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Rapina a mano armata in Grecia: banditi in fuga

24 / 5 / 2011

La Grecia, (ma analogalmente anche il Portogallo, la Spagna, si comincia a parlare di rischio Italia)  è da mesi oggetto di una colossale crisi economica e finanziaria, i cui protagonisti sono i creditori, pubblici e privati e soprattutto stranieri, le cui cedole sono a rischio di insolvenza.

La crisi finanziaria ha molte e diverse ragioni, innanzitutto una congiuntura economica che in Europa -soprattutto nella sponda mediterranea-è drammaticamente pesante.

Ma ci sono almeno fattori che devono essere correttamente evidenziati affinchè le responsabilità politiche non siamo de/materializzate -"è il mercato, è la crisi,...non è colpa di nessuno”) ed affidate al non luogo a procedere.

Il disavanzo di bilancio è stato usato come una vera e propria clava finanziaria dalle agenzie di rating internazionali (anglosassoni ed ognuna culla di consiglieri di planning degli istituti sovranazionali e dei governi) che, declassificando la possibilità di solvenza della Grecia causano un rialzo del tasso di remunerazione del rischio del capitale investito nel debito e, quindi, un enorme costo degli interessi passivi -altrimenti non viene rinnovato il "prestito").

Così, semplicemente, si genera una urgente domanda di liquidità per impiego parassitario che impedisce l'autonomia del paese nella politica economica, negli investimenti, nella spesa pubblica, negli interventi di sostegno alla ripresa.

I soldi non bastano per cui s/vende gli asset preziosi (porto del Pireo, acquedotti, aereporti, isole, …), si rinuncia ad investire in una “ripresa di qualità” (scuola ed università pubblica, R&D, …), si tagliano i salari diretti e la quotaparte ridistribuita tradizionalmente con il welfare state.

Insomma, ciò che succede è che un creditore collettivo sovranazionale usa il ricatto della concessione di nuovo credito necessario ad evitare l'insolvenza del sistema paese per imporre un brutale ristrutturazione economica e sociale che a noi ricorda la strategia militare “shock and awe”.

Questa cosiddetta ristrutturazione applica il massimo della forza per premiare la rendita, punisce il lavoro, castra come mai prima ora intere generazioni di giovani che sono nati in un economia fondata su un (almeno presunto) patto di mobilità sociale e diventati adulti in un contesto monetarista -fallimentare e fuori tempo massimo- in cui il debito -privato e collettivo- è l'unita di misura di ciò che non si può diventare.

Questa cosiddetta ristrutturazione lascia solo macerie.

La clava finanziaria appare sovrana rispetto ad ogni controllo democratico ed esogena agli istituti in crisi della democrazia; crisi di legittimità  maledettamente rappresentata dal governo greco che sa solo ascoltare i diktat di Bruxelles e del FMI (secondo fornitore di credito con il 30%) cui fanno contrappunto le migliaia di studenti e lavoratori di piazza Sintagma senza rappresentanza alcuna.

La Grecia, e tutti i paesi che vengono progressivamente attaccati -l'Italia non è too big to fail-, hanno due strade: collassare e (per) pagare e riposizionarsi come provincia di una nuova divisione internazionale del lavoro o costruire collettivamente un'alternativa comune di cui sia perno un futuro radicalmente diverso.

Verrebbe da dire: intanto si smetta di pagare.

Le gestioni delle crisi sono “nazionali”, cioè il dibattito su di esse è limitato al paese in oggetto, con poca circolazione del discorso e dell'iniziativa politica.

Questa cattiva estate può essere l'occasione per ripensare lo spazio politico europeo come spazio del comune politico tra i cicli di movimento che si sono dati e si stanno dando.

Al capitale della rendita non serve un'europa politica, le sue oligarchie si organizzano autonomamente. L'europa serve a noi, a coloro che producono valore e che sono i veri cittadini mancati di questa irreversibile crisi della democrazia liberale.