Plasmaferesi: davvero risolve il problema della contaminazione da Pfas?

27 / 12 / 2017

Riprendiamo da Eco-Magazine un articolo di Giovanni Fazio, medico appartenente all’ISDE (Medici per l’Ambiente) e all’associazione CiLLSA, rispetto alle ultime evoluzioni sui PFAS in Veneto. L’articolo mette in rilievo, attraverso un’accurata analisi scientifica, la debolezza delle dichiarazioni della Giunta Regionale e dei dirigenti della Miteni, che in diverse occasioni hanno rassicurato i cittadini sul fatto che i pericoli per la salute e per l’ambiente fossero stati debellati.

La Regione Veneto ha approvato in agosto, con un’apposita delibera della giunta, un progetto su larga scala che ha avuto inizio a partire dal 18 settembre 2017. Tale delibera prevede il trattamento (volontario), con la metodica della Plasmaferesi, di tutte le persone abitanti nella cosiddetta “Zona Rossa” in cui, dai test dello screening tuttora in atto, sono emersi valori di PFAS nel sangue dei residenti fra i 100 e 200 nanogrammi.

Si tratta di una iniziativa, mai sperimentata per il caso specifico, che avrebbe lo scopo di abbassare i livelli di PFAS nel sangue dei cittadini contaminati dall’inquinamento delle acque causato dalla nota multinazionale Miteni di Trissino (VI).
Proprio per la mancanza di una sperimentazione scientifica, espressa da ISS (Istituto Superiore di Sanità) e dal Ministero della Salute, tale progetto è stato recentemente sospeso.

L’intervento del Ministero (corretto sotto il profilo scientifico) ha suscitato varie polemiche, pro e contro e rischia di essere strumentalizzato per spostare l’attenzione dei cittadini sul conflitto tra Regione e Stato. Per questo motivo è giusto riportare l’intera questione nell’ambito strettamente scientifico derubricando totalmente le speculazioni politiche del caso. Molti di coloro che sono stati ammessi al trattamento si sono chiesti se fosse o meno il caso di sottoporvisi, anche perché fino ad ora nessuno è stato in grado di documentare sulla base della letteratura scientifica quali siano i vantaggi e i rischi eventualmente connessi allo stesso.

Per questo motivo, già nel mese di agosto di quest’anno, ho ritenuto giusto pubblicare nel mio blog  alcune informazioni sul trattamento stesso, le sue reali indicazioni e le reazioni avverse fino ad ora riscontratesi.

Premetto che la plasmaferesi non ha niente a che vedere con la donazione di plasma, tirata in ballo da Mantoan per garantirne la assoluta innocuità. Infatti è scorretto paragonare una semplice donazione con una pratica che non si limita ad estrarre il sangue ma lo reintroduce con l’aggiunta di altro plasma o di albumina.

Che cos’è il plasma?
Il plasma è la parte “liquida” del sangue che contiene proteine, elettroliti, ormoni e molte altre sostanze.
I PFAS si legano alle proteine del plasma ma non alla parte corpuscolata del sangue per cui si è pensato di eliminare gradualmente il plasma contenete i PFAS e sostituirlo con altro indenne o con albumina.

Cosa è la plasmaferesi?E’ una procedura extracorporea mediante la quale il plasma è separato dal sangue intero, all’interno di una macchina, per essere rimosso e sostituito, oppure per essere successivamente trattato per la rimozione selettiva di una o più sostanze.
La plasmaferesi si ottiene attraverso la centrifugazione del sangue che si separa in due componenti: il plasma, appunto e la parte corpuscolata che contiene prevalentemente cellule (globuli rossi, piastrine, globuli bianchi) oppure attraverso filtrazione effettuata da particolari membrane.

Questo secondo metodo è più sicuro e crea meno problemi tuttavia si tratta di un trattamento molto costoso e quindi è meno usato.
Il plasma sottratto con la plasmaferesi deve essere sostituito con altre soluzioni.

Soluzioni di reinfusione:
Nell’aferesi terapeutica (il termine aferesi indica un gruppo di tecniche per rimuovere
dal sangue una o più delle sue componenti, restituendo al soggetto trattato la quota che non s’intende trattenere.), plasmaexchange (scambio di plasma) in particolare, il controllo dei volumi rimossi è di fondamentale importanza, e richiede un rimpiazzo quantitativamente e qualitativamente adeguato: albumina e plasma fresco congelato sono le reinfusioni più utilizzate.
E’ possibile anche, almeno in parte, l’impiego di frazioni proteiche (gelatine) o di destrani ad alto peso molecolare.

Le soluzioni di albumina (al 4-5% in soluzione fisiologica o soluzioni poli saline) garantiscono un rischio minimo di reazioni anafilattiche/allergiche, e l’assenza di trasmissioni virali, ma comportano la possibilità di una coagulopatia da deplezione ed una perdita netta di immunoglobuline.
Il plasma fresco congelato aumenta notevolmente la possibilità di un rischio infettivo
e di reazioni allergiche: ha quindi indicazione molto ristretta, in particolare nella terapia di alcune malattie gravi che non possono essere trattate diversamente.
Esiste anche una tecnica di adsorbimento selettivo per cui solo alcune sostanze contenute nel plasma vengono eliminate dalla macchina, ma non ne parliamo perché questa tecnica non è applicabile al nostro caso.

Complicazioni della procedura di aferesiI problemi riportati con maggiore frequenza in aferesi terapeutica sono le ipotensioni da ipovolemia relativa, le parestesie da ipocalcemia indotta da citrato, i crampi muscolari e l’orticaria.
In letteratura, la frequenza di complicanze è riportata maggiormente con l’uso di plasma fresco congelato che di albumina (20 contro 1,4%), e oltre alle ipocalcemie, comprende le infezioni, la trasmissione di virus e le reazioni allergiche.
Le complicanze più serie, come le reazioni anafilattiche, sono quasi esclusivamente legate all’uso di plasma fresco, congelato o di sue frazioni.

Anomalie della coagulazione ed aritmie da ipokaliemia sono state descritte dopo trattamenti in cui è stata usata albumina come reinfusione.
Lo scambio di un volume plasmatico aumenta il tempo di protrombina all’incirca del 30%, ma nella maggior parte dei casi, si ritorna ai livelli normali entro 4 ore.
Ipotensione, dispnea e dolori toracici sono stati osservati come conseguenza di una reazione di bio incompatibilità alla membrana di tipo complemento-mediata, o di sensibilizzazione all’ossido di etilene usato come agente sterilizzante.

L’incidenza globale di mortalità è stata stimata tra lo 0,03 e lo 0,05% delle procedure.

Attualmente non sappiamo se e come, con quali ritmi e con quante sedute la plasmaferesi si sarà in grado di raggiungere risultati accettabili poiché non è stata mai usata per questo scopo in sperimentazioni ufficiali. Non sappiamo nemmeno se il rischio di ammalarsi è proporzionale alla quantità e a quale quantità di perfluorati nel sangue. In sostanza non sappiamo niente sulla reale efficacia di tale metodo profilattico.

Questo è un motivo fondato per chiedere che prima di lanciare una campagna al trattamento su vasta scala si faccia una sperimentazione su un campione più piccolo. Sulla base di quanto sopra esposto, sottoporre alle eventuali reazioni avverse provocate dalla plasmaferesi soggetti sani e asintomatici ci sembra inopportuno.

Un altro metodo sperimentato con discreto successo in Canada e in Australia per abbassare la concentrazione di PFAS nel sangue è la salasso terapia.
Questa pratica, infatti, ha dimostrato efficacia quando eseguita al ritmo di un salasso ogni due mesi in una famiglia canadese con valori altissimi.
Si arrivò a togliere circa 120 litri di sangue nel padre nell’arco di 5 anni.La media di PFHxS e PFOS scese di 6-7 volte, quella del PFOA di 4.

All’inizio, gli autori avevano proposto anche la plasmaferesi che fu rifiutata da tutti perché giudicata troppo invasiva. Anche gli autori la consideravano una seconda scelta per lo stesso motivo e per il rischio di infondere altri interferenti contenuti nelle flebo e nei tubi del separatore cellulare (Genuis et al, 2012).
In uno studio australiano del 2011, (Lorber et Thompson) hanno confrontato le concentrazioni di varie PFAS nel sangue di soggetti sottoposti a salassi (qualcuno probabilmente anche a plasmaferesi) per varie condizioni mediche, confrontandole con le concentrazioni di un gruppo di controllo.
Gli autori affermano che “in generale, i soggetti nel gruppo salassi avevano livelli di PFAS del 30-50% inferiori rispetto ad un gruppo di controllo della popolazione generale”.

Questi studi, seppur limitati ci fanno propendere per la salasso terapia, effettuabile iscrivendosi al gruppo di donatori di sangue nell’ULSS di appartenenza.

I vantaggi sono:
1) L’assoluta sicurezza del trattamento
2) Il contributo che tale trattamento darebbe indirettamente alla banca del sangue 3) La grande economicità.

Purtroppo non siamo di fronte ad una panacea. Si tratta in ogni caso di trattamenti lunghi, della durata di molti anni e efficaci, forse, solo entro certi limiti.

Per questo va bandito ogni trionfalismo, come quello espresso dal Giornale di Vicenza all’annuncio della notizia del trattamento. Nessuno si faccia propaganda politica sulla sofferenza dei ragazzi, delle loro madri e delle persone colpite dalla contaminazione, soprattutto quando ancora chi avrebbe dovuto non ha provveduto a fermare la fonte dell’inquinamento.

Detto ciò aggiungiamo che, ovviamente, qualunque trattamento diventerebbe inutile qualora gli interessati continuassero ad assumere alimenti o acqua contaminata da PFAS, come è molto probabile che succeda, considerando i nuovi ritrovamenti di altissime percentuali di perfluorati in maiali, bovini, uova, mais e altri alimenti prodotti nel Veneto.
Non risulta che siano stati censiti i produttori né i luoghi in cui tali reperti sono stati trovati né che ne sia stata vietata la vendita e l’immissione in commercio.
Pertanto, a titolo precauzionale, coloro che già presentano alti livelli di PFAS nel sangue, ma anche coloro che fino ad ora sono stati risparmiati dalla contaminazione, faranno bene a procurarsi il cibo da zone di filiera alimentare documentata e sicura.

Ci auguriamo che al più presto si provveda
1) alla proibizione immediata della produzione di perfluorati,
2) al bando di strumenti di cottura contenenti pellicole antiadesive prodotte con molecole florurate,
3)  alle dovute bonifiche del territorio a spese degli inquinatori,
4)  alla immediata distribuzione ai cittadini di acqua totalmente priva di perfluorati anche con autobotti, come è stato fatto negli USA,
5) alla progettazione e rapida realizzazione di acquedotti senza inquinanti di alcun genere,
6) alla comprensione da parte di tutti che non esistono limiti di tolleranza accettabili per le sostanze velenose nell’acqua e negli alimenti poiché tali sostanze non devono far parte della nostra dieta per nessun motivo, nemmeno in minima quantità.
7) Alla punizione severa degli inquinatori e dei loro complici, in qualunque modo tale complicità sia stata effettuata,
8) Al risarcimento del danno da parte di chi lo ha provocato, secondo il principio “chi inquina paga”.

La vita, la salute e le persone vengono prima del commercio e degli affari.
Bisogna invertire il paradigma con cui è stata governata da sempre questa regione e restituire a tutti i cittadini i diritti di cui sono stati espropriati, primo fra tutti, la salute.

*Nota: parte delle informazioni che abbiamo cercato di riportare in forma comprensibile anche per chi non sia un esperto della materia sono tratte da uno studio della Società Italiana di Nefrologia:

Coordinatore dott. Giovanni Sparano, Ospedale Cardarelli, Campobasso • Past Coordinatore: prof. Giorgio Splendiani, Università di Tor Vergata, Roma • Consiglieri: dott. Ghil Busnach, Ospedale Niguarda Ca Granda, Milano dott. Luigi Moriconi, Ospedale Santa Chiara, Pisa dott. Massimo Morosetti, Università Tor Vergata, Roma dott. Gabriele Liuzzo, Ospedale S. Luigi, Catania • Segretario: dott. Stefano Passalacqua, C.I.Columbus-Università Cattolica, Roma.