Profugopoli: il nuovo lessico dell'accoglienza made in Italy

26 / 2 / 2013

Con la nota "Chiusura dell'emergenza umanitaria Nord-Africa, per i cittadini nordafricani affluiti in Italia dal 1 gennaio al 5 aprile 2011", il Viminale decreta per il prossimo 28 febbraio la fine di quella che non può che definirsi l'ennesima vergogna italiana. Una nota che arriva fuori tempo massimo, a governo scaduto e qualche giorno prima dei risultati elettorali.

Anche Alex Zanotelli ha preso parola sul tema. Lo ha fatto esortando le comunità cristiane a non abbandonare i profughi scappati dalla guerra in Libia e dalla degenerazione delle primavere arabe. Lo ha fatto a partire da un appello nazionale lanciato del Progetto Melting pot Europa e citando un passo del libro dell'esodo: "Non molesterai il forestiero né l'opprimerai, perché voi siete stati forestieri in terra d'Egitto."

Per oltre un anno e mezzo, oltre 18.000 i profughi, sono stati abbandonati nella vergogna dell'accoglienza in salsa italiana. Ingabbiati dall'Europa fortezza quella del Regolamento Dublino, di Schengen, dei Cie e privati di ogni possibilità di costruirsi un futuro a causa di un'attesa lunga un anno e mezzo per avere un permesso di soggiorno. Chi ha ricevuto cifre da capogiro - 40 euro al giorno, più di 1.300 euro al mese per ogni profugo - per garantire il loro inserimento abitativo e lavorativo, li sta abbandonando una seconda volta insieme allo Stato e alla politica.

Il tema dell'emergenza nord Africa e il futuro di queste persone non hanno nemmeno sfiorato il dibattito elettorale di questi giorni. Intanto sono loro i profughi arrivati dalla Libia a pagare un prezzo salatissimo: quello di sparire nell'ombra o essere trattati come una questione di ordine pubblico, in barba ad ogni direttiva europea in materia d'asilo, in barba a qualsiasi idea di giustizia sociale e solidarietà.

"L'Italia non è certo nuova quanto a violazioni dei diritti umani" - scrive Nicola Grigion del Progetto Melting Pot nell'inchiesta Profugopoli pubblicata su il Manifesto di venerdì scorso:

"con la cosiddetta "emergenza nord Africa" è riuscita a far di più, pagando il prezzo di un miliardo e trecento milioni di euro per appaltare l'emergenza al peggior offerente. Per queste ragioni non era molto difficile immaginare come sarebbe finita. Già nel maggio 2011 l'allora Ministro Maroni pensò bene di saltare a pié pari il sistema ufficiale di protezione per richiedenti asilo e rifugiati per affidare i cosiddetti "profughi" in fuga dalla Libia ad un circuito fai da te gestito dalla Protezione Civile insieme ad albergatori e cooperative. Chi gli è succeduto non ha fatto di meglio. Così, quell'enorme cifra che fa impallidire ogni retorica sul debito pubblico si è persa nelle tasche di tanti piccoli imprenditori umanitari, scivolata tra le pieghe di burocrazie e convenzioni."

L'ennesimo fallimento della politica italiana in materia d'asilo è alle porte con tutto il suo portato di politiche razziste e post colonialiste. In prossimità della scadenza del piano di "accoglienza", che sarà il prossimo 28 febbraio, ci ritroviamo nella stessa situazione di un anno e mezzo fa, con la sola differenza che qualche piccolo imprenditore dell'accoglienza ha le tasche gonfie di denaro pubblico, qualche profugo è già un homeless e la Procura di Rieti indaga sull'uso dei fondi gestiti da una cooperativa locale.

Ma in questo scenario c'è anche una grande ricchezza, quella delle relazioni che sono nate con i profughi nei vari territori anche grazie al grande lavoro di narrazione e di inchiesta che Melting Pot ha iniziato fin dal gennaio del 2011.

Questo lavoro di rete, di cooperazione e le mobilitazioni che ne sono scaturite nei mesi scorsi trova in queste ore una cornice nazionale di rivendicazione e vertenzialità comune grazie all'appello lanciato da Melting Pot per una mobilitazione da realizzarsi nei vari territori a partire dal 26 febbraio e nei giorni successivi.

Un appello ambizioso, sottoscritto già da centinaia di persone e associazioni, che propone la proroga dell'accoglienza e che il denaro pubblico, intascato da chi ha lucrato sulla pelle dei profughi, venga restituito in termini di progetti di inserimento abitativo e lavorativo omogenei nei vari territori.

Altro elemento che emerge in questa vicenda, è come la gestione emergenziale di questo fenomeno migratorio abbia prodotto tanto lo sperpero di denaro pubblico da parte degli Enti gestori e la parallela assenza di servizi anche minimi, quanto un maggiore sfruttamento della forza lavoro precaria attivata per l'occasione nelle strutture di accoglienza.

Come dire la normalizzazione dell'emergenza e l'attacco al diritto d'asilo passa anche per l'estrema precarietà degli operatori del sociale, che come i profughi sono stati usati e poi abbandonati.