Pisa città sicura?

Riflessioni sulle derive securitarie e sulle trasformazioni della città di Pisa

14 / 7 / 2011

Le vicende di cui Pisa è teatro in questi giorni ci lasciano sconcertati per la gravità e la violenza di quanto sta accadendo.

Vorremmo cominciare con una frase di rito, "la cronaca è nota", ma nemmeno questo sembra esserci concesso: la follia della notte tra il 9 e il 10 luglio non si è esaurita alle luci dell`alba, ma persiste tenacemente in città.

Non è bastato Dario ammanettato, malmenato, sequestrato senza motivo in caserma per ore senza cure mediche nè avvocato, in balia di un branco di Carabinieri fuori controllo. L`episodio di per sè, commenterebbe una mente ingenua, sarebbe sufficiente per aprire un'emergenza democratica e di sicurezza in città, per spingere istituzioni e giornali perlomeno a chiedere conto dell`accaduto e ad esigere chiarezza sul comportamento delle forze dell`"ordine".

Purtroppo il tentativo di imporre un certo tipo di verità da parte delle istituzioni, che passa anche per la mistificazione dei fatti da parte dell'Arma, vuole normalizzare l'episodio, inserendolo subito all'interno dell'ordine del discorso securitario e autoritario e nell'immaginario collettivo che questo ha prodotto. Ciò che però le istituzioni non riescono a capire è che nell'intera logica erano già emerse delle contraddizioni molto forti, come ha dimostrato la street parade in piazza dei Cavalieri, e quest'ultima vicenda, assumendo le caratteristiche di un evento capace di marcare una netta discontinuità.  Le militarizzazioni e la proliferazione di telecamere nelle piazze, per quanto determinanti nel costruire un immaginario perverso per cui si è sempre sorvegliati e timorosi di avere atteggiamenti “criminosi” o "irregolari", hanno avuto tendenzialmente una connotazione retorica e – potremmo dire – estetica. Quello di sabato sera in via consoli del mare è invece un episodio che segna inevitabilmente una discontinuità decisiva. Quella sera abbiamo visto sangue e manette, abbiamo avuto paura per una amico come non mai. In quelle finestre della caserma cercavamo ansimanti il volto di Dario e trovavamo solo manganelli agitati con arroganza e l'occhio di una telecamera. Fare di questo episodio violentissimo, un ulteriore elemento a favore della politica securitaria del sindaco e della sua amministrazione è stato un atto indegno ed inaccettabile per una città tollerante e aperta come Pisa.  Si è voluto giocare l'ennesima partita contro la "movida"ma questa volta sulla pelle di Dario, strumentalizzando un episodio singolo e isolato per rafforzare la barricata per la sicurezza e contro il degrado. 
La discontinuità sta tutta qui e crediamo rappresenti per tutti un punto di non ritorno.  

La continuità risiede invece nella confermata incapacità  di rispondere politicamente ai problemi reali di chi vive la città; di tarare su questi, e non su fatiscenti progetti, le eventuali trasformazioni urbanistiche che si vogliono attuare.

Con questo non intendiamo che c'è stata un'inversione di paradigma. Il controllo sulla vita, sulle sue espressioni e le sue forme, è ciò che caratterizza principalemente i provvedimenti della giunta Filippeschi. Al di là degli eventi particolari – seppur importanti – c'è quindi da individuare un biocontrollo diffuso in tutto ciò che sta succedendo in città, dalle ordinanze securitarie alle trasformazioni della città.

Da tempo riflettiamo sulle trasformazioni della nostra città. Abbiamo già denunciato le nostre preoccupazioni: le trasformazioni di cui parliamo sono quelle studiate negli uffici di chi pensa a una Pisa scintillante e rinnovata di giorno, buia e deserta la sera, infestata dalle telecamere, modellata sulle aspettative del turista. Ma per realizzarle è necessario delimitare spazi e tempi di vita, selezionare una componente "pacifica" e "normata" della città, artificialmente separata da chi la vive fuori dagli orari o dagli spazi desiderati. Piazza dei Cavalieri occupata dalle forze dell' "ordine" ne è solo l`ultimo sintomo: dispositivi ben più radicati ma meno clamorosi riguardano l`esistenza di ogni studente, come l`assenza di meccanismi di welfare e accoglienza per gli studenti, di possibilità di mettere radici nella città in cui studiamo, di riconoscimento del valore che rappresentano per questa città.

Queste normazioni, questa imposizione di categorie lontane dalla complessità di Pisa, di cui anche i giornali si sono fatti portavoce, hanno prodotto nell`immaginario cittadino una predisposizione a separare studenti, cittadini e migranti, "zone di legalità" e "zone franche", a celebrare la presenza delle forza dell' "ordine" come garanzia di sicurezza.

Ma di quale sicurezza stiamo parlando, se le zone franche che si vengono a creare sono proprio quelle determinate dalla miopia del sindaco? Le zone di illegalità e di negazione dei diritti che si sono verificate non sono di certo collegate alla “movida”, alla socialità, bensì al comportamento delle stesse forze dell'ordine: gli atti intimidatori, che hanno preceduto l'aggressione nella vicenda di sabato, sembrano essere un atteggiamento ormai troppo radicato, che porta a situazioni ai confini della legalità, come i manganelli che spuntavano dalle finestre di una caserma completamente blindata e il dispiegamento delle forze dell'ordine per una semplice conferenza stampa.

L'attacco di Filippeschi alla città viva è quindi esplicito e va ben oltre gli episodi singoli. Lo dimostra bene il suo comunicato stampa, in cui le sue parole esplicite sono funzionali alla sola giustificazione delle sue politiche, metodo che passa chiaramente per la legittimazione di un comportamento dei Carabinieri. Tutto ciò vorrebbe imporre una analisi schiacciata su mere questioni di socialità in contrasto con esigenze di tranquillità e "ordine pubblico". La ristrutturazione di Pisa significa oggi un ripensamento della geografia e dell`economia della città: la sterzata da città universitaria a città del turismo non passa solo attraverso nuove pavimentazioni, significa in primis marginalizzare e limitare la componente studentesca in quanto fattore produttivo della Pisa universitaria, chiudendone gli spazi di espressione, negandone la legittimità e il ruolo chiave nel tessuto economico.

Il problema della Giunta comunale è che pensa di poter dare i suo criteri di verità senza scontrarsi con chi ogni giorno, grazie alle relazioni che si creano negli spazi di aggregazione e di socialità, apre un' altra verità, quella della Pisa aperta, ibrida, meticcia dove non esistono dicotomie: la Pisa realmente democratica. Ed è questa stessa cittadinanza (intesa come chi vive e attraversa la città, non come nozione giuridica) che riesce con il suo tessuto sociale a spostare gli equilibri cittadini, a rompere con un certo tipo di ordine costituito marginalizzante e frazionante. Come per la vicenda di Dario, un'altra verità vuole emergere e non è assolutamente minoritaria e riferita alle “minoranze organizzate”, parole espresse da chi, come Filippeschi, capisce di essere diventato minoritario.

Filippeschi non è più il sindaco di Pisa”, hanno scritto dei/lle compagn*. Ed è questo che sta emergendo, che bisogna far emergere, andando a fortificare quella rete di relazioni civica che realmente pensa che ci sia la necessità di una democrazia reale oltre la giunta attuale. A questa emergenza democratica non si risponde con meccanismi identitari o con una mera contrapposizione alla figura del sindaco, ma andando a respingere un certo modello di amministrazione e allo stesso tempo immaginare una Pisa migliore attraverso la dimensione comune che si sente sotto attacco e che è pronta a rispondere.

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