Preferisco morire in piedi che vivere inginocchiato

7 / 1 / 2015

"Preferisco morire in piedi che vivere inginocchiato" (Charb, disegnatore, (ex) direttore di Charlie Hebdo.)

L'attentato che ha decimato la redazione di Charlie Hebdo non è solo un estremo attacco alla liberta di espressione ma un segnale inequivocabile della frattura consumata tra società francese che cambia e l'intera classe politica incapace di rappresentarla.

La redazione del giornale satirico ha deciso da sempre di non abbassare le armi, penna e matita, di fronte a minacce e attacchi violenti, come l'incendio dei suoi locali, nel 2011 dopo la pubblicazione di una caricatura di Maometto. Dodici morti nel cuore di Parigi, da tempo ferito, non devono restare solo sulla coscienza di organizzazioni armate che rivendicano un'appartenenza all'islam radicale, ma vanno aggiunte alla lunga lista di vittime, conosciute e meno conosciute, di quei personaggi di diversa estrazione politica che incitano all'odio e al rifiuto, che stigmatizzano le differenze dopo averle classificate come inferiori, distanti, incompatibili con la "naturale" tradizione euro-occidentale e che, infine, postulano e adottano leggi che di fatto sanciscono una netta e profonda discriminazione in seno alla società francese.

Certo, come dicono gli editoriali del mondo intero, si deve lottare contro l'ignoranza, l'intolleranza, l'oscurantismo e il fanatismo, ma siccome è impossibile negoziare di fronte ad un tale esistenziale impegno è anche necessario ricordare che questa lotta non sarà vincente se ci si nasconde davanti alla povertà, all'abbandono della scuola e dell'educazione, alla disgregazione e al ricatto sul lavoro, alla negazione dei diritti e della protezione sociale.