Al contrario la loro presenza e le modalità della loro comparsa - uomini
armati che escono con le tenebre - rappresentano esattamente il contrario: il
timore, la paura. Forse per questo la rappresentazione della sicurezza passa
attraverso l'assenza di un meccanismo macroscopico, fino a far dubitare della
sua stessa esistenza. Lo stato d'emergenza, ed i poteri straordinari che
consegna ai prefetti, serve a condurre operazioni mirate in quantità, ed in
effetti questa è la sola cosa che emerge e viene ostentata: il numero di
perquisizioni, arresti e fermi di polizia condotti in tutta la Francia. La
percezione di sicurezza che Hollande deve garantire ai francesi viene veicolata
dai rapporti statistici delle questure a fine settimana. Contano solo i numeri,
come in borsa: l'indice di riferimento deve aumentare.
Ciò che tra la popolazione cresce però è altro.
Se il dibattito politico riportato da ogni quotidiano è centrato
sull'inesorabilità dell'avanzata del FN, tra la gente si allarga il cerchio
della diffidenza. Le banlieues che
dieci anni fa esplodevano sono a un passo, ma fuori. Un fuori dove sembra si
sia sviluppato un mondo parallelo, dove la lunghezza della barba, il colore dei
calzini dichiarano uno stile di vita, un'appartenenza, una visione del mondo e
delle relazioni umane che poco hanno a che spartire con il modello proposto ed
imposto dal pessimo caffè di Starbucks, tra gli stores delle catene di moda e le preziose boutique. Si legge una tensione che non è demarcabile attorno ad un
perimetro dentro/fuori: la forma di vita "diversa", che ci turba,
viene da dentro il nostro modello di civilizzazione, nasce attorno alla
metropoli e, in fin dei conti, ne costituisce una filigrana.
Parigi in questo tempo è lo stigma dell'assenza
di certezza, di sicurezza. Il fall-out
degli attentati sta coprendo la discussione attorno al contenimento dei
cambiamenti climatici, e lo stato d'emergenza lascia che sia percepita una sola
voce, quella delle trattative ufficiali, tappando letteralmente la bocca a
chiunque cerchi di prendere parola. Il solo tentativo di persone che intendono
manifestare è spazzato via dalla polizia in forze, la cui presenza e violenza
nei luoghi della COP21 non va solo messa in relazione con il post-13 novembre:
semplicemente,ora agiscono con mano completamente libera, legibus soluti. I flic accerchiano
i giornalisti prima dei dimostranti. La censura precede la repressione, che in
realtà avviene a priori.
Place de la Bastille è un ordinato crocevia del
traffico. Attraversare uno dei luoghi più legati all'affermazione rivoluzionaria
del moderno Stato di Diritto sembra irreale, mentre i diritti costituzionali
sono sospesi per decreto e risuona ancora l'annuncio di Hollande«possibili violazioni dei diritti fondamentali dell'Uomo
e del Cittadino», i cui lumi sono eclissati dalle «ragioni di sicurezza».
Ci sono compagni ed attivisti vari che stanno
provando con coraggio ad attuare forme di resistenza quotidiana, umana prima
ancora che politica, nonostante i nuovi dispositivi e l’enorme pressione
repressiva. Siamo realisti: non si tratta di una moltitudine resistente, e speriamo
di venire smentiti il 12 dicembre, giorno in cui ci sarebbe dovuta essere la
grande manifestazione “anti-Cop21”. Ma il punto è un altro e la domanda eccede
lo stato di salute dei movimenti francesi ed europei in generale. Forse il
processo di costruzione del vivere civile attraverso l'affermazione di diritti,
attraverso il metodo del diritto positivo è incrinato, rotto definitivamente?
Tre elementi si incrociano, tra i palazzi della
COP21 e la Place de la République, divenuta sacrario ai caduti del 13 novembre.
Il primo è la fine dello Stato come garante
formale del diritto positivo e soggettivo (materialmente, sappiamo bene che non
lo è mai stato). Il dibattito sulla riforma della Costituzione finirà per
inglobare i poteri speciali, lo stato d'emergenza sarà costituzionalizzato.
Questo processo sarà accelerato, anche per riprendere la pancia di un
Paese che si sta consegnando al FN: Hollande stesso ha richiesto di modificare
in questo senso due articoli della carta fondamentale, e la sola possibilità perché
le elezioni politiche tra due anni non vedano il trionfo del FN è che i
socialisti e l'ex UMP, ora Les Républicaines guidati da Sarkozy si coalizzino.
Il secondo è che la COP21, così come altri
vertici tra "i grandi", costituisce di fatto un luogo di produzione
di regole. Lungi dall'essere l'ambito di discussione tematico sulle modalità di
produzione e sulle fonti energetiche, il lavoro vero che nella conferenza si
svolge è il tentativo di regolamentazione delle modalità con cui l'attuale
sistema produttivo-finanziario-commerciale si appropria delle risorse della
natura, e come queste vengano poi scambiate. Non c'è all'ordine del discorso la
sussistenza delle condizioni di possibilità a lungo termine per la vita sul
pianeta: l'orizzonte temporale ha il lungo termine del linguaggio della
finanza, e dura fino al prossimo incontro.
Il terzo è lo scenario di guerra globale
permanente entro cui situare tanto i 130 morti del 13 novembre, quanto i
dimenticati kamikaze di Beirut, o le manovre di Putin ed Erdogan. Assumendo il
linguaggio della geopolitica, i nuovi assetti regionali in Medio Oriente sono
di là da venire: non scordiamo però che da qui vengono o transitano tanto i
rifornimenti energetici per tutto il continente europeo, quanto i milioni di
migranti che premono alle porte della Fortezza Europa.
Lo Stato moderno, concepito come il regolatore
di un mercato chiuso e garante del contratto sociale verso una popolazione
statica, appare del tutto svuotato in questo scenario. Il potere legislativo è
sostituito da processi di legificazione di standard di scambio stabiliti in
segreto ed a livello globale (vedi il TTIP). All’altro lato Charlie Hebdo ed
il Bataclan a Parigi, le mattanze contro i neri e - non ultimo - l'assalto armato ad una clinica dove veniva praticato l'aborto negli USA, il
controllo disumano delle frontiere europee stanno a significare che è venuta
meno la garanzia dell'incolumità per i cittadini dello Stato e nello Stato. In
poche parole: il contratto sociale è rotto, se mai sia davvero esistito.
Resta la guerra, ultima arma in mano allo Stato
per affermare la propria esistenza. Da 15 anni la guerra al terrorismo si
accompagna all'avanzata del neo-liberismo, le cui regole vengono
dall'equilibrio delle reti della governance globale: un gorgo senza fine dove
lo sviluppo delle forze del capitale deve distruggere lo Stato, che già fu suo
mentore. Passeggiare a Parigi oggi fa capire come il dominio del mercato generi
sia il terrorista che la guerra per combatterlo.