Per oltre un anno e mezzo sono stati abbandonati nella vergogna
dell’accoglienza all’italiana. Ingabbiati dall’Europa del Regolamento
Dublino e spogliati di ogni possibilità di costruirsi un futuro per la
mancanza di uno straccio di permesso di soggiorno che ancora oggi tarda
ad arrivare. E come se non bastasse chi ha ricevuto cifre da capogiro
per garantire il loro inserimento abitativo e lavorativo li ha traditi.
Ora, a ridosso del 28 febbraio, data di scadenza del piano di
accoglienza, qualcuno spera che circa diciottomila profughi provenienti dalla Libia possano improvvisamente sparire nell’ombra
o essere trattati come una questione di ordine pubblico, in barba ad
ogni direttiva europea in materia d’asilo. L’Italia non è certo nuova
quanto a violazioni dei diritti umani, ma con la cosiddetta “emergenza
nordafrica” è riuscita a far di più, pagando il prezzo di un miliardo e
trecento milioni di euro per appaltare l’emergenza al peggior offerente.
Non era molto difficile immaginare come sarebbe finita. Già nel maggio
2011 l’allora Ministro Maroni pensò bene di saltare a pié pari il
sistema ufficiale di protezione per richiedenti asilo e rifugiati per
affidare i cosiddetti “profughi” in fuga dalla Libia ad un circuito fai da te gestito dalla Protezione Civile insieme ad albergatori e cooperative.
Chi gli è succeduto non ha fatto di meglio. Così, quell’enorme cifra che
fa impallidire ogni retorica sul debito pubblico si è persa nelle
tasche di tanti piccoli imprenditori umanitari, scivolata tra le pieghe
di burocrazie e convenzioni.
Quarantasei euro al giorno, a fronte dei trentacinque normalmente
stanziati per i servizi ufficiali dello SPRAR, più di milletrecento euro
al mese per ogni profugo, soldi che sarebbero dovuti servire a
costruire una speranza, un’opportunità di vita e che sono diventati
invece la fortuna di chi ha speculato sull’emergenza. Chi si sente
offeso si faccia avanti con lo stesso coraggio con cui ha firmato le
convenzioni di questa enorme truffa chiamata emergenza nordafrica. Non
tutti certo. Esperienze positive non sono mancate, a testimonianza del
fatto che si poteva fare diversamente. Ma la realtà di oggi racconta la
vita di migliaia di migranti subsahariani che dalla primavera del 2011
aspettano certezze sui loro documenti, parcheggiati in piccoli e grandi
centri in tutte le Regioni della penisola, in attesa delle tanto
sbandierate “strategie di inserimento”. Invece, il prossimo 28 febbraio,
come chiarito da una circolare del Ministero dello scorso lunedì,
riceveranno il ben servito. Una pacca sulla spalla, cinquecento euro per
comprare il biglietto verso l’inferno delle periferie dei diritti e ...God bless you, Good luck!
In molti infatti chiedono soldi per andarsene, frustrati da un anno e
mezzo di incertezze ed illusi dal miraggio dell’Europa. Così Prefetture
ed enti gestori si apprestano a comprare il silenzio su questo anno e
mezzo di violazioni e malaffari pagando il prezzo di un’ elemosina.
Ma non spariranno. Li ritroveremo nei campi e nei cantieri del
caporalato, a riempire le notti di qualche casolare abbandonato, oppure,
come quel ragazzo ivoriano che si è dato alle fiamme all’aeroporto di
Fiumicino, traditi dal Regolamento Dublino, rispediti al mittente da
qualche altra “grande” democrazia europea che gli ha rubato la speranza.
L’ennesimo fallimento della politica italiana in materia d’asilo è alle porte.
A ridosso del 28 febbraio ci ritroviamo nella stessa situazione di un
anno e mezzo fa, con la sola differenza che qualche piccolo imprenditore
dell’accoglienza ha le tasche gonfie di denaro pubblico. Sull’utilizzo
degli stanziamenti indaga intanto la Procura di Rieti.
Di contro la politica è impegnata nella partita elettorale e la questione profughi è tenuta a debita distanza.
All’ordine del giorno dei rifugiati e di chi li ha sostenuti nelle tante
proteste di questi mesi, c’è invece una mobilitazione lanciata da un
appello di Melting Pot Europa per la proroga dell’accoglienza e perché
il denaro intascato da chi ha lucrato venga restituito in termini di
progetti di inserimento abitativo e lavorativo. Una grande occasione per
ridare dignità alle parole “diritto di asilo”.
Nicola Grigion
Veneto - La fuga per la vittoria di cinque ghanesi finisce in una cella. E poi ai "domiciliari"
260 i profughi orspitati a Padova e Provincia
Riuscire a fuggire dalla guerra per poi ritrovarti con le
manette ai polsi, incarcerato con la pesante accusa di sequestro di
persona nel luogo che dovrebbe accoglierti.
E’ la storia di cinque ragazzi ghanesi ospitati a Padova nel circuito
dell’emergenza nordafrica. Lo scorso primo febbraio sono stati convocati
in Questura per il ritiro dei tanto attesi documenti. Al loro arrivo
non hanno però trovato i permessi di soggiorno, ma un ordinanza di
custodia cautelare emessa in seguito alla protesta del 7 gennaio, quando
dopo le ennesime promesse mancate era esplosa la rabbia nel centro di
accoglienza Casa a Colori. Avrebbero impedito a quattro operatori di
uscire da una stanza e con questa accusa sono stati privati della
libertà dopo che per un anno e mezzo il nostro Paese ha violato a loro
spese ogni protocollo in materia di accoglienza e diritto d’asilo. Ora,
grazie ai legali dell’Associazione Razzismo Stop, i giudice del riesame
ha concesso loro gli arresti domiciliari proprio nella sede
dell’Associazione padovana.
L’emergenza nordafrica è anche questo: una storia di violazioni e
malaffari che qualcuno spera di risolvere come l’ennesima questione di
ordine pubblico.
In tutto il Veneto i profughi presi in carico sono stati poco più di
mille, di questi duecentosessanta sono stati ospitati a Padova e
Provincia. Molti di loro hanno già lasciato la Regione per poi farvi
ritorno una volta fatti i conti con le frontiere interne dell’Europa. A
Nord Est l’accoglienza ha il marchio quasi esclusivo dello scudo
crociato. Una miriade di cooperative cattoliche, Caritas compresa, si
sono fatte trovare pronte all’appuntamento. A Padova la fetta più grossa
è finita proprio nelle mani della Casa a Colori, gestita da due
cooperative consorziate, Nuovo Villaggio e Città Solare, che con novanta
profughi ospitati hanno riscosso somme pari a circa due milioni di
euro. Come altrove però quei soldi non sono stati utilizzati per
attività in favore degli stranieri. Sul fronte politico invece i
profughi hanno dovuto più volte fare i conti con il rifiuto del Sindaco
Zanonato di incontrarli. Il responsabile Anci-Immigrazione non ha dubbi:
sono criminali.
Ieri intanto, al Cso Pedro, si è svolta un’assemblea pubblica sul
tema “crisi, giustizia e diritti” con il magistrato Giovanni
Palombarini, Pape Diaw, l’Avv. Aurora D’Agostino e Luca Casarini che
hanno preso parola sull’accaduto.
La città del muro di via Anelli cerca un riscatto.
Emilia Romagna - Quei 130 nigeriani "ospitati" in un capannone fatiscente
A Bologna affidati alla Croce Rossa
di Neva Cocchi e Manila Ricci
Particolarmente differenziata è stata la situazione nel territorio dell’Emilia-Romagna, dove sono state collocate circa 1300 persone. Nonostante la lunga tradizione degli enti locali nell’accoglienza dei richiedenti asilo, con l’adesione di ben 10 Comuni allo SPRAR, la ricezione dei cittadini in fuga dalla Libia è avvenuta senza valorizzare le esperienze e le competenze a disposizione. In più Comuni la Protezione Civile ha stipulato convenzioni con soggetti non qualificati, senza monitorare il rispetto degli impegni assunti e finanziati. In alcune città sono stati allestiti spazi in disuso, come se i richiedenti asilo fossero di passaggio, o forse sperando che così lo diventassero.
Perfettamente in linea con questo modus operandi è stata la collocazione di 130 cittadini nigeriani in un capannone fatiscente della periferia bolognese, affidata in gestione alla Croce Rossa Italiana. La struttura doveva inizialmente funzionare come nodo di smistamento ma i 130 cittadini nigeriani sono ancora lì, senza acqua calda né riscaldamento, senza fornitura di abiti, senza aver beneficiato di un’ora di mediazione interculturale o inserimento socio-lavorativo. Le loro continue denunce si sono rivolte a tutti gli interlocutori istituzionali (Protezione Civile, Comune, Regione, Prefettura), ma nessuno di questi è intervenuto per ripristinare i loro diritti e far rispettare i patti alla CRI, e nemmeno per prenderne le distanze. E’ singolare che proprio in questi territori si sia assistito ad un simile arretramento nelle politiche di accoglienza considerando anche le denunce dei richiedenti asilo “accolti” in altre città della Regione (Rimini, Reggio Emilia, Parma).
L’assenza di criteri comuni e di coordinamento ha penalizzato chi ha
tentato interventi seri finalizzati all’autonomia e all’integrazione,
lasciandolo senza riferimenti e perdendo l’occasione di una messa a
sistema. Una ben diversa attenzione al tema degli arrivi a partire dagli
effetti delle Primavere Arabe era senz’altro possibile in una Regione
in cui le amministrazioni avevano condizioni materiali avvantaggiate
rispetto ad altri territori.
Ma soprattutto il ruolo rivestito dal Governatore Errani (Presidente
della Conferenza delle Regioni) avrebbe consentito di opporsi alla
gestione emergenziale e al fallimento che lasciava intravedere. Al
contrario il Governatore ha firmato entrambi gli accordi (con Maroni
prima e Cancellieri poi) diventando a pieno titolo partner e sponsor di
una “nuova” politica in materia di accoglienza ed asilo.
Marche - Delusione e rabbia all’Hotel Lori dove in tanti sono già andati via
A Sinigallia sono rimaste solo una ventina di persone
di Alessandro Genovali
Dall’inizio del programma “Emergenza Nord-Africa”, i profughi ospitati a Senigallia, nella struttura accreditata Hotel Lori, sono circa 50, oggi ne rimangono poco più di 20. “Delusione” e “rabbia” sono i sentimenti ricorrenti dopo quasi due anni di abbandono. Come nel resto d’Italia l’accoglienza si è trasformata in un business sulla loro pelle. Lasciati soli, oggi si affacciano alla data di scadenza del programma, prevista per il 28 febbraio, senza nessuna certezza sul futuro. Dopo essere stati “parcheggiati” in una struttura che non ha garantito loro né acqua calda, né riscaldamento, né, tanto meno, i corsi formativi e i tirocini lavorativi e di inserimento previsti dal programma, scoraggiati, vagano nei locali dell’albergo aspettando i documenti e la “buonuscita” per andarsene. Per lunghi mesi invisibili alla cittadinanza. Corpo completamente estraneo, fino alla rissa con i titolari della struttura, scoppiata dopo 4 mesi vissuti senza pocket money, e che ha portato all’allontanamento di sei di loro dall’hotel. Inizia così un ciclo di mobilitazioni che coinvolge i profughi e lo spazio comune autogestito “Arvultùra”, le associazioni degli stranieri e la lista di opposizione “Partecipazione”. Un percorso che si affianca alle lotte che attraversano numerose città, da Padova a Bologna, passando per Venezia, Rimini e che alludono ad una “coalizione dei profughi” verso e oltre il 28 febbraio. Da questo momento la cittadinanza sembra accorgersi della loro presenza. Il 16 gennaio i profughi irrompono in consiglio comunale, ottenendo un incontro immediato con l’assessore ai servizi sociali e l’impegno diretto del Comune a sollecitare la Prefettura nella verifica delle modalità di gestione dei fondi erogati, nel rilascio dei passaporti e titoli di viaggio e nell’individuazione di percorsi individuali per affrontare il periodo successivo al 28 febbraio. Ad oggi permane uno stato di incertezza drammatico: nessuna garanzia sui tempi dei documenti, sull’individuazione dei percorsi volti a favorire l’inserimento abitativo di coloro che intendono rimanere in città, sul recupero dei pocket money mancanti . Ed anche la “buona uscita” proposta dal Governo appare vergognosamente inadeguata a pochi giorni dalla scadenza del programma, con una questione sociale che rischia di diventare un problema di ordine pubblico.
Pubblicato sul Manifesto del 22/02