Che il quartiere di Pianura, uno dei più estesi della città di Napoli, sia il paradiso dell’abusivismo nonché uno dei principali avamposti della speculazione edilizia, dagli anni ’60 fino ad oggi, è opinione comune. Del resto basta fare una passeggiata lungo via Montagna Spaccata, ormai tradizionale appuntamento per le colate di cemento selvaggio, per rendersene conto. Dopo il sisma del 1980, le opere per la ricostruzione finanziate dalla legge 14 maggio 1981, n. 219, hanno dirottato sulle aree colpite migliaia di miliardi, un gigantesco affare su cui si riorganizzò il rapporto tra politica, costruttori e capitale mafioso che ha caratterizzato la storia della campania negli ultimi trenta anni.
Per sveltire i tempi
burocratici la legge arrivò a mettere in campo l’istituto della concessione,
che consentì ai consorzi accreditati l’esproprio delle terre. La L.219 consentiva inoltre
l’affidamento in anticipo del 25% del finanziamento dell’intera opera da
realizzare. L’assenza di trasparenza nei controlli favorì, attraverso la
filiera della subappaltazione, l’ingresso delle ditte della camorra.
Ancora oggi i problemi che derivano dalla “ricostruzione” e dalla deportazione
di migliaia di persone nelle periferie di cemento di Napoli, realizzate senza i
servizi necessari per sostenere lo sviluppo socioeconomico degli abitanti, sono
sotto gli occhi di tutti.
Tra i quartieri “colpiti” (più che dal sisma, dagli interventi per la
ricostruzione), Pianura è l'emblema ed il paradigma di un terremoto che non è
mai finito e che ancora trascina con sé tutto il peso dell'assenza di un
disegno urbanistico organico.
Il territorio del quartiere non ha ancora un assetto idrogeologico, e vive in
emergenza continua ogni volta che piove, nonostante i miliardi di vecchie lire
spesi per la realizzazione di fognature e canali di scolo da parte dei
consorzi, come il Co.Ri. (il "Consorzio
Ricostruzioni" affidatario di opere importanti nell'ambito della L.219).
Con l'espansione edilizia, tra il 1971 ed il 2001, la popolazione residente di
Pianura è passata dall’1,3% fino al 5,82% della popolazione complessiva di
Napoli, arrivando (al 2001) a 54.445 abitanti.
Finiti gli anni ruggenti della ricostruzione post-terremoto, durante i quali il
quartiere ha inghiottito voluttuosamente tonnellate di cemento armato senza
licenza edilizia, Pianura negli anni successivi (fino ai giorni nostri) è
diventata la terra promessa delle sentenze della magistratura sui reati
connessi all’abusivismo.
Una spartizione bi-tri-quadri-penta-partizanNel corso degli anni ’80, furono coinvolti un po’ tutti gli esponenti
del "partito del mattone", consorziatisi tra di loro, a volte in
maniera trasversale, per partecipare alla spartizione dei fondi del terremoto.
Per avere una idea di quanto fossero trasversali gli interessi, basti ricordare
il dossier di 250 pagine contro l'on. Giorgio Almirante che un
esponente del MSI, l'avvocato Angelo Cerbone,
inviò alla magistratura negli anni ’80. Nel dossier veniva riportato lo
stralcio di una conversazione telefonica, intercettata dalla polizia
giudiziaria, fra l’avvocato Cesare Bruno, inquisito poi per
416bis, ed un personaggio identificato come Antonio Mazzone,
deputato del MSI, nella quale “si fa cenno alla somma di 180 milioni portati
dall’onorevole Abbatangelo all’onorevole Almirante. L’ingente somma sarebbe il
compenso per una compiacente delibera in merito a delle costruzioni eseguite in
Pianura.”
Bruno: “…Abbantangelo ha detto vicino ad Amirante: mi devi spiegare i 180 milioni che ho portato dove stanno…”
Mazzone: “180 milioni gli ha portato?”
Bruno: “così ha detto”
Mazzone. “i soldi di Pianura?”
Bruno:”sono cazzi loro, non lo so”
Mazzone: “ma questa è quella delibera per cui volevo fare l’interrogazione e non me la faceste fare?”
Bruno:” io me ne uscii fuori dall’aula, non ho votato”
Mazzone:”cosa?”
Bruno:” io me ne uscii fuori dall’aula…il fatto dei costruttori…”
Il
voluminoso dossier di Cerbone costò ad Almirante una richiesta di
autorizzazione a procedere, trasmessa dalla Procura di Napoli il 16 marzo 1988.
Cadde ingloriosamente sul campo di battaglia, ma prontamente rialzatosi,
colpito dalle inchieste del magistrato Aldo De Chiara, anche il RUAN,
il consorzio il cui scandalo portò, il 18 ottobre 1983, ad una richiesta di
autorizzazione a procedere della procura di Napoli per Andrea Geremicca,
che all’epoca era deputato del PCI, ed il consigliere comunale
Angelo Acerra, per “i rapporti di subappalto o comunque cottimo
avente ad oggetto opere pubbliche quali l’ultimazione di sei fabbricati siti a
Pianura acquisiti al patrimonio indisponibile del comune di Napoli”.
La vicenda giudiziaria scaturì da un ordine del giorno del 1983, votato
all'unanimità dal consiglio circoscrizionale di Pianura, nel quale si
denunciavano gli eventuali interessi privati nella concessione a trattativa
privata, da parte del comune di Napoli al RUAN, dell'appalto per l'ultimazione
di alcuni edifici, culminata con le delibere di giunta n. 438 del 12 novembre
1982 e n. 435 del 20 gennaio 1983, delle quali Geremicca era assessore
proponente. L'indagine evidenziò che i provvedimenti, di competenza del
consiglio comunale, erano viziati anche per la procedura dell'appalto-concorso
ed infine per la definizione delle ditte appaltatrici prive dei requisiti ai
sensi della legge 584 del 1977, modificata dalla legge n.1 del 1978.
Dall'indagine giudiziaria emerse che Andrea Geremicca e Angelo
Acerra erano consapevoli del fatto che le ditte consorziate avevano “senza
formale autorizzazione subappaltato i lavori per 8 milioni(di lire) a vano ad
imprese di comodo fittizie ed inconsistenti” dietro le quali si
nascondevano gli stessi costruttori degli immobili abusivi.
La
magistratura individuò i soci occulti del noto palazzinaro pianurese Tommaso
Giuliano, il quale aveva avviato i lavori abusivi di alcuni stabili in via
provinciale 99, poi acquisiti al patrimonio comunale. I lavori di completamente
furono realizzati dal RUAN, consorzio che era formato da tre società la I.C.R.A. srl, la Co.ri.edil. snc
e la “Scavo e Capuano srl” (la quale uscì dal consorzio dopo appena due
mesi), mentre le altre per i lavori si affidarono a terzi: Vincenzo
Polverino, Giosuè D’Angelo, Alberto Ambrosino, Antonio
Zecconi, Gennaro Di Vicino; definiti dal giudice Aldo De Chiara
“verosimilmente collegati ai reali costruttori abusivi dei sei
manufatti”.
L'esorbitante costo complessivo dell'appalto, 15.070.000.000 di vecchie lire
(pari a 15 milioni a vano), solo per il completamento degli edifici, contro un
prezzo di mercato che oscillava tra i 7 ed i 9 milioni di lire a vano, con
esclusione delle opere di urbanizzazione, per le quali vi fu una apposita
delibera di altri 6.700.000.000 di lire, comportò il sequestro giudiziario dei
sei manufatti, nel 1983, per “ipotesi di subappalto penalmente rilevanti”,
in seguito all’entrata in vigore della legge 646 del settembre 1982, per le
irregolarità nell’assegnazione dei lavori, senza alcuna autorizzazione.
La coraggiosa denuncia del Consiglio Circoscrizionale di Pianura, che fece
scoppiare lo scandalo Geremicca, si spiega però solo con un'altra votazione, il
19 giugno del 1985, con la quale stavolta si chiedeva al CO.RI. "di
farsi carico della situazione, rendendosi disponibile ad impegnare anche le
imprese di Pianura (...) constatato che la disoccupazione ha raggiunto ed
oltrepassato i limiti di guardia, sopratutto per il fermo dell'abusivismo
edilizio"
L'inchiesta sul CO.RI.
Ma la vicenda del RUAN è robetta rispetto alle responsabilità del CO.RI.
(Consorzio Ricostruzioni), megaconcessionario di lavori finanziati con i fondi
per la ricostruzione post terremoto del 1980, non solo a Pianura, ma anche a Chiaiano
e Miano, rispettivamente nei comparti: 2, a Pianura per 1260 alloggi;
3, a
Chiaiano per 133 alloggi; e comparto 5, a Miano per 670 alloggi.
Sui 1259 alloggi realizzati solo a Pianura, 1007 furono creati in aree libere.
Una indagine giudiziaria sui lavori del CO.RI. iniziata nel 1983, che portò nel
1987 al sequestro, solo nel quartiere di Pianura, di tre cantieri per diversi
fabbricati, a Corso Duca d’Aosta, a via Pallucci
ed a via Montagna Spaccata, ci consente di osservare una
istantanea di uno dei principali protagonisti della ricostruzione a Napoli, in
un periodo di grandi trasformazioni in cui il rapporto fra i politici e gli
amministratori da una parte, gli imprenditori da un'altra ed i camorristi da
altra ancora, trova una sua fusione nel meccanismo degli appalti pubblici.
Il fermo immagine delle ditte impegnate nella ricostruzione a Pianura ci
restituisce anche l'immagine nitida del periodo compreso tra il “caso
Cirillo” e l'ascesa dei gruppi camorristici vincenti lo scontro con i
cutoliani.
La mediazione conseguente all’egemonia di Antonio Bardellino e
Carmine Alfieri, ridimensionati gli interessi di Lorenzo
Nuvoletta, che ridefinisce la politica delle alleanze imprenditoriali
e politiche, è descritta efficacemente dal pentito Pasquale Galasso,
nell'interrogatorio del 21-22 dicembre 1992 :
“La mediazione avviene imponendo all'impresa suddetta sia una tangente a lui
stesso od ai suoi rappresentanti diretti, sia l'assegnazione di sub-appalti a
ditte controllate direttamente dalle organizzazioni camorristiche. Il
rapporto diviene più complesso allorché alla ditta principale vengono
affiancate, in condizioni di parità nel lavoro, ditte locali: in questo caso
avviene una gestione complessiva dell'operazione da parte di politici,
imprenditori e camorristi.”
Con a capo l’ing. Massimo de Lieto, della “De Lieto Costruzioni
generali spa”, nella duplice veste anche di padrone di casa e presidente
del consorzio , il CO.RI. vedeva una platea societaria affollatissima:
dai trentini “ing. Lino e Ito del Bavero costruzioni spa” (legati
all’on. della DC, Flaminio Piccoli), ai veneti Furlanis costruzioni
generali di Portogruaro (VE) e i friulani dell'impresa “Vittadello
Antonio di Vittadello Sergio e Gino sas di Limena (Pordenone); dai giganti
nazionali come Italstrade spa, Grandi Lavori spa, Impresa
Ferrocemento Lavori Pubblici spa, Lodigiani, la parmigiana Pizzarotti
, fino alle imprese locali come “La Meridionale srl” di Napoli, i Cabib
con l’ICAR Costruzioni srl, e la collegata Impresa Giglio spa
di Caserta, Impresa Luigi Visconti Costruzioni di Napoli, la “ing. Balsamo,
la ditta individuale Alessandro Sorrentino.
Su ognuna di queste società e ditte andrebbe scritta una pagina di storia della
speculazione edilizia della città, ma per seguire il filo dell'inchiesta che
portò al sequestro dei cantieri del CO.RI., nel 1987, partita
anni prima, bisogna cominciare dalla ditta individuale Alessandro Sorrentino.
Alessandro Sorrentino, ed il fratello Bruno, erano
titolari della “Sorrentino Costruzioni”, fondata dal padre Matteo,
vecchio costruttore di Portici,amico di Alfonso
Rosanova (una delle menti della trattaviva sul "caso
Cirillo") e legato al clan Vollaro, verrà anni dopo
indicato da Ferrara Rosanova come "un noto
personaggio degli ambienti malavitosi e ritenuto uno dei capi della delinquenza
organizzata dell'epoca" (dichiarazione resa alla Questura di Salerno
il 5-4-1993) . La
Sorrentino Costruzioni da srl si trasformò in spa, nei primi
anni nel 1982, passando da un capitale sociale di 20 milioni di lire ad un
miliardo, nonostante l'evidenza che dai bilanci risultassero delle forti
perdite.
La “Sorrentino Costruzioni spa” figurava anche in un’altra
società costituita dalle imprese consorziate, la DIFIS, costituita
oltre che dai Sorrentino da: Italstrade, Infrasud, Furlanis
e De Lieto. Per eseguire direttamente le opere in subappalto, l’art. 3
dello statuto del consorzio consentiva “di subaffidare i lavori a società
iscritte all’albo nazionale dei fornitori o a ditte esterne purchè costituite
esclusivamente dalle imprese consorziate”, ma all’interno del CO.RI.
troviamo solo Alessandro Sorrentino, in qualità di “ditta individuale”, motivo
per cui l’affidamento dei lavori alla DIFIS non era regolare, in quanto
prevedeva espressamente che i componenti fossero delle società.
I
Sorrentino, erano già stati attenzionati dalle indagini giudiziarie, spesso in
combinazione con Isidoro Balsamo, attraverso la srl So.Cos. ed la
cooperativa bolognese C.C.S., per i lavori relativi alla costruizione di
Monterusciello, per l'Interporto di Maddaloni
ed il CIS di Nola, oltre che per diversi interessi negli
affari miliardari delle opere per le infrastrutture in tutta la regione.
Nel 1993 la So.Cos.
Srl ed la
C.C.S. finirono
nell'inchiesta sullo spreco dei fondi per la ricostruzione, per il raddoppio
della ferrovia Circumvesuviana, passato da un costo iniziale
di 80 miliardi a 170, sul tratto Pomigliano-San Vitaliano e la sistemazione del
Canale Conte di Sarno il cui costo complessivo raggiunse i 250
miliardi. Nella relazione della commissione Scalfaro si legge che "i
costi relativi alla parte napoletana sono lievitati del 46% sugli oneri
previsti dalle convenzioni, e quelli relativi all' area metropolitana del 197%".
L' affidamento di questi due appalti, da parte dell'ex presidente della Regione
Antonio Fantini, avvenne secondo il regime della
"concessione", ma per le infrastrutture, poteva essere applicato
soltanto a quelle ditte o consorzi che già avevano svolto lavori nel settore
della ricostruzione edilizia.
Ad attrarre l’attenzione dei giudici sui lavori a Pianura fu la presenza della
ditta individuale Alessandro Sorrentino (non la srl o la spa),
il cui titolare era stato ucciso nel 1985. Un errore? Oppure il segnale di
qualcosa che già non andava nel CO.RI.?
Dichiarerà anni dopo il pentito Galasso che l'on. Paolo Cirino Pomicino
“da anni aveva una relazione di amicizia con (...) Alessandro Sorrentino,
assassinato nel 1985”, al quale aveva rivolto delle lettere confidenziali,
come risulta anche dal rapporto dei carabinieri n. 337/29 del 26 ottobre 1985,
redatto in occasione delle indagini sul suo omicidio.
L'onorevole Paolo Cirino Pomicino aveva anche acquistato dai Sorrentino
le quote di una società detentrice di un appartamento a Posillipo, in via
Nevio, per la somma di 200 milioni di lire. Bruno Sorrentino
verrà in seguito sottoposto a procedimento penale per associazione per
delinquere di stampo mafioso, con la misura di prevenzione antimafia; stesso
destino del padre, Matteo Sorrentino, sottoposto a
procedimento penale per associazione camorristica.
Sulle cause della morte di Alessandro Sorrentino, il provvedimento del
giudice relativo al procedimento per Bruno Sorrentino,
attribuì la morte del fratello “quale vittima di una vendetta
trasversale..." ricostruendo "innanzitutto la sua esperienza
societaria con Vincenzo Casillo (morto secondo il pentito Galasso per
segnalare al Cutolo l'avvenuto passaggio con Carmine Alfieri
di politici ed imprenditori un tempo a lui vicini) il potente dirigente
della N.C.O. (...) la stessa pericolosa disponibilità si
ripresenta nell'aver consentito che lo Iacolare (capo cutoliano, a sua
volta coinvolto nella trattativa Cirillo) si appoggiasse ad un
suo appartamento. Bruno Sorrentino appare troppo disinvolto nel prendere in
locazione la superaccessoriata villa di Michele Zaza. Ma ciò che
maggiormente induce a ritenere il Sorrentino attualmente una persona
disponibile alla mediazione fra società civile e poteri criminali (...) è il
suo ruolo, confessato, di cassiere delle bande di criminali associate che con
il vincolo dell'intimidazione hanno taglieggiato gli imprenditori (...) ciò
costituisce un meccanismo di trasmissione dei piani e della progettualità dei
poteri criminali nella società civile, con un capovolgimento delle regole non
solo dei rapporti economici, ma dell'intera convivenza". (Domanda di
autorizzazione a procedere nei confronti del dep. Cirino Pomicino 8 aprile
1993)
Il pentito Giuseppe Galasso rivelò, alcuni anni dopo, il
meccanismo di controllo politico-camorrista dell'attività imprenditoriale nella
ricostruzione post-sisma. La “Sorrentino s.p.a.”, passata in seguito a Bruno
Sorrentino, era legata alla Pizzarotti di Parma e sopratutto ad Antonio
Malvento, braccio destro del boss Carmine Alfieri che per suo conto
controllava la zona di Fuorigrotta.
A proposito della riconfigurazione dei rapporti tra imprenditori e clan della
Camorra il pentito Galasso, nell'interrogatorio del 12 marzo 1993 reso nella
casa circondariale di Biella dichiarò che:
“La
morte del Casillo e la sconfitta definitiva del Cutolo determinarono l'ascesa
di Carmine Alfieri che, ormai incontrastato, diventò rapidamente il punto di
riferimento in Campania sia delle organizzazioni criminali, che del ceto
imprenditoriale e politico locale. Tutti i vecchi gruppi cutoliani (Maiale
di Eboli, Forte di Baronissi, Salvatore di Maio di Nocera
Inferiore, Pepe Mario di Salerno, i fratelli
Marinelli di Avellino, Graziano di Quindici, Maisto di
Giugliano ed altri) si avvicinarono alla nostra organizzazione.
Contemporaneamente andò crescendo il peso politico ed affaristico dell'Alfieri
e del suo braccio destro Antonio Malvento, che
acquisì il controllo di tutte le imprese edili campane, prima legate al Cutolo
(prima fra tutte la
Sorrentino), e strinse legami con esponenti politici
locali, fra cui quelli della corrente gavianea...”
Nelle dichiarazioni di Galasso un ruolo importante è rivestito anche dal padre
dei fratelli Sorrentino, Matteo, a riguardo i lavori per il CIS
di Nola. “ Fra le principali ditte appaltatrici e concessionarie vi
erano quelle di Matteo e Bruno Sorrentino, e quella della Pizzarotti, a sua
volta legata al Malventi ed al Bruno Sorrentino. La Pizzarottimi sembra avesse l'incarico di costruire un importante pezzo della
ferrovia o dell'autostrada. Il (omissis) - se ben ricordo - mi raccontò che il
Pizzarotti si lamentava perché doveva pagare, secondo richieste ricevute, anche
tangenti alle bande camorristiche anche dopo aver ricevuto assicurazione da
parte di politici, cioè del Pomicino, che pagando loro la tangente del
10 per cento avrebbe ricevuto anche la sicurezza sui cantieri verso la camorra.
So che in seguito il Malventi ed il Matteo Sorrentino risolsero la questione,
non so in che modo".
I cantieri che furono sequestrati nel 1987 a Corso Luca d’Aosta, via Pallucci erano
quelli che facevano capo alla DIFIS. In via Montagna Spaccata lavorava
invece la Delta
2000, ultimo terminale di una serie di intermediazioni, passate dal Co.Ri.
al alla CA.DEL.VI. e da questa alla coperativa “Viticaglia” per
finire alla Delta 2000.
La CA.DEL.VI. costituita nel 1982 dal trentino Ito Del Bavero,
che ne era presidente, con Leonardo Carriero (N.d.R. socio di Antonio
Baldi, i due costruttori che, arrestati nel 1993, con le loro rivelazioni sulle
opere faraoniche con i fondi del dopo terremoto contribuirono all'arresto dei
“17 re di Napoli” ) e Vito Visconti di Calvizzano, subappaltò i lavori
alla cooperativa “Viticaglia” di Quarto, presieduta da Emidio
Vivenzio, iscritta all’albo dei costruttori nel 1977. Tutto a posto, se non
fosse per il fatto che nel 1986 la Viticaglia si era trasformata in “Delta 2000”, società con 4
dipendenti e 12 soci. Sia la
Viticaglia che la
Delta 2000 risultavano avere sede legale in via Padula 145, in comune con un’altra
società, la SIGMA,
a cui il commissariato di Governo aveva revocato la concessione per una serie
di irregolarità. Alla Viticaglia, poi Delta 2000, erano stati affidati gli
stessi lavori della SIGMA: il movimento terra.
Tra i cantieri di Pianura autorizzati dal commissariato di governo, figuravano
diversi costruttori abusivi e teste di legno. La società “Luisa
Castellammare”, di Luisa Castellammare e Giorgio Perna, che
qualche anno prima aveva acquistato degli appartamenti realizzati abusivamente
e costruì un fabbricato intestando a tale Salvatore Musella. Alla
direzione dei lavori Vittorio Pisciotta (anch’egli noto costruttore
abusivo).
La società cooperativa di Quarto “Iris”, presieduta da Santolo
Brescia con Guglielmo Palmieri vicepresidente, e la società Orchidea
di Marano, della famiglia Palmieri (Antonio, Guglielmo, Beniamino e
Ferdinando), che lavoravano per incarico del duo Pizzarotti-Vittadello.
L’impresa
“De Luca Piscione Sebastiano”, tra i cui dipendenti figurava Beniamino
Accietto (noto per reati di abusivismo edilizio a Pianura), legato a Giorgio
Scia (entrambi con dimora in via Grottole), il filosofo dell’abusivismo e
della speculazione edilizia a Pianura, indiziato per associazione a delinquere,
che arrivò anche a descrivere il funzionamento degli affari ai microfoni del
TG1 dicendo: “Andiamo da chi ha il terreno, gli diamo due o tre appartamenti
in cambio, facciamo una cooperativa e realizziamo il tutto”.
Scia ha goduto per anni di credito presso gli istituti
bancari, circostanza che fece finire sotto inchiesta alcuni funzionari bancari
e un notaio all’epoca molto in vista a Napoli, Giuseppe Ciaccia, a sua
volta acquirente di due appartamenti presso la ditta di Scia.
Giorgio Scia figurava anche in una società di Vincenzo Lago,
fratello del boss di Pianura Pietro Lago.
Tra le imprese che lavoravano per il Co.Ri. anche qualcuna casertana: la “Impresa
Giglio spa”, amministrata da Vincenzo Giglio, presidente anche della
IGI Costruzioni srl, società con sede a Napoli in piazza dei martiri 30,
allo stesso indirizzo della ICAR Costruzioni srl amministrata da Giuseppe
Aiello e Eugenio Cabib, quest’ultimo nel 1987 era il numero uno
dell’ACEN, l’associazione dei costruttori napoletani. La ICAR Costruzioni
era la società madre di un gruppo partito con quattro miliardi di fatturato nel
1980 e arrivato a quota novanta miliardi dieci anni dopo.
Eugenio Cabib era anche presidente del Co.R.In.
(Consorzio Ricostruzione Industriale), nato nel 1981 per bonificare l' antico
sistema di canali dei regi Lagni, e che operò nel comparto n. 8 (a Marigliano).
Capofila del Co.R.In. era la società Icar Costruzioni, ma nel consorzio
entrarono i più importanti imprenditori napoletani: Francesco Zecchina, Bruno
Capaldo, Isidoro Balsamo, Gennaro Corsicato, Eugenio
Marino, Vincenzo Giglio.
Il pentito Pasquale Galasso, anche in merito al ruolo dell'impreditore Eugenio Cabib, nei lavori per i regi Lagni, nell'area di Marigliano, dichiarerà:
“
(...) l'assegnazione dei lavori al consorzio CO.R.IN.,
guidato dall'ingegner Cabib, avvenne senza alcuna trattativa
ma semplicemente perché quel consorzio era concessionario della realizzazione
di un insediamento abitativo finanziato con la legge n. 219 del 1981 in Marigliano, uno dei
9 comuni in cui erano in corso analoghe iniziative e che, nell'area nolana,
scaricavano in quel canale (dichiarazioni del Guglielmi e del Cabib: n. 28 e n.
29); nessuna disposizione normativa consentiva di ritenere un'opera idraulica
di quella portata finanziabile ai sensi della legge n. 219 del 1981;
progettista del CO.R.IN. in Marigliano era l'ingegner Vincenzo Maria
Greco (N.d.R. braccio destro di Pomicino); l'ingegner Cabib, pur
avendo nominato progettista un tecnico di chiara fama che da decenni trattava
il problema (l'ingegner Guglielmi), gli impose di esser affiancato dalla soc.
servizi ingegneria, controllata da ("di proprietà di" dirà il
Guglielmi) l'ingegner Greco (i rapporti fra tale ditta ed il Greco, di totale
identificazione, emergono con chiarezza dalle intercettazioni telefoniche e
dalle indagini bancarie contestate al Greco nel corso degli interrogatori
citati); l'ingegner Cabib impone lo stesso ingegner Greco quale consulente ai
progettisti, con modalità del tutto anomale (il compenso per progettisti e
consulenti è di svariati miliardi); il CO.R.IN., che palesemente è inidoneo a
gestire un così complesso incarico, si associa varie altre ditte, fra cui
quella di Isidoro Balsamo, cognato del Greco (valgono per il
Balsamo le medesime considerazioni su assegni - per centinaia di milioni - e
telefonate che lo indicano in strettissimo rapporto con il Greco);
risulterebbero finanziate a quest'ultima ditta opere funzionali non a quelle
autorizzate ma ad interventi stralciati e non ancora finanziati; il regista
effettivo dell'intero intervento, e la vera autorità nella direzione dei lavori
era l'ingegner Greco; importantissimo subappalto dal Cabib fu affidato, come
lui stesso riconosce, a ditta appartenente al figlio di un noto pregiudicato
della zona (si ricordi: di area nolana); lo stesso Alfieri Francesco,
congiunto di Carmine, di cui spesso si è parlato, risulta
sub-appaltatore di altro componente del consorzio operante, cioè il cavalier Zecchina,
come risulta dalle citate intercettazioni telefoniche sull'utenza dell'Alfieri,
nonché dalle ammissioni di quest'ultimo; sono acquisite agli atti le
dichiarazioni di Maninetti Alessandra, vedova del noto
capo-camorra Raffaele Nuzzo, secondo la quale l'omicidio del
marito e di altra persona fu dovuto allo scontro con la banda dei casalesi per
il controllo del subappalto di quelle opere, da cui si prevedeva di ricavare un
utile di circa 5 miliardi di lire (doc. n. 30); pure agli atti sono le
dichiarazioni di altro dissociato (di cui si tace il nome)..."
(Domanda di autorizzazione a procedere nei confronti del dep. Cirino Pomicino 8
aprile 1993)
Sul fronte dei subappalti l’inchiesta del 1987 mise in evidenza la presenza di
diverse ditte: la casertana “Riccio Eugenio”, tra i cui dipendenti
figuravano Carmine, Basilio e Serafino Mangiapia, quest'ultimo
noto prestanome della periferia ovest di Napoli, inquisito nel 1981 per
costruzione abusiva.
Serafino Mangiapia, operaio della “Riccio Eugenio” figurava anche come
dipendente di Vincenzo Polverino.
Altre ditte presenti erano inoltre la
SOGEI, la “comunità Artigiana di Marano” ed
altre ditte che apparivano come funghi per poi sparire nel nulla, come la “Falconetti”
di Castelvolturno, la Concub
dei Condemi di Pianura, la
Somin, la Martino Giuseppe di Casaluce CE, la Marcuz Andrea
di Ercolano, la Antonio
Noverino di Portici, la Im.Ca di Napoli…
Gli operai delle ditte ovviamente, tranne pochissime eccezioni, erano tutti
rigorosamente pianuresi.