Perché dare "priorità alla scuola" significa invertire una tendenza

Giovedì 25 giugno in 60 città italiane ci sono state le manifestazioni di "priorità alla scuola". A Padova abbiamo realizzato alcune interviste per comprendere meglio le ragioni di questa protesta

29 / 6 / 2020

“Priorità alla scuola”: il nome stesso del movimento che unisce genitori, docenti e studenti di tutta Italia contiene l’unica linea guida che varrebbe la pensa di seguire in questa pseudo “fase 3”. E proprio mentre il governo decide di dare il via libera al tanto discusso “Piano Scuola 2020-21”, questa “comunità educante” continua a crescere, a farsi sentire nelle piazza, a coinvolgere tutti quei soggetti che stanno subendo sulla propria pelle non solo gli effetti di un lunghissimo e devastante lockdown, ma decenni di sottrazione di fondi pubblici, di smantellamento dell’edilizia scolastica, di tagli del personale. Il governo si appresta a concedere un miliardo di euro: troppo poco per invertire la tendenza, ma soprattutto ridare all’istruzione pubblica il posto che le spetta in questa società.

Sono diverse settimane che questa “comunità educante” si sta mobilitando. Le richieste sono chiare: certezze sulla questione sanitaria, contrarietà alla didattica a distanza, la diminuzione delle diseguaglianze territoriali che sono cresciute durante questa “crisi sanitaria”. Anche il piano per gli investimenti è chiaro: il 15% dei 172 miliardi che dovrebbero arrivare dal «Recovery Plan» europeo e il 10% della spesa pubblica. Richieste che, al momento rimangono inascoltate, nonostante le ripetute sollecitazioni fatte alla ministra dell’istruzione Lucia Azzolina di aprire un tavolo di discussione.

Giovedì 25 giugno sono state 60 le città italiane in cui “Priorità alla scuola” ha manifestato, portando ovunque in piazza centinaia di persone e una pluralità di voci che chiedono di non sacrificare la scuola sull’altare della produttività. Siamo stati nella piazza di Padova, dove abbiamo intervistato alcuni protagonisti di questa protesta.

Carlo Ridolfi, presidente dell’associazione nazionale Rete di Cooperazione Educativa, che ha presentato proprio giovedì scorso – insieme ad altre 11 associazioni nazionali – un documento intitolato “Da una scuola grande come il mondo a una grammatica della riapertura”. «Il documento cita esplicitamente Gianni Rodari, di cui quest’anno corre il centenario della nascita, perché pensiamo che tutta la scuola italiana abbia bisogno di fantasia e di coraggio». Secondo Ridolfi le mobilitazioni di “Priorità alla scuola stanno ridando una speranza al Paese: «dopo anni vediamo studenti, genitori e insegnanti che si stanno prendendo a cuore, finalmente insieme, l’educazione e la scuola».

In piazza tantissime maestre, soprattutto delle scuole primarie. Tra questa c’è Enrica, insegnante di una scuola della provincia padovana, che spiega le priorità di queste manifestazioni: «principalmente queste mobilitazioni sono partite per chiedere la ripartenza della scuola a settembre in presenza». Nel corso delle settimane la piattaforma si è arricchita di altri elementi: «non vogliamo la riduzione oraria e soprattutto diciamo “no” alla didattica a distanza, perché non è un modo di fare scuola, visto che l’apprendimento è fatto anche di emozioni e relazioni vive e non mediate da un computer». Tra le altre richieste anche la necessità di riaprire in modo sicuro: «sicurezza sanitaria, ma anche adeguata ai diversi contesti scolastici», continua Enrica che si concentra sia sul tema degli investimenti nell’edilizia scolastica, mai così indispensabili come in questa fase, sia sulla necessità di assumere nuovi insegnanti per garantire la didattica in “piccoli gruppi”.

Moltissimi genitori hanno portato la loro voce. «Quello che è mancato ai nostri figli è il rapporto con i compagni» dice chiaramente una signora che vive a Padova e che lavora come educatrice, che precisa: «la comunità-scuola non è sostituibile, per l’infanzia, ma in nessuna età del ciclo scolastico».

Anche numerosi studenti e studentesse erano presenti in piazza, e altrettanti da mesi si stanno mobilitando sul tema. Una studentessa di Padova: «Sentiamo la necessità di confrontarci con quanti più studenti, docenti e genitori possibili per costruire un momento di mobilitazione che miri a denunciare la situazione di disagio della condizione scolastica attuale e futura». E ancora: “Sentiamo l’urgenza di tornare a scuola a settembre, consapevoli che per tornare nelle nostre classi sarà necessaria una sanificazione di tutti gli ambienti scolastici, una revisione della formazione delle classi e quindi una drastica diminuzione numerica con la conseguenza di un aumento dei docenti anche tramite l’assunzione di tutti i precari con almeno tre anni di servizio e del personale ATA».

Perché tutto questo sia realizzabile, è necessario un piano straordinario di finanziamenti all’istruzione: «per modificare, ristrutturare e ampliare tutti i locali disponibili perché l’istruzione sia a tutt* accessibile e in sicurezza.
Ora il governo deve utilizzare tutte le proprie risorse e mezzi possibili per garantire a tutte e tutti un diritto allo studio che sia degno di essere chiamato tale, non un surrogato quale è la didattica a distanza, che  non sarà mai in grado di sostituire quella in presenza e dovrà limitarsi rimanere una misura emergenziale».