Veneto tra Governatori e Prefetti (redazione nordest)

Quando la Lega si fa Stato

Un'analisi dopo la candidatura padana alla successione di Galan e la rimozione del Prefetto di Venezia da parte del ministro Maroni.

19 / 12 / 2009

Tra mercoledì e giovedì la Lega Nord ha messo a segno un micidiale uno-due per il Veneto.

Prima si è assicurata la candidatura di un leghista (e il volto più gioviale e presentabile del pierre Luca Zaia è stato preferito al più trucido Tosi, anche perché non avrebbero saputo chi candidare a sindaco di Verona) a Governatore della regione, grazie al fatto che a Roma i padani tengono letteralmente “per le palle” San Silvio Martire, leader del Partito dell’Amore.

Così volgono al termine, per spartizione di potere romana, i quindici anni di Viceregno del dipendente Publitalia Giancarlo Galan, che, al di là delle sceneggiate di queste ore, è di fatto costretto ad accontentarsi del pensionamento d’oro che gli sarà proposto (ministro al posto di Zaia o, si vocifera, presidente di Eni o Enel, tanto per chiarire che i monopoli parassitari sui beni comuni energetici sono “cosa loro”). A differenza del ciellino Formigoni, Galan paga il fatto di non avere alle spalle un esercito proprio da gettare nella mischia e, prontamente, tutti i capibastone di Forza Italia lo hanno abbandonato al suo (dorato) destino e si sono messi a gareggiare per gli assessorati pesanti dell’incombente Era Padana.

Si tratta di uno scontro (quello tra Lega e Pdl Veneto) interessante da leggere nelle sue reali determinazioni materiali: è l’assedio di chi pretende di incarnare, in termini contorti e distorti come noto, la rappresentanza della composizione sociale del sistema produttivo diffuso, della micro-impresa e delle partite Iva, dei “piccoli” contro i “grandi”, le famiglie del medio capitalismo veneto (i Marzotto e i Benetton, per intendersi insieme alle strutture di Confindustria) che ne hanno organizzato la filiera dello sfruttamento, quelli che hanno portato e usato qui gli immigrati e, al tempo stesso, hanno delocalizzato i segmenti del ciclo a maggiore intensità di lavoro.

E’ l’assalto, senza esclusione di colpi, dei barbari padani ad un solido sistema di potere, che Galan (e la sua madrina Lia Sartori), all’ombra del laissez-faire che ha caratterizzato la governance regionale, hanno pazientemente costruito negli ultimi tre lustri: un sistema ben piantato su due gambe di business, quasi fossero “rami d’azienda”, come la gestione della sanità regionale (e in particolare della costruzione in project financing dei nuovi grandi poli ospedalieri) e la realizzazione delle Grandi Opere infrastrutturali (dal Mo.S.E. al Passante di Mestre, dal rigassificatore nel Delta alla superstrada Pedemontana), sempre affidata alla stessa ristretta cupola di progettisti e imprese costruttrici (Studio Altieri e Mantovani S.p.A. per capirsi).

Con una differenza di non poco conto: da una parte, l’imprenditorialità politica del consenso costruito (soprattutto tra i settori sociali più in difficoltà di fronte alla crisi) sulla chiusura e sulla paura, che si fa oggi sistematica campagna di odio e xenofobia e pratica di governo della discriminazione razzista; dall’altra l’ipocrisia degli affaristi che oggi si presentano, per difendere i propri affari, come i difensori dell’ “immigrazione come risorsa” e del Veneto multiculturale.

E il centrosinistra? N.P., “non pervenuto” come le temperature minime di Campobasso nelle finestre televisive del Colonnello Bernacca. O meglio: balbettante di fronte allo scontro reale in atto, incapace di comprenderne le dinamiche sociali sottostanti, impegnato – nel migliore dei casi – in un tatticismo manovriero che oscilla tra la tentazione del “salvate il soldato Galan” (e il venti per cento che, a partire dalla base militare di Vicenza, ha sempre garantito agli appalti per le cooperative “rosse”) e la subalternità ai marpionazzi dell’Udc (i campioni degli italici Valori Cristiani, tipo “Franza o Spagna purché se magna”).

Il secondo colpaccio leghista della settimana è la rimozione manu militari del Prefetto di Venezia, il dottor Michele Lepri Gallerano, come si suol dire nei necrologi un “fedele servitore dello Stato”. Nominato solo quattro mesi fa, è stato giudicato responsabile di lesa maestà nei confronti dei padani locali (e del ministro dell’Interno Maroni) per non essere stato in grado di frapporre sufficienti ostacoli al trasferimento dei centocinquanta cittadini veneziani di cultura Sinti dal campo di via Vallenari, ormai inagibile, al nuovo Villaggio di casette in muratura, realizzato dal Comune di Venezia nella località di Favaro.

La rimozione punitiva di un Prefetto per squisite ragioni di vendetta politica è una cosa mai vista: i nuovi potenti della Casta Padana ordinano e i funzionari dello Stato devono eseguire. Come ha notato qualcuno, si comportano proprio come fecero i fascisti quando misero le mani sull’apparato statale: i “falsi federalisti” della Lega vogliono nominare dei Podestà di provata fede politica, o quanto meno dei disciplinati esecutori degli ordini del partito che occupa il Viminale, vogliono in sostanza dei “federali” al posto dei prefetti.

E il centrosinistra ? Piagnucola, scandalizzato dalla mancanza di “senso dello Stato”, dall’assoluta assenza del “sacro rispetto delle Istituzioni” da parte della Lega. Per una volta la diagnosi è azzeccata: i nuovi padroncini padani sono arroganti e non conoscono il bon ton ministeriale, del “senso dello Stato” e del “sacro rispetto delle Istituzioni” proprio se ne sbattono.

Ma anche qui, il centrosinistra piagnucolante trae le conclusioni sbagliate: questo non è un punto di debolezza politica della Lega, ma uno dei suoi punti di forza!
Non è gridando al carattere “eversivo” della progressiva conquista leghista della macchina statale che si può incrinarne il consenso, ma invece denunciando il “farsi Stato” della Lega, il suo divenire nuova Casta Romana, come vero e proprio tradimento della pretesa difesa degli interessi delle nostre comunità locali.

E' necessario mostrare la distanza che separa gli slogan dai provvedimenti di governo: al posto del federalismo fiscale, un nuovo centralismo che strangola finanziariamente i Comuni, cancellando servizi essenziali per i cittadini; al posto del sostegno ai piccoli produttori e a tutti i settori sociali in difficoltà di fronte alla crisi, una pressione fiscale sempre più intollerabile per pagare gli aiuti di Stato alle banche e alle grandi imprese.

Insomma, quando la Lega si fa Stato, e proprio perché la Lega si fa Stato, e di questo Stato mostra il volto peggiore, quello feroce con i deboli e corrivo con i potenti, i terreni di conflitto non mancano: basta scegliere quelli più giusti ed efficaci, non scambiare bisogni da soddisfare, interessi da difendere e diritti da conquistare, con la difesa dei Prefetti e della “sacralità” delle Istituzioni.
Ma, forse, pretendere questo da un centrosinistra che sempre più sembra un pugile suonato, sarebbe chiedere troppo.