Stamattina, come ogni giorno, siamo andati ad aprire il Laboratorio Occupato Tijuana. Ma Palazzo Mastiani era presidiato dalla digos, già blindato dai sigilli della questura. Ciò che ci prefiguravamo da tempo è avvenuto nel modo peggiore e più vile: dopo due mesi di interlocuzione politica inesistente si è proceduto ad uno sgombero avvenuto di nascosto con un blitz delle forze dell'ordine.
L'ormai famigerata questione
dell'inagibilità di Palazzo Mastiani è stata l'espediente retorico e
tecnico con cui il rettore ha deciso di sbarazzarsi della patata
bollente. Infatti un'ordinanza della magistratura ha preteso il
sequestro dell'immobile, che ora torna all'abbandono. Il sequestro è
motivato da motivi di sicurezza: la fantomatica inagibilità di un
palazzo che improvvisamente sembra poter crollare da un momento
all'altro. L'intervento della procura è solamente l'atto finale
necessario di un iter burocratico automatico durato due mesi, ma il
mandante di questo iter ha un nome e un cognome: Massimo Mario Augello.
Il rettore “obamiano”, eletto per segnare una discontinuità col rettorato Pasquali, sta nei fatti utilizzando gli
stessi metodi dell'amministrazione precedente, nella gestione delle
vertenze politiche come nell'amministrazione economica, capeggiata dall'
“insostituibile” Riccardo Grasso, direttore amministrativo nominato da
Pasquali e vera eminenza grigia del nostro ateneo.
Un
esempio su tutti, l'ultimo in ordine di tempo, è la lettera diramata
dopo la nostra azione simbolica in rettorato il 6 Maggio durante lo
sciopero generale. Un'azione fatta per spingere il rettore ad esprimersi
chiaramente sullo sgombero: “uno sgombero ha sempre un mandante.
Augello giù la maschera” recitava lo striscione calato da Palazzo Alla
Giornata. In questa lettera il rettore, fra varie accuse di violenza e
vandalismo (nemmeno Pasquali aveva mai osato tanto contro azioni
simboliche), diceva espressamente che “le maggiori e non preventivate
risorse che dovranno essere destinate alla sicurezza dell'immobile in
questione non potranno più essere impiegate - come era stato invece
programmato - a sostegno di azioni in favore di quelle categorie deboli
(i precari, i giovani ricercatori, gli stessi studenti)”.
Certamente
con l'applicazione dei sigilli verremo accusati di aver costretto
l'amministrazione ad accelerare i lavori di ristrutturazione di Palazzo
Mastiani e di averla costretta a togliere i fondi ai precari. Ma è
subdolo e indegno cercare strumentalmente di mettere uno contro l’altro
studenti occupanti di un bene pubblico abbandonato e precari
esternalizzati con stipendi da fame. Ma si sa, come sempre più spesso
succede in Italia ad ogni livello, vengono sbandierati a mezzo stampa
fondi inesistenti, in modo pretestuoso per mettere una categoria contro
l'altra cercando di scatenare una vera e propria “guerra tra poveri”. Tanto più che non siamo noi i responsabili dei sigilli!
Infine
ci permettiamo di consigliare che i soldi per Palazzo Mastiani vengano
ricavati ad esempio dall'esorbitante indennità di carica del direttore
amministrativo Grasso...circa duecentomila euro all'anno...
Il
risultato ottenuto dall'amministrazione non sarà certo la fine del
Tijuana Project, ma piuttosto l'abbandono di un magnifico palazzo nel
centro di Pisa.
Continueremo con i nostri progetti, sempre con lo stesso stile politico: nella crisi dell'università e della nostra generazione precaria, niente è un gioco.
A
partire da questi problemi reali, che rimangono senza risposta,
facciamo un appello a tutti i precari dell'università e della città:
studenti e ricercatori, precari del lavoro immateriale ed esternalizzati
dei servizi, dei teatri e dello spettacolo. Tutti quelli che vivono la
crisi in un costante declassamento.
Per continuare,
nell'università, a lavorare con proposte concrete alla riforma
statutaria in atto e facendo partire, nella città, un reale confronto
ricompositivo, che passi anche per i referendum di giugno.
Crediamo che sia necessario continuare a parlare fra noi tutti, o iniziare a farlo senza preconcetti o chiusure identitarie.
Non vogliamo cadere nella trappola di chi, da più fronti, vuole creare
spaccature e ridurre la lotta politica ad un muro contro muro che
fossilizzerebbe il dibattito tra “buoni e cattivi”, dando una sponda a
chi fino ad ora ha amministrato in maniera corporativistica università e
città.
Intanto oggi abbiamo sgomberato il rettorato: sedie tavoli bandiere e fioriere sul lungarno.
Aspettiamo con ansia l'ennesima accusa di “vandalismo e attacco
all'istituzione”, ma il nostro gesto ha voluto semplicemente riportare
il nostro sgombero a chi l'ha causato.
E a chi pensa che smetteremo con le occupazioni, rispondiamo che non ci conosce bene. Abbiamo
bisogno di spazi, di relazioni, di organizzazione. Sono cose troppo
importanti per essere delegate a chi ha prodotto il disastro del
presente...