Parma - 27 Novembre: Non in mio nome

Aperitivo con dibattito alle 19:00 presso ArtLab Occupato. Discuteremo, insieme al Centro Antiviolenza di Parma, di violenza sulle donne e della legge n. 119, altrimenti detta legge contro il femminicidio.

25 / 11 / 2013

l 25 novembre ricorre la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, scelta da un gruppo di attiviste, riunitesi nell'Incontro Femminista Latinoamericano e dei Caraibi, tenutosi a Bogotà nel 1981, La scelta è ricaduta sul 25 novembre per ricordare le  sorelle Mirabal, tre dissidenti politiche della Repubblica Dominicana, brutalmente assassinate , per il loro impegno contro il regime, nel 1960 per ordine del dittatore Trujillo.

Questa giorrnata è stata ufficializzata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1999 per invitare i governi internazionali a promuovere iniziative di sensibilizzazione sulla tematica. In Italia è solo dal 2005 che si celebra questa giornata e lo si deve all'impegno di diversi Centri antiviolenza e Case delle donne, cui si sono accodate, solo negli ultimi anni, le istituzioni.

Se guardiamo al contesto italiano, la violenza contro le donne, ultimamente, sembra essere uno dei temi più in voga tra i media main stream e la politica della rappresentanza. Oggi si fa un gran parlare di femminicidio, ma la sensazione è che il tema venga sempre affrontato in maniera troppo superficiale e strumentale, creando un generalizzato allarme sociale.

In questo quadro, il 16 agosto, viene presentato il decreto legge n. 93 “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere”, convertito poi in legge (n. 119) il 15 ottobre.

Questa legge non affronta la primaria esigenza di identificare e rimuovere quegli ostacoli materiali (vuoti legislativi, pregiudizi di genere, mancanza di risorse) che impediscono una effettiva protezione delle donne che hanno subito abusi di qualsiasi genere, non tratta la violenza contro le donne come una questione reale e radicata nella società e nella cultura: non sono previste risorse per il potenziamento dei centri antiviolenza, dei centri per uomini maltrattanti, dei consultori e della rete dei servizi, se non lo stanziamento, demagogico e ridicolo, di 10 milioni di euro, forse neanche sufficienti ad evitare che chiudano le case rifiugio; non sono previsti interventi che mirino alla prevenzione, informazione, sensibilizzazione, progettualità nelle scuole, formazione degli operatori giuridici e sanitari.
Cavalcando l’onda mediatica, questa legge affronta il tema della violenza contro le donne come una situazione emergenziale, declinata in termini di interventi populistici volti a scemare l’allarme sociale, diventando a tutti gli effetti l’ennesimo pacchetto sicurezza.

Dei 12 articoli di cui è composta la legge solo 5 riguardano la tematica della violenza contro le donne. Nei restanti 7 articoli (salvo quelli che si riferiscono al commissariamento delle province ed a vigili del fuoco e protezione civile) trovano spazio tutte una serie di misure aventi come unico anello di congiunzione l'approccio repressivo (salvo quelli che si riferiscono al commissariamento delle province ed a vigili del fuoco e protezione civile). Nella legge in questione trovano spazio: la proroga per ulteriori tre anni della possibilità dell’arresto “in flagranza differita” in occasione di manifestazioni sportive (più spesso utilizzato per reprimere l'attivismo politico); l'aggravarsi delle pene per reati di rapina; dispone l'aggravamento delle pene per frodi informatiche con sostituzione di identità digitale; l'avallo dell'impiego delle forze armate nel controllo del territorio; l'istituzione del reato di ingresso abusivo in immobili adibiti a sedi di uffici, reparto o deposito di materiali dell’amministrazione della pubblica sicurezza; aggravanti al reato di furto “di componenti metalliche o altro materiale di infrastrutture destinate all’erogazione di energia, servizi, trasporto, telecomunicazioni o altri servizi pubblici “ (come potrebbero essere la TAV, il MUOS, le discariche o gli impianti di termovalorizzazione).

Non è difficile notare come questa legge sia lesiva per la libertà di tutt* ed usi, in modo strumentale, l’”emergenza femminicidio” per ottenere consenso e legittimare politiche di controllo dei territori e dei corpi, di criminalizzazione di soggetti specifici (stranieri o movimenti).

Il 25 novembre e la legge 119 hanno come tematica comune il contrasto alla violenza contro le donne, ma proviamo ad accostarle: da una parte abbiamo una giornata scelta per ricordare tre attiviste dissidenti uccise per il loro impegno politico, dall'altra una legge contro la violenza sulle donne che reprime i movimento e il dissenso politico. Se la cosa non avesse risvolti tragici, farebbe sinceramente ridere.

Ciò che è lampante è che ci troviamo difronte ad una classe politica incapace di concepire la “crescita” in termini diversi dal semplice rapporto contabile tra PIL e debito. Una classe politica che, nascondendo la propria inettitudine dietro lo spauracchio della crisi, tra le maglie del fiscal compact e del patto di stabilità, continua all'infinito a destinare risorse economiche alla realizzazione di grandi opere, utili solo ad ingrassare lobbies e speculatori, sottraendo fondi ai servizi essenziali, al welfare, all'educazione, alla sanità. Questo furto di risorse, essenziale per la “crescita”, crea una cultura dello stupro: lo stupro delle donne, della collettività in generale, della terra, delle economie locali e sostenibili.

L'unico senso in cui questa “crescita” può essere “inclusiva” è quello dell'inclusione di un numero sempre più ampio di persone nella spirale della paura. 


La detenzione dei corpi migranti nei CIE è giustificata dalla paura creata artificiosamente verso lo stereotipo del “delinquente extracomunitario” che invade i confini stranieri. La paura nei confronti dei senzatetto, la cui sussistenza viene affidata in modo sempre insufficiente ad associazioni caritatevoli che tamponano l'emergenza, rimandando il problema all’infinito.

Nulla di nuovo sotto il sole se pensiamo che la legge è emanata dalla stesso stato che, preferendo il consenso dell'elettorato cattolico alla libertà di autodeterminazione delle donne, permette il dilagare incontrollato, fomentato dalle campagne dei centri prolife, dell'obiezione di coscienza negli ospedali e nei consultori, impedendo o riducendo, di fatto, la possibilità di abortire, diritto previsto dalla legge 194 dl '73.

Anche quest'erosione dei diritti è una violenza che viene esercitata sul corpo delle donne.

Il quadro che si delinea è quello che vede le istituzioni, ostaggio di un partitismo in decadenza, proporre soluzioni normative nel nome del controllo e dell'emergenza securitaria e chiudere gli occhi di fronte all'evidenza che il tema della violenza sulle donne sia il frutto di un sistema socio-culturale organico e radicato..

A questo punto ci chiediamo: la lotta contro la violenza sulle donne può essere realizzata legittimando autoritarismo e repressione? La lotta contro la violenza sule donne può autorizzare una riduzione del diritto all'autodeterminazione? La violenza contro le donne può essere usata come scusa da uno stato che non intende assumersi le proprie responsabilità in merito agli orrori commessi?
Per noi la risposta è no: no alle politiche governative di sicurezza e austerity che ci vogliono "vittime", "salvatrici", soggetti da mettere sotto tutela; no a tutte le norme che ci impediscono di essere liber* e autodeterminat*; no a chi ci rifiuta la possibilità di creare nuove forme di legami sociali; no a chi concepisce la società come uno spazio dominato dalla violenza del controllo, del profitto e dell’esclusione. A tutto questo noi diciamo no: NON IN MIO NOME.