Gli intrecci tra costruttori e camorristi nel quartiere napoletano di Pianura

Piezz e Co.Ri.

di Emiliano di Marco

19 / 2 / 2010

Che il quartiere di Pianura, uno dei più estesi della città di Napoli, sia il paradiso dell’abusivismo nonché uno dei principali avamposti della speculazione edilizia, dagli anni ’60 fino ad oggi, è opinione comune. Del resto basta fare una passeggiata lungo via Montagna Spaccata, ormai tradizionale appuntamento per le colate di cemento selvaggio, per rendersene conto. Dopo il sisma del 1980, le opere per la ricostruzione finanziate dalla legge 14 maggio 1981, n. 219, hanno dirottato sulle aree colpite migliaia di miliardi, un gigantesco affare su cui si riorganizzò il rapporto tra politica, costruttori e capitale mafioso che ha caratterizzato la storia della campania negli ultimi trenta anni.

Per sveltire i tempi burocratici la legge arrivò a mettere in campo l’istituto della concessione, che consentì ai consorzi accreditati l’esproprio delle terre. La L.219 consentiva inoltre l’affidamento in anticipo del 25% del finanziamento dell’intera opera da realizzare. L’assenza di trasparenza nei controlli favorì, attraverso la filiera della subappaltazione, l’ingresso delle ditte della camorra.
Ancora oggi i problemi che derivano dalla “ricostruzione” e dalla deportazione di migliaia di persone nelle periferie di cemento di Napoli, realizzate senza i servizi necessari per sostenere lo sviluppo socioeconomico degli abitanti, sono sotto gli occhi di tutti.
Tra i quartieri “colpiti” (più che dal sisma, dagli interventi per la ricostruzione), Pianura è l'emblema ed il paradigma di un terremoto che non è mai finito e che ancora trascina con sé tutto il peso dell'assenza di un disegno urbanistico organico.
Il territorio del quartiere non ha ancora un assetto idrogeologico, e vive in emergenza continua ogni volta che piove, nonostante i miliardi di vecchie lire spesi per la realizzazione di fognature e canali di scolo da parte dei consorzi, come il Co.Ri. (il "Consorzio Ricostruzioni" affidatario di opere importanti nell'ambito della L.219). Con l'espansione edilizia, tra il 1971 ed il 2001, la popolazione residente di Pianura è passata dall’1,3% fino al 5,82% della popolazione complessiva di Napoli, arrivando (al 2001) a 54.445 abitanti.
Finiti gli anni ruggenti della ricostruzione post-terremoto, durante i quali il quartiere ha inghiottito voluttuosamente tonnellate di cemento armato senza licenza edilizia, Pianura negli anni successivi (fino ai giorni nostri) è diventata la terra promessa delle sentenze della magistratura sui reati connessi all’abusivismo.


Una spartizione bi-tri-quadri-penta-partizan
Nel corso degli anni ’80, furono coinvolti un po’ tutti gli esponenti del "partito del mattone", consorziatisi tra di loro, a volte in maniera trasversale, per partecipare alla spartizione dei fondi del terremoto.
Per avere una idea di quanto fossero trasversali gli interessi, basti ricordare il dossier di 250 pagine contro l'on. Giorgio Almirante che un esponente del MSI, l'avvocato Angelo Cerbone, inviò alla magistratura negli anni ’80. Nel dossier veniva riportato lo stralcio di una conversazione telefonica, intercettata dalla polizia giudiziaria, fra l’avvocato Cesare Bruno, inquisito poi per 416bis, ed un personaggio identificato come Antonio Mazzone, deputato del MSI, nella quale “si fa cenno alla somma di 180 milioni portati dall’onorevole Abbatangelo all’onorevole Almirante. L’ingente somma sarebbe il compenso per una compiacente delibera in merito a delle costruzioni eseguite in Pianura.”

Bruno: “…Abbantangelo ha detto vicino ad Amirante: mi devi spiegare i 180 milioni che ho portato dove stanno…”

Mazzone: “180 milioni gli ha portato?”

Bruno: “così ha detto”

Mazzone. “i soldi di Pianura?”

Bruno:”sono cazzi loro, non lo so”

Mazzone: “ma questa è quella delibera per cui volevo fare l’interrogazione e non me la faceste fare?”

Bruno:” io me ne uscii fuori dall’aula, non ho votato”

Mazzone:”cosa?”

Bruno:” io me ne uscii fuori dall’aula…il fatto dei costruttori…”

Il voluminoso dossier di Cerbone costò ad Almirante una richiesta di autorizzazione a procedere, trasmessa dalla Procura di Napoli il 16 marzo 1988.
Cadde ingloriosamente sul campo di battaglia, ma prontamente rialzatosi, colpito dalle inchieste del magistrato Aldo De Chiara, anche il RUAN, il consorzio il cui scandalo portò, il 18 ottobre 1983, ad una richiesta di autorizzazione a procedere della procura di Napoli per Andrea Geremicca, che all’epoca era deputato del PCI, ed il consigliere comunale Angelo Acerra, per “i rapporti di subappalto o comunque cottimo avente ad oggetto opere pubbliche quali l’ultimazione di sei fabbricati siti a Pianura acquisiti al patrimonio indisponibile del comune di Napoli”.
La vicenda giudiziaria scaturì da un ordine del giorno del 1983, votato all'unanimità dal consiglio  circoscrizionale di Pianura, nel quale si denunciavano gli eventuali interessi privati nella concessione a trattativa privata, da parte del comune di Napoli al RUAN, dell'appalto per l'ultimazione di alcuni edifici, culminata con le delibere di giunta n. 438 del 12 novembre 1982 e n. 435 del 20 gennaio 1983, delle quali Geremicca era assessore proponente. L'indagine evidenziò che i provvedimenti, di competenza del consiglio comunale, erano viziati anche per la procedura dell'appalto-concorso ed infine per la definizione delle ditte appaltatrici prive dei requisiti ai sensi della legge 584 del 1977, modificata dalla legge n.1 del 1978.
Dall'indagine giudiziaria emerse che Andrea Geremicca e Angelo Acerra erano consapevoli del fatto che le ditte consorziate avevano “senza formale autorizzazione subappaltato i lavori per 8 milioni(di lire) a vano ad imprese di comodo fittizie ed inconsistenti” dietro le quali si nascondevano gli stessi costruttori degli immobili abusivi.

La magistratura individuò i soci occulti del noto palazzinaro pianurese Tommaso Giuliano, il quale aveva avviato i lavori abusivi di alcuni stabili in via provinciale 99, poi acquisiti al patrimonio comunale. I lavori di completamente furono realizzati dal RUAN, consorzio che era formato da tre società la I.C.R.A. srl, la Co.ri.edil. snc e la “Scavo e Capuano srl” (la quale uscì dal consorzio dopo appena due mesi), mentre le altre per i lavori si affidarono a terzi: Vincenzo Polverino, Giosuè D’Angelo, Alberto Ambrosino, Antonio Zecconi, Gennaro Di Vicino; definiti dal giudice Aldo De Chiara verosimilmente collegati ai reali costruttori abusivi dei sei manufatti”.
L'esorbitante costo complessivo dell'appalto, 15.070.000.000 di vecchie lire (pari a 15 milioni a vano), solo per il completamento degli edifici, contro un prezzo di mercato che oscillava tra i 7 ed i 9 milioni di lire a vano, con esclusione delle opere di urbanizzazione, per le quali vi fu una apposita delibera di altri 6.700.000.000 di lire, comportò il sequestro giudiziario dei sei manufatti, nel 1983, per “ipotesi di subappalto penalmente rilevanti”, in seguito all’entrata in vigore della legge 646 del settembre 1982, per le irregolarità nell’assegnazione dei lavori, senza alcuna autorizzazione.
La coraggiosa denuncia del Consiglio Circoscrizionale di Pianura, che fece scoppiare lo scandalo Geremicca, si spiega però solo con un'altra votazione, il 19 giugno del 1985, con la quale stavolta si chiedeva al CO.RI. "di farsi carico della situazione, rendendosi disponibile ad impegnare anche le imprese di Pianura (...) constatato che la disoccupazione ha raggiunto ed oltrepassato i limiti di guardia, sopratutto per il fermo dell'abusivismo edilizio"

L'inchiesta sul CO.RI.
Ma la vicenda del RUAN è robetta rispetto alle responsabilità del CO.RI. (Consorzio Ricostruzioni), megaconcessionario di lavori finanziati con i fondi per la ricostruzione post terremoto del 1980, non solo a Pianura, ma anche a Chiaiano e Miano, rispettivamente nei comparti: 2, a Pianura per 1260 alloggi; 3, a Chiaiano per 133 alloggi; e comparto 5, a Miano per 670 alloggi.
Sui 1259 alloggi realizzati solo a Pianura, 1007 furono creati in aree libere.
Una indagine giudiziaria sui lavori del CO.RI. iniziata nel 1983, che portò nel 1987 al sequestro, solo nel quartiere di Pianura, di tre cantieri per diversi fabbricati, a Corso Duca d’Aosta, a via Pallucci ed a via Montagna Spaccata, ci consente di osservare una istantanea di uno dei principali protagonisti della ricostruzione a Napoli, in un periodo di grandi trasformazioni in cui il rapporto fra i politici e gli amministratori da una parte, gli imprenditori da un'altra ed i camorristi da altra ancora, trova una sua fusione nel meccanismo degli appalti pubblici.
Il fermo immagine delle ditte impegnate nella ricostruzione a Pianura ci restituisce anche l'immagine nitida del periodo compreso tra il “caso Cirillo” e l'ascesa dei gruppi camorristici vincenti lo scontro con i cutoliani.
La mediazione conseguente all’egemonia di Antonio Bardellino e Carmine Alfieri, ridimensionati gli interessi di Lorenzo Nuvoletta, che ridefinisce la politica delle alleanze imprenditoriali e politiche, è descritta efficacemente dal pentito Pasquale Galasso, nell'interrogatorio del 21-22 dicembre 1992 :

La mediazione avviene imponendo all'impresa suddetta sia una tangente a lui stesso od ai suoi rappresentanti diretti, sia l'assegnazione di sub-appalti a ditte controllate direttamente dalle organizzazioni camorristiche. Il rapporto diviene più complesso allorché alla ditta principale vengono affiancate, in condizioni di parità nel lavoro, ditte locali: in questo caso avviene una gestione complessiva dell'operazione da parte di politici, imprenditori e camorristi.”
Con a capo l’ing. Massimo de Lieto, della “De Lieto Costruzioni generali spa”, nella duplice veste anche di padrone di casa e presidente del consorzio , il CO.RI. vedeva una platea societaria affollatissima: dai trentini “ing. Lino e Ito del Bavero costruzioni spa” (legati all’on. della DC, Flaminio Piccoli), ai veneti Furlanis costruzioni generali di Portogruaro (VE) e i friulani dell'impresa “Vittadello Antonio di Vittadello Sergio e Gino sas di Limena (Pordenone); dai giganti nazionali come Italstrade spa, Grandi Lavori spa, Impresa Ferrocemento Lavori Pubblici spa, Lodigiani, la parmigiana Pizzarotti , fino alle imprese locali come “La Meridionale srl” di Napoli, i Cabib con l’ICAR Costruzioni srl, e la collegata Impresa Giglio spa di Caserta, Impresa Luigi Visconti Costruzioni di Napoli, la “ing. Balsamo, la ditta individuale Alessandro Sorrentino.
Su ognuna di queste società e ditte andrebbe scritta una pagina di storia della speculazione edilizia della città, ma per seguire il filo dell'inchiesta che portò al sequestro dei cantieri del CO.RI., nel 1987, partita anni prima, bisogna cominciare dalla ditta individuale Alessandro Sorrentino.
Alessandro Sorrentino, ed il fratello Bruno, erano titolari della “Sorrentino Costruzioni”, fondata dal padre Matteo, vecchio costruttore di Portici,amico di Alfonso Rosanova (una delle menti della trattaviva sul "caso Cirillo") e legato al clan Vollaro, verrà anni dopo indicato da Ferrara Rosanova come "un noto personaggio degli ambienti malavitosi e ritenuto uno dei capi della delinquenza organizzata dell'epoca" (dichiarazione resa alla Questura di Salerno il 5-4-1993) . La Sorrentino Costruzioni da srl si trasformò in spa, nei primi anni nel 1982, passando da un capitale sociale di 20 milioni di lire ad un miliardo, nonostante l'evidenza che dai bilanci risultassero delle forti perdite.
La “Sorrentino Costruzioni spa” figurava anche in un’altra società costituita dalle imprese consorziate, la DIFIS, costituita oltre che dai Sorrentino da: Italstrade, Infrasud, Furlanis e De Lieto. Per eseguire direttamente le opere in subappalto, l’art. 3 dello statuto del consorzio consentiva “di subaffidare i lavori a società iscritte all’albo nazionale dei fornitori o a ditte esterne purchè costituite esclusivamente dalle imprese consorziate”, ma all’interno del CO.RI. troviamo solo Alessandro Sorrentino, in qualità di “ditta individuale”, motivo per cui l’affidamento dei lavori alla DIFIS non era regolare, in quanto prevedeva espressamente che i componenti fossero delle società.

I Sorrentino, erano già stati attenzionati dalle indagini giudiziarie, spesso in combinazione con Isidoro Balsamo, attraverso la srl So.Cos. ed la cooperativa bolognese C.C.S., per i lavori relativi alla costruizione di Monterusciello, per l'Interporto di Maddaloni ed il CIS di Nola, oltre che per diversi interessi negli affari miliardari delle opere per le infrastrutture in tutta la regione.
Nel 1993 la So.Cos. Srl ed la C.C.S. finirono nell'inchiesta sullo spreco dei fondi per la ricostruzione, per il raddoppio della ferrovia Circumvesuviana, passato da un costo iniziale di 80 miliardi a 170, sul tratto Pomigliano-San Vitaliano e la sistemazione del Canale Conte di Sarno il cui costo complessivo raggiunse i 250 miliardi. Nella relazione della commissione Scalfaro si legge che "i costi relativi alla parte napoletana sono lievitati del 46% sugli oneri previsti dalle convenzioni, e quelli relativi all' area metropolitana del 197%". L' affidamento di questi due appalti, da parte dell'ex presidente della Regione Antonio Fantini, avvenne secondo il regime della "concessione", ma per le infrastrutture, poteva essere applicato soltanto a quelle ditte o consorzi che già avevano svolto lavori nel settore della ricostruzione edilizia.
Ad attrarre l’attenzione dei giudici sui lavori a Pianura fu la presenza della ditta individuale Alessandro Sorrentino (non la srl o la spa), il cui titolare era stato ucciso nel 1985. Un errore? Oppure il segnale di qualcosa che già non andava nel CO.RI.?
Dichiarerà anni dopo il pentito Galasso che l'on. Paolo Cirino Pomicinoda anni aveva una relazione di amicizia con (...) Alessandro Sorrentino, assassinato nel 1985”, al quale aveva rivolto delle lettere confidenziali, come risulta anche dal rapporto dei carabinieri n. 337/29 del 26 ottobre 1985, redatto in occasione delle indagini sul suo omicidio.
L'onorevole Paolo Cirino Pomicino aveva anche acquistato dai Sorrentino le quote di una società detentrice di un appartamento a Posillipo, in via Nevio, per la somma di 200 milioni di lire. Bruno Sorrentino verrà in seguito sottoposto a procedimento penale per associazione per delinquere di stampo mafioso, con la misura di prevenzione antimafia; stesso destino del padre, Matteo Sorrentino, sottoposto a procedimento penale per associazione camorristica.
Sulle cause della morte di Alessandro Sorrentino, il provvedimento del giudice  relativo al procedimento per Bruno Sorrentino, attribuì la morte del fratello “quale vittima di una vendetta trasversale..."
ricostruendo "innanzitutto la sua esperienza societaria con Vincenzo Casillo (morto secondo il pentito Galasso per segnalare al Cutolo l'avvenuto passaggio con Carmine Alfieri di politici ed imprenditori un tempo a lui vicini) il potente dirigente della N.C.O. (...) la stessa pericolosa disponibilità si ripresenta nell'aver consentito che lo Iacolare (capo cutoliano, a sua volta coinvolto nella trattativa Cirillo) si appoggiasse ad un suo appartamento. Bruno Sorrentino appare troppo disinvolto nel prendere in locazione la superaccessoriata villa di Michele Zaza. Ma ciò che maggiormente induce a ritenere il Sorrentino attualmente una persona disponibile alla mediazione fra società civile e poteri criminali (...) è il suo ruolo, confessato, di cassiere delle bande di criminali associate che con il vincolo dell'intimidazione hanno taglieggiato gli imprenditori (...) ciò costituisce un meccanismo di trasmissione dei piani e della progettualità dei poteri criminali nella società civile, con un capovolgimento delle regole non solo dei rapporti economici, ma dell'intera convivenza". (Domanda di autorizzazione a procedere nei confronti del dep. Cirino Pomicino 8 aprile 1993)
Il pentito Giuseppe Galasso rivelò, alcuni anni dopo, il meccanismo di controllo politico-camorrista dell'attività imprenditoriale nella ricostruzione post-sisma. La “Sorrentino s.p.a.”, passata in seguito a Bruno Sorrentino, era legata alla Pizzarotti di Parma e sopratutto ad Antonio Malvento, braccio destro del boss Carmine Alfieri che per suo conto controllava la zona di Fuorigrotta.
A proposito della riconfigurazione dei rapporti tra imprenditori e clan della Camorra il pentito Galasso, nell'interrogatorio del 12 marzo 1993 reso nella casa circondariale di Biella dichiarò che:

La morte del Casillo e la sconfitta definitiva del Cutolo determinarono l'ascesa di Carmine Alfieri che, ormai incontrastato, diventò rapidamente il punto di riferimento in Campania sia delle organizzazioni criminali, che del ceto imprenditoriale e politico locale. Tutti i vecchi gruppi cutoliani (Maiale di Eboli, Forte di Baronissi, Salvatore di Maio di Nocera Inferiore, Pepe Mario di Salerno, i fratelli Marinelli di Avellino, Graziano di Quindici, Maisto di Giugliano ed altri) si avvicinarono alla nostra organizzazione. Contemporaneamente andò crescendo il peso politico ed affaristico dell'Alfieri e del suo braccio destro Antonio Malvento, che acquisì il controllo di tutte le imprese edili campane, prima legate al Cutolo (prima fra tutte la Sorrentino), e strinse legami con esponenti politici locali, fra cui quelli della corrente gavianea...”
Nelle dichiarazioni di Galasso un ruolo importante è rivestito anche dal padre dei fratelli Sorrentino, Matteo, a riguardo i lavori per il CIS di Nola. “ Fra le principali ditte appaltatrici e concessionarie vi erano quelle di Matteo e Bruno Sorrentino, e quella della Pizzarotti, a sua volta legata al Malventi ed al Bruno Sorrentino. La Pizzarottimi sembra avesse l'incarico di costruire un importante pezzo della ferrovia o dell'autostrada. Il (omissis) - se ben ricordo - mi raccontò che il Pizzarotti si lamentava perché doveva pagare, secondo richieste ricevute, anche tangenti alle bande camorristiche anche dopo aver ricevuto assicurazione da parte di politici, cioè del Pomicino, che pagando loro la tangente del 10 per cento avrebbe ricevuto anche la sicurezza sui cantieri verso la camorra. So che in seguito il Malventi ed il Matteo Sorrentino risolsero la questione, non so in che modo".
I cantieri che furono sequestrati nel 1987 a Corso Luca d’Aosta, via Pallucci erano quelli che facevano capo alla DIFIS. In via Montagna Spaccata lavorava invece la Delta 2000, ultimo terminale di una serie di intermediazioni, passate dal Co.Ri. al alla CA.DEL.VI. e da questa alla coperativa “Viticaglia” per finire alla Delta 2000.
La CA.DEL.VI. costituita nel 1982 dal trentino Ito Del Bavero, che ne era presidente, con Leonardo Carriero (N.d.R. socio di Antonio Baldi, i due costruttori che, arrestati nel 1993, con le loro rivelazioni sulle opere faraoniche con i fondi del dopo terremoto contribuirono all'arresto dei “17 re di Napoli” ) e Vito Visconti di Calvizzano, subappaltò i lavori alla cooperativa “Viticaglia” di Quarto, presieduta da Emidio Vivenzio, iscritta all’albo dei costruttori nel 1977. Tutto a posto, se non fosse per il fatto che nel 1986 la Viticaglia si era trasformata in “Delta 2000”, società con 4 dipendenti e 12 soci. Sia la Viticaglia che la Delta 2000 risultavano avere sede legale in via Padula 145, in comune con un’altra società, la SIGMA, a cui il commissariato di Governo aveva revocato la concessione per una serie di irregolarità. Alla Viticaglia, poi Delta 2000, erano stati affidati gli stessi lavori della SIGMA: il movimento terra.
Tra i cantieri di Pianura autorizzati dal commissariato di governo, figuravano diversi costruttori abusivi e teste di legno. La società “Luisa Castellammare”, di Luisa Castellammare e Giorgio Perna, che qualche anno prima aveva acquistato degli appartamenti realizzati abusivamente e costruì un fabbricato intestando a tale Salvatore Musella. Alla direzione dei lavori Vittorio Pisciotta (anch’egli noto costruttore abusivo).
La società cooperativa di Quarto “Iris”, presieduta da Santolo Brescia con Guglielmo Palmieri vicepresidente, e la società Orchidea di Marano, della famiglia Palmieri (Antonio, Guglielmo, Beniamino e Ferdinando), che lavoravano per incarico del duo Pizzarotti-Vittadello.

L’impresa “De Luca Piscione Sebastiano”, tra i cui dipendenti figurava Beniamino Accietto (noto per reati di abusivismo edilizio a Pianura), legato a Giorgio Scia (entrambi con dimora in via Grottole), il filosofo dell’abusivismo e della speculazione edilizia a Pianura, indiziato per associazione a delinquere, che arrivò anche a descrivere il funzionamento degli affari ai microfoni del TG1 dicendo: “Andiamo da chi ha il terreno, gli diamo due o tre appartamenti in cambio, facciamo una cooperativa e realizziamo il tutto”.
Scia ha goduto per anni di credito presso gli istituti bancari, circostanza che fece finire sotto inchiesta alcuni funzionari bancari e un notaio all’epoca molto in vista a Napoli, Giuseppe Ciaccia, a sua volta acquirente di due appartamenti presso la ditta di Scia.
Giorgio Scia figurava anche in una società di Vincenzo Lago, fratello del boss di Pianura Pietro Lago.
Tra le imprese che lavoravano per il Co.Ri. anche qualcuna casertana: la “Impresa Giglio spa”, amministrata da Vincenzo Giglio, presidente anche della IGI Costruzioni srl, società con sede a Napoli in piazza dei martiri 30, allo stesso indirizzo della ICAR Costruzioni srl amministrata da Giuseppe Aiello e Eugenio Cabib, quest’ultimo nel 1987 era il numero uno dell’ACEN, l’associazione dei costruttori napoletani. La ICAR Costruzioni era la società madre di un gruppo partito con quattro miliardi di fatturato nel 1980 e arrivato a quota novanta miliardi dieci anni dopo.
Eugenio Cabib era anche presidente del Co.R.In. (Consorzio Ricostruzione Industriale), nato nel 1981 per bonificare l' antico sistema di canali dei regi Lagni, e che operò nel comparto n. 8 (a Marigliano). Capofila del Co.R.In. era la società Icar Costruzioni, ma nel consorzio entrarono i più importanti imprenditori napoletani: Francesco Zecchina, Bruno Capaldo, Isidoro Balsamo, Gennaro Corsicato, Eugenio Marino, Vincenzo Giglio.

Il pentito Pasquale Galasso, anche in merito al ruolo dell'impreditore Eugenio Cabib, nei lavori per i regi Lagni, nell'area di Marigliano, dichiarerà:

“ (...) l'assegnazione dei lavori al consorzio CO.R.IN., guidato dall'ingegner Cabib, avvenne senza alcuna trattativa ma semplicemente perché quel consorzio era concessionario della realizzazione di un insediamento abitativo finanziato con la legge n. 219 del 1981 in Marigliano, uno dei 9 comuni in cui erano in corso analoghe iniziative e che, nell'area nolana, scaricavano in quel canale (dichiarazioni del Guglielmi e del Cabib: n. 28 e n. 29); nessuna disposizione normativa consentiva di ritenere un'opera idraulica di quella portata finanziabile ai sensi della legge n. 219 del 1981; progettista del CO.R.IN. in Marigliano era l'ingegner Vincenzo Maria Greco (N.d.R. braccio destro di Pomicino); l'ingegner Cabib, pur avendo nominato progettista un tecnico di chiara fama che da decenni trattava il problema (l'ingegner Guglielmi), gli impose di esser affiancato dalla soc. servizi ingegneria, controllata da ("di proprietà di" dirà il Guglielmi) l'ingegner Greco (i rapporti fra tale ditta ed il Greco, di totale identificazione, emergono con chiarezza dalle intercettazioni telefoniche e dalle indagini bancarie contestate al Greco nel corso degli interrogatori citati); l'ingegner Cabib impone lo stesso ingegner Greco quale consulente ai progettisti, con modalità del tutto anomale (il compenso per progettisti e consulenti è di svariati miliardi); il CO.R.IN., che palesemente è inidoneo a gestire un così complesso incarico, si associa varie altre ditte, fra cui quella di Isidoro Balsamo, cognato del Greco (valgono per il Balsamo le medesime considerazioni su assegni - per centinaia di milioni - e telefonate che lo indicano in strettissimo rapporto con il Greco); risulterebbero finanziate a quest'ultima ditta opere funzionali non a quelle autorizzate ma ad interventi stralciati e non ancora finanziati; il regista effettivo dell'intero intervento, e la vera autorità nella direzione dei lavori era l'ingegner Greco; importantissimo subappalto dal Cabib fu affidato, come lui stesso riconosce, a ditta appartenente al figlio di un noto pregiudicato della zona (si ricordi: di area nolana); lo stesso Alfieri Francesco, congiunto di Carmine, di cui spesso si è parlato, risulta sub-appaltatore di altro componente del consorzio operante, cioè il cavalier Zecchina, come risulta dalle citate intercettazioni telefoniche sull'utenza dell'Alfieri, nonché dalle ammissioni di quest'ultimo; sono acquisite agli atti le dichiarazioni di Maninetti Alessandra, vedova del noto capo-camorra Raffaele Nuzzo, secondo la quale l'omicidio del marito e di altra persona fu dovuto allo scontro con la banda dei casalesi per il controllo del subappalto di quelle opere, da cui si prevedeva di ricavare un utile di circa 5 miliardi di lire (doc. n. 30); pure agli atti sono le dichiarazioni di altro dissociato (di cui si tace il nome)..." (Domanda di autorizzazione a procedere nei confronti del dep. Cirino Pomicino 8 aprile 1993)
Sul fronte dei subappalti l’inchiesta del 1987 mise in evidenza la presenza di diverse ditte: la casertana “Riccio Eugenio”, tra i cui dipendenti figuravano Carmine, Basilio e Serafino Mangiapia, quest'ultimo noto prestanome della periferia ovest di Napoli, inquisito nel 1981 per costruzione abusiva.
Serafino Mangiapia, operaio della “Riccio Eugenio” figurava anche come dipendente di Vincenzo Polverino.
Altre ditte presenti erano inoltre la SOGEI, la “comunità Artigiana di Marano” ed altre ditte che apparivano come funghi per poi sparire nel nulla, come la “Falconetti” di Castelvolturno, la Concub dei Condemi di Pianura, la Somin, la Martino Giuseppe di Casaluce CE, la Marcuz Andrea di Ercolano, la Antonio Noverino di Portici, la Im.Ca di Napoli…
Gli operai delle ditte ovviamente, tranne pochissime eccezioni, erano tutti rigorosamente pianuresi.