Prima che il tempo finisca

La paura della frazione nell’Impero europeo.

12 / 5 / 2015

Riga, 24 aprile: Varoufakis viene bocciato dai suoi colleghi Ministri delle Finanze, rivolgendosi addirittura a Tsipras perché si sostituisca come interlocutore a quel “dilettante” della teoria dei giochi. I falchi del rigore, non a caso ritrovatisi in uno dei Paesi più convinti sulle politiche economiche restrittive, hanno attaccato il posizionamento greco avviando una sorta di battaglia di trincea: ostilità, posizionamento, stallo. E’ servita la telefonata tra Merkel e Tsipras per calmare gli animi di Schauble e Dijsselbloem da una parte, ridare fiducia a Varoufakis dall’altra.

Si riesce così ad arrivare all’incontro di lunedì 11 maggio con dei toni distesi e una certa sorta di apertura al dialogo tra tutti i membri dell’Eurogruppo. La restituzione del debito di quasi 800 milioni al Fondo Monetario Internazionale da parte della Grecia ha contribuito ad abbassare i toni, dimostrando che la strategia di Syriza non è ovviamente quella di “giocare d’azzardo” con la vita dei cittadini. Allo stesso tempo però non va dimenticato che seppur alla Grecia vengano riconosciuti gli sforzi e i “passi avanti”, ci sono i soliti “ma” di sempre sull’urgenza delle riforme. Il saldo del debito con le istituzioni (non più denominate “Troika”) potrebbe indurre Draghi a riaccettare i titoli di Stato come garanzia per i prestiti alle banche elleniche, allo stesso tempo lo sblocco della tranche di aiuti è vincolato ai provvedimenti che il governo di Syriza deve necessariamente approvare. In un’Europa dominata dall’abbassamento del costo del lavoro e dalla compressione dei diritti sociali, come vedere di buon occhio l’aumento delle pensioni e il rifiuto della liberalizzazione dei contratti? Il ricatto, la colpa, del debito non può essere una mera questione di adempimento di un contratto e di speculazione finanziaria: è soprattutto il modo per imporre la rivoluzione dall’alto, in particolare, nei Paesi che hanno mantenuto le vecchie conquiste operaie novecentesche. Lo abbiamo visto anche con la distruzione completa dell’articolo 18 in Italia e la formalizzazione della precarietà già presente di fatto con il Jobs Act.

Un’altra corsa contro il tempo è stata imposta alla Grecia. Il 5 giugno scade l'ennesimo termine per un finanziamento di Washington per il quale è necessario recuperare ulteriore liquidità. Il clima respirato nell’Eurogruppo, tuttavia, ha rilevato quello che da sempre si poteva considerare strategia del terrore piuttosto che realtà, cioè la Grexit. Per l’Unione Europea è impensabile provvedere ad una frattura nell’Eurozona, ad un’esplosione delle tensioni che si stanno creando all’interno dello spazio del Trattato di Maastricht. Non bisogna affidarsi solo alle analisi economiciste, per cui un’uscita dall’euro da parte della Grecia comporterebbe un default consequenziale, oltre che l’impossibilità di risarcire i debiti contratti con altri Stati d’Europa. Ogni spinta centrifuga delle periferie europee è un fallimento della norma fondamentale della costituzione materiale dell’Europa, cioè il pareggio del bilancio e l’equilibrio dei prezzi. Un equilibrio dei prezzi che, naturalmente, deve essere vantaggioso per il mercato interno delle zone del centro europeo, in primis della Germania. Il principio politico dell’autorità del comando attuato dalle decisioni della governance non può trovare un cortocircuito, un terminale inceppato: ne va dell’essenza stessa dell’Unione e della possibilità di creare accumulazione capitalista. Senza i Paesi indebitati, come fare a mantenere i meccanismi di speculazione e di competitività tra i mercati differenziati seppur sotto una stessa moneta? Non per niente, la Commissione Europea ha accordato all’Italia la scappatoia dal 3%, prevista già da gennaio, per cui sarà possibile sforare il rapporto deficit/Pil a seguito dell’attuazione delle riforme che il solerte Renzi non ha mancato di approvare o proporre in Parlamento, con tanto di fiducia. In questo modo non c’è alcun rischio troppo elevato per le casse dello Stato nei confronti dei suoi creditori, ora che la Corte dei Conti ha sancito l’incostituzionalità della legge Fornero sulle pensioni.

L’instabilità dell’assetto governamentale è uno dei timori per le élites europee, che venga da sinistra (vedi Spagna e Grecia) oppure da destra (movimenti di estrema destra europei, ma forse anche Cameron in Gran Bretagna?).

“Prima che il tempo finisca”, una frase pronunciata a margine dell’ultimo Eurogruppo, non è riferito solo alla presa di responsabilità del governo greco, bensì all’esigenza per l’Europa neoliberale di arginare, contenere e riassorbire qualsiasi autonomia o scissione che un suo feudo potrebbe avviare. Del resto, agli Imperi è sempre servito il mantenimento del territorio e la sua espansione, assicurandosi che il grado di autonomia loro concesso non fosse pericoloso. Chissà se questo timore dell’instabilità, al di là del governo degli Stati, non possa essere sfruttato per un nuovo potere costituente europeista.