Arresti a sostegno della riforma, da troppo tempo nel cassetto

Per un programma di libertà nella crisi: diritto alla bancarotta

Dopo la scarcerazione rilanciamo le lotte autunnali

19 / 7 / 2009

Che cos’è un filisteo? Una vescica vuota, gonfia di paura e di speranza. Che Dio abbia pietà di lui!»
(J. W. Goethe)


Gli operai della New Fabris di Poitiers, iscritti alla CGT, nei giorni scorsi hanno cintato la fabbrica di bombole del gas: se i padroni non esaudiranno le loro richieste, la faranno saltare in aria. La direzione ha tempo fino alla fine del mese per salvare il suo capitale fisso.

Gli operai non vogliono salvare il loro posto di lavoro. Vogliono soldi. In questa stessa estate afosa, preludio di un autunno bollente, nella ex città-fabbrica italiana un oscuro pubblico ministero torinese ha pronunciato una folle requisitoria contro 21 studenti, da quasi due settimane in galera o agli arresti domiciliari con insignificanti, e peraltro non provati, capi di imputazione. Non è il caldo che dà alla testa, purtroppo. Né, solo, una misura preventiva per togliere di mezzo chi avrebbe potuto disturbare il recente G8. È un investimento sul futuro per mezzo di un’operazione che viene dal passato.

Il mandante è ancora lui, Giancarlo Caselli, uomo d’ordine e giustizia del PCI negli anni Settanta, icona del giustizialismo populista in salsa girotondina oggi.

E se per reprimere ancora la libertà dei movimenti ci si deve mettere al servizio di Maroni, o meglio se per accordarsi con Berlusconi bisogna reprimere ancora la libertà dei movimenti lui è pronto. Caselli, che conosce bene la paura che incutono le lotte operaie e sociali, pensava che bastasse riavvolgere il nastro e dividere i buoni dai cattivi, per riaprire così le porte del carcere.

Qual è la posta in palio dell’operazione l’ha detto a chiare lettere Sparagna nel suo apparente vaniloquio: non inconsistenti reati specifici, ma il terrore che l’Onda si generalizzi.

Che di fronte alla dismissione dell’università, alla crescita della disoccupazione e al taglio dei salari, “operai” e “studenti” tornino ad essere uniti nella lotta: non nella carnevalesca riedizione di quel passato di cui Caselli è prigioniero, ma dentro la nuova composizione sociale delle metropoli postfordiste. È il primo terreno comune si chiama nuovo welfare: questo rivendicano gli operai di Poitiers, i movimenti dei precari, gli studenti dell’Onda.

Allora, non è un caso che proprio in questi giorni Giavazzi torni a far propria la battaglia di Perotti, altro simbolo dell’italico giustizialismo meritocratico: che la crisi la paghino gli studenti e i precari, a cominciare dall’aumento delle tasse. E per chi non ce la fa, incentivare il prestito d’onore. Non è altro che la truffaldina importazione di quel sistema del debito crollato negli Stati Uniti e centrale nell’origine della crisi.
Tuttavia, dobbiamo aggredire questa dinamica su un punto avanzato. Non avrebbe nessun senso oggi dire semplicemente no all’introduzione del debito. La lezione americana è molto chiara: milioni di proletari hanno utilizzato tale – perverso e feroce, va da sé – dispositivo di welfare finanziarizzato per accedere a bisogni fondamentali, dalla casa alla sanità alla formazione.

Ciò ha determinato una dinamica alla lunga insostenibile per quello stesso sistema che l’ha creata, tant’è che il non ripianamento del debito contratto è il segno di classe sulla genealogia della crisi. È stata la forma attraverso cui lavoratori e precari hanno preso in ostaggio le istituzioni finanziarie. Ora, laddove la dialettica tra pubblico e privato è finalmente saltata, nella riappropriazione della ricchezza sociale le controparti diventano molteplici. Dobbiamo sì iniziare a occupare le finanziarie che emettono i prestiti d’onore, ma per prenderci soldi che non restituiremo.

Dobbiamo cioè rivendicare il diritto dei precari alla bancarotta!

Perché oggi la battaglia attorno al credito e al debito è una lotta sul salario e sul reddito, ovvero sulla costruzione di un nuovo welfare. Da questo punto di vista, ogni critica moralistica o anti-consumistica è oggettivamente reazionaria. Queste sono infatti le nostre – metaforiche – bombole del gas: tenere in ostaggio il loro capitale fisso, per liberare il sapere vivo e le nuove istituzioni del comune. Qui sta la radice del loro terrore: è la miseria del passato contro la ricchezza del presente, il rancore dei moribondi contro la potenza della vita.

Va anche detto, per completezza di informazione, che in passato a queste figure andò molto male. Loro sono spariti. Noi siamo qua.

Loro sono zombi che arrestano, giustizialisti perché deboli, feroci perché gonfi di paura. E sperano di riuscire a fermare l’onda di libertà. Questa mattina ha ripreso ad andargli male. L’Onda ha ricominciato a generalizzarsi.

E se esiste ancora qualche garantista nel fronte democratico, sarebbe meglio uscisse fuori ora, prima che sia troppo tardi. Per il resto, che Dio abbia pietà di loro...