I risultati del referendum e le considerazioni complessive
sulla battaglia referendaria ci aprono le porte ad un ragionamento rinnovato.
La difesa dei beni comuni ha caratterizzato l’ultimo lustro dei movimenti
sociali nel nostro paese. Ha caratterizzato l’affermazione di nuove forme di
autorganizzazione sociale che a macchia di leopardo si sono sviluppate tra Sud
e Nord del paese.
Si sono affermati dei modelli organizzativi come i comitati, abbiamo riscoperto
la definizione di territorio e di conseguenza abbiamo sviluppato l’idea di
intervento territoriale, infine abbiamo cominciato ad estendere la categoria di
bene comune oltre i beni naturali.
Un ciclo di lotte che ha attraversato il paese aiutandoci a definire passo dopo
passo cosa sono i beni comuni e quale dinamica di conflitto sociale si sviluppa
intorno alla loro difesa. Questi anni, c’hanno fatto comprendere l’importanza
dei termini della difesa della terra dalle basi militari, dalla devastazione
ambientale delle discariche e degli inceneritori, dalla presenza invasiva degli
impianti della green economy, dalla speculazione edilizia, dal governo
dell’emergenza, e da tanti e tanti impianti di morte.
Battaglie che qualche volta hanno vinto, altre hanno perso e magari in altre
occasioni possiamo dire che…hanno pareggiato…trovando un riassestamento tra
eccedenza sociale prodotta in termini di autorganizzazione sociale e risultato
concreto.
Ed attraverso queste lotte abbiamo compreso come tutto ciò fosse propedeutico
per una critica radicale e complessiva al modello di sviluppo, come attraverso
queste lotte potessimo rinnovare il nostro essere antisistemici, irriducibili
alle compatibilità e profondamente post-ideologici.
Grazie a queste lotte abbiamo compreso come la definizione di bene comune è al
centro di una idea complessiva di società diversa ed incompatibile con quella
attuale.
E’ stato un ciclo di lotte in questo paese che si è affermato, ha prodotto
nuova militanza, nuovi processi aggregativi che sono andati molto oltre il
movimento d’opinione divenendo vere e proprie forme di autorganizzazione che si
sono sedimentate sui territori e riconosciute a livello nazionale.
I quesiti referendari non esprimevano la complessità della battaglie sui beni
comuni che questo lungo ciclo ha affermato nel paese. Energia ed acqua sono
solo alcuni dei temi che questo movimento ha attraversato.
Eppure questo referendum probabilmente chiude un ciclo di lotte e lo fa in
maniera vittoriosa. E niente più della vittoria serve per poter aprire nuove
fasi e nuove lotte.
I movimenti in difesa dei beni comuni si sono affermati nel paese
definitivamente con questo referendum.
Lo hanno fatto sulla scorta di anni di lotte, di sedimentazione e soprattutto
di costruzione di comune all’interno delle reti relazionali e dei territori.
Ma senza dubbio il montare dell’antiberlusconismo nel paese ha giocato un ruolo
importante. Questo sarebbe inutile negarlo.
E’ curioso ma se riportiamo la mente ai recenti anni d’oro del berlusconismo,
gli anni della caduta del governo Prodi e l’ennesima affermazione di Berlusconi
(2007-2008), non possiamo non ricordarci dello spettro del “popolo del No”,
delle “piccole minoranze che fermano lo sviluppo del paese”.
Ce le ricordiamo queste affermazioni ? Questi clichè?
I movimenti in difesa dei beni comuni erano il nemico pubblico numero uno del
berlusconismo in ascesa. Oggi quella fase di governo del paese imbocca il viale
del tramonto anche grazie alla nostra affermazione, così come la vittoria
referendaria è innegabile che tragga enorme vantaggio dal clima di
antiberlusconismo nel paese.
La campagna referendaria ha attraversato l’Italia molto oltre le centrali
organizzative della campagna, talvolta discutibili per capacità organizzativa e
per radicamento territoriale reale, talvolta incapaci di leggere la complessità
della fase, ed ovviamente subisce e risente dell’umore complessivo, della
pancia di questo paese.
Alla luce del referendum quindi se nei contenuti si afferma un intero ciclo di
lotta sui beni comuni, politicamente appare chiaro che capitalizzano le
centrali dell’antiberlusconismo più che i movimenti.
Un dato che ci deve far riflettere proprio sul sentimento che si vive nel
paese. I referendum seguono, cronologicamente, politicamente e umoralmente, la
tornata delle amministrative con le affermazioni di Pisapia, de Magistris e
Zedda, segno di come il contesto politico abbia avuto un suo peso nel risultato
referendario.
Una discussione complessa ma che va affrontata con onestà intellettuale.
Semmai oggi le questioni su cui aprire un confronto subito sono due. Come si
apre un nuova fase delle lotte sui beni comuni e come si naviga nel mare
dell’antiberlusconismo da parte dei movimenti.
Il secondo tema è questione assai delicata e complessa. Magari ciò che spetta
ai movimenti ed alle strutture di movimento è segnalare una via di
interpretazione del sentimento del paese promuovendo la costruzione di modelli
di alternativa al berlusconismo. Il vento arancione ci consegna una grande
voglia di incompatibilità con l’esistente. Incompatibili ai sacrifici, alla
politica economica di tagli, all’inaccessibilità della formazione e di
conseguenza del futuro, alla privatizzazione dei beni comuni ed alla sua
devastazione. Incompatibili però anche alle alternative al berlusconismo che
ammiccano ai poteri forti, che vanno con il cappello in mano da De Benedetti,
che inseguono l’Udc e Caltagirone, quelli del No al referendum.
Mentre una voglia di incompatibilità scuote il paese, ci sembra che i movimenti
siano sorpresi e talvolta ancora lenti nel capire che si sta nuotando in un
mare non convenzionale per loro. Dall’altro gli interpreti “istituzionali”
dell’antiberlusconismo vanno in direzione opposta a quella richiesta dal vento
arancione. Vendola con le sue aperture alla compatibilità, con la sua rincorsa
al centro, probabilmente non è sintonizzato sulla stessa lunghezza d’onda del
vento arancione.
Una questione complessa dove le mezze misure portano solo ad un’ulteriore
confusione.
Il secondo tema invece è decisamente importante e non è separato dal
ragionamento di cui sopra.
I movimenti in difesa dei beni comuni hanno radicamento territoriale ed hanno
affermato una parte dei loro contenuti. Su base territoriale proprio intorno ai
beni comuni si sono decise anche le sorti dei governi territoriali, basti
pensare alla vicenda Expo a Milano ed alla vicenda rifiuti a Napoli.
La fase che dovremmo aprire adesso dovrebbe provare ad aver al centro l’applicazione
concreta di un modello di gestione alternativo dei beni comuni.
Se abbiamo difeso l’acqua dai privatizzatori oggi dobbiamo provare a superare
il pubblico verso il comune e quindi è il tempo di incidere decisamente sui
modelli di gestione del servizio idrico integrato. Se abbiamo difeso il paese
dal nucleare è ora il tempo di un piano energetico alternativo su base
nazionale e locale, se siamo riusciti ad affermare che inceneritori e
discariche uccidono e sono parte di un modello di sviluppo consumistico e
devastatore dobbiamo ora incidere sui modelli alternativi.
La fase nuova da aprire è quella che deve provare ad aggredire direttamente i
modelli di gestione. Dal movimento in difesa dei beni comuni è possibile
trovare dei modelli di alternativa concreta, forse molto di più che sui temi
della formazione e del welfare.
Come si intrecciano il sentimento antiberlusconiano e la nuova fase delle lotte
sui beni comuni ?
Proprio rispetto alla proposta politica in cui il sentimento antigovernativo
nel paese verrà tradotto. Possiamo riuscire a navigare nel mare non
convenzionale dell’antiberlusconismo. Sebbene la storia recente ci racconta che
all’alzarsi di questa onda nel paese solitamente perdiamo colpi e diventiamo
marginali. Ma navigare in questo mare ha un senso se la costruzione di
alternativa a quel modello è una strada in cui vale la pena crederci. Gli
“interpreti istituzionali” al momento non possono essere connessi con noi. È un
artifizio. Non può esserci connessione tra la rincorsa alla compatibilità con i
poteri forti, alla rincorsa verso il centro non solo rispetto ai nostri
contenuti ma rispetto proprio alla possibilità di incidere sui modelli di
gestione dei beni comuni. Come facciamo ad applicare il controllo popolare
sulle aziende speciali dell’acqua che dobbiamo costruire nei comuni se
guardiamo a chi ammicca con Caltagirone?
Resta pur vero, che senza nuotare nel mare dell’antiberlusconismo e quindi
provare ad esserci nei processi di costruzione di alternativa (e non
alternanza!!) a Berlusconi, sarà più difficile intervenire direttamente sui
modelli di gestione dei beni comuni.
La strada è complessa. Il bianconiglio sta passando. Il referendum è alle
spalle e l’alternativa a Berlusconi ancora lontana.
Prossima fermata ?
* Rete Commons! Rete dei comitati per i
beni comuni di Napoli e provincia
Per una nuova stagione di lotta per i beni comuni, tra antiberlusconismo e rincorsa al centro.
Prossima fermata?
di Antonio Musella
15 / 6 / 2011