Il testo che segue è tratto dal programma scritto dal centro sociale Aq16, lo spazio autogestito Casa Bettola e l'associazione Città Migrante, presentato durante l'occupazione temporanea delle ex Poste Centrali. Il contributo video è stato prodotto nell'ambito del dibattito su ambiente e beni comuniche ha avuto luogo durante la terza giornata di iniziativa
Terra e Territori
Negli
ultimi decenni il territorio reggiano ha vissuto trasformazioni che
hanno profondamente ridisegnato il paesaggio urbano e rurale,
modificando la relazione tra città e campagna.
In poco tempo il
territorio ha perso tanto suolo agricolo. In parte per abbandono,
dopo che molte piccole e medie aziende hanno chiuso, messe fuori
gioco dall’agricoltura industriale e la grande distribuzione. In
parte per consumo, attraverso uno sviluppo urbano sproporzionato e la
conseguente cementificazione. Inoltre, sempre più terreni agricoli
sono stati destinati alla coltivazione di monocolture, finalizzate
alla produzione di energia elettrica nelle centrali biogas, di fatto
convertendo il suolo a uso industriale.
In queste trasformazioni, da quelle più lampanti a quelle poco visibili, possiamo intravedere il modello di sviluppo che ha caratterizzato il territorio negli ultimi anni. Uno sviluppo che ha favorito la produzione in grande scala, penalizzando l’agricoltura contadina, con una ridistribuzione del suolo che segue la tendenza nazionale: sempre più terreni concentrati in sempre meno mani. Ugualmente, dall’altra parte della filiera, anche la distribuzione si concentra in sempre meno mani, attraverso la costruzione di nuovi centri commerciali e la chiusura dei piccoli negozi.
Tutto ciò ha avuto diverse conseguenze:
-ha consegnato un numero crescente di persone alla disoccupazione e alla precarietà; basta pensare che in Emilia Romagna tra il 2000 e il 2011 gli occupati in agricoltura sono diminuiti del 30% (fonte INEA).
-ha cambiato profondamente la relazione con la terra: da mezzo di sostentamento fondamentale per la collettività a bene di scambio, definito innanzitutto secondo criteri economici e finanziari.
-ha
compromesso fortemente la sovranità alimentare; diminuendo la
possibilità di gestire le risorse fondamentali per il nostro
benessere, aumentando il saccheggio di territori altrui, allargando
la distanza tra produzione e consumo, restringendo la possibilità di
controllare la filiera e quindi di tutelare la salute collettiva.
All’interno di questo quadro tanti fenomeni considerati
“fatalità” in realtà sono il risultato di una gestione del
territorio che favorisce gli interessi privati, scaricando i costi
sociali e ambientali. Pensiamo per esempio al dissesto idrogeologico
e al rischio di frane determinato proprio dal consumo di suolo e
dell’agricoltura intensiva.
Inoltre, questa gestione del
territorio mette a rischio la biodiversità, impoverendo la vita
vegetale e animale degli ecosistemi e riducendo le varietà
ortofrutticole nelle aree coltivate. Un vero furto della ricchezza
naturale e culturale del territorio; un’appropriazione del lavoro
contadino svolto da secoli, che trasforma in proprietà privata
l’immenso patrimonio di conoscenze e saperi coltivati nelle
campagne, sottraendo autonomia per creare una dipendenza di sementi,
concimi e pesticidi.
Se questa è la fotografia dell’esistente,
noi la vorremmo capovolgere.
Vogliamo recuperare la possibilità
d’immaginare e costruire alternative al modello di produzione e
consumo, chiedendoci cosa, come e dove produrre, oltre che, facendo
un passo indietro, per quale motivo produrre. Per assicurare il
profitto privato o per garantire il benessere collettivo, rispettando
i limiti della natura?
Vogliamo riappropriarci del diritto
collettivo di determinare lo sviluppo e la gestione del territorio,
costruendo una relazione solidale tra città e campagna.
Vogliamo
rendere il suolo accessibile a tanti, recuperando terreni incolti,
riconvertendoli all’agricoltura biologica e biodinamica.
Vogliamo
mettere i terreni pubblici a disposizione per nuovi insediamenti
contadini creando ambiti di lavoro dignitosi per uscire dalla
disoccupazione e dalla precarietà, rigenerando il territorio dal
punto di vista economico, sociale e ambientale. Vogliamo sostenere un
economia delle relazioni, riattivando luoghi urbani e rurali
dismessi, riconvertendoli alla trasformazione e alla distribuzione
alimentare dei prodotti locali.
Vogliamo dare spazio a una nuova
cooperazione sociale attraverso mercati autogestiti, forni comunitari
e laboratori di trasformazione, accorciando la distanza tra
produzione e consumo, costruendo legami solidali tra cittadini e
contadini. Come il seme nascosto nel guscio, già oggi intravediamo
una tendenza alternativa a quella dominante. Vediamo che un numero
sempre crescente di persone cerca la possibilità di coltivare la
terra, immaginando una vita e un lavoro in campagna, e
contemporaneamente sempre più persone si organizzano in gruppi di
acquisto solidale, cercando la possibilità di un consumo critico e
consapevole.
In questa tendenza, ancora poco visibile, vediamo
una grande opportunità per trasformare nuovamente il modello di
sviluppo del territorio. Un’opportunità che vogliamo cogliere
oggi, praticando già il territorio che desideriamo domani.
L’acqua
Il
referendum popolare sull’acqua del 12 e 13 giugno 2011 ha
rappresentato una piccola rivoluzione copernicana. Dopo decenni di
privatizzazione della ricchezza e delle risorse, segnati dalla
perdita di democrazia e di partecipazione, si è intravista una
possibile inversione di rotta. Migliaia e migliaia di persone hanno
affermato che l’acqua è un bene di tutte e tutti e deve rimanere
fuori dal mercato. Tre anni sono passati e tre governi sono cambiati,
ma il percorso verso la ripubblicizzazione non è ancora finito.
Questi tre anni confermano che la gestione dei beni comuni non è una
mera questione tecnica, bensì una questione fortemente politica; una
tensione tra processi di recinzione e liberazione, tra interessi
speculativi e interessi collettivi.
Un tiro alla fune dove spesso
il privato e il pubblico tirano dalla stessa parte, definendo l’acqua
per il suo valore di scambio invece che per il suo valore d’uso,
con una prospettiva a breve termine invece che uno sguardo sul
futuro.
Oggi Reggio Emilia si trova di fronte a un bivio:
scegliere una gestione dell’acqua che continua a dipendere dalle
logiche del mercato, attraverso la costituzione di una società per
azioni, o sperimentare nuove forme gestionali, costituendo un’azienda
speciale.Pensiamo che questo momento di scelta sia una grande
occasione, un’opportunità prima di tutto di rispettare l’esito
del referendum e quindi la volontà dei cittadini, facendo della
gestione del servizio idrico integrato un laboratorio di democrazia,
restituendo a questa parola il suo vero significato. Vogliamo
un’azienda speciale! La vogliamo interamente pubblica, per
sottrarre l’acqua alla finanza, e la vogliamo partecipata, per
avere la possibilità di determinare territorialmente la sua
gestione.
I rifiuti
Spesso
la gestione dei rifiuti è considerata un tema ai margini del
dibattito politico, uno scarto, appunto, qualcosa di cui ci possiamo
occupare dopo. Viceversa, vogliamo riconoscerla come un argomento
centrale, una questione fondamentale per capire e trasformare
l’esistente.
Per leggere il modello di gestione dei rifiuti sul
territorio reggiano si può guardare l’esempio emblematico della
discarica di Poiatica. Dopo quasi 20 anni di attività l’impianto
ha raggiunto un accumulo di circa 2 milioni metri cubi di rifiuti e
secondo il recente Piano Regionale per la Gestione dei Rifiuti
rimarrà attiva almeno fino al 2020. Con gli anni la discarica è
cresciuta in modo sproporzionato e la sua gestione si è sempre di
più allontanata da una dimensione territoriale, arrivando fino alla
gestione attuale di IREN, multiutility quotata in borsa con attività
in diverse regioni. Crescendo la discarica sono cresciuti anche i
rischi per la salute e per l’ambiente. Le sostanze geno-tossiche e
cancerogene emesse dall’impianto rappresentano un grande rischio
sanitario, e non solo per il contesto locale, considerando che la
discarica è collocata vicino al fiume Secchia. Nella storia
dell’impianto ci sono stati casi di appalti affidati ad aziende
coinvolte nel traffico dei rifiuti e recentemente sono emersi dati
allarmanti sulla presenza di radioattività nel sito.
Nonostante
questo quadro preoccupante è previsto un sesto lotto di ampliamento:
dal 2014 al 2020 a Poiatica verranno conferite almeno 120.000
tonnellate di rifiuti ogni anno, incluso lo smaltimento di ceneri e
scorie degli inceneritori di Parma e Piacenza. Di fronte a questo
scenario, critico per gli ecosistemi locali e la salute degli
abitanti del territorio, pensiamo sia necessario mobilitarsi affinché
la discarica chiude.
Nella
provincia di Reggio Emilia c’è anche la discarica di Novellara,
che sarà piena tra poco e altre discariche già riempite.
Complessivamente sul territorio c’è un accumulo di 10 milioni
metri cubi di rifiuti. Diventa evidente che la battaglia per chiudere
le discariche e spegnere gli inceneritori deve avanzare di pari passi
con una profonda riconversione ecologica, un cambiamento radicale del
modello di sviluppo, affinché si producano meno rifiuti.
Insieme
ai comitati per la tutela della salute e l’ambiente, portatori di
una straordinaria ricchezza di teoria e pratica sul ciclo dei
rifiuti, vogliamo promuovere la strategia Rifiuti Zero su tutto il
territorio, attivando una raccolta “porta a porta” con la tariffa
puntuale, che fa pagare le utenze sulla base della produzione
effettiva di rifiuti non riciclabili da raccogliere. Oltre a creare
vantaggi per l’ambiente e per la salute, questo cambiamento sarebbe
anche un opportunità per creare nuovi posti di lavoro. Per cambiare
radicalmente la gestione dei rifiuti diventa necessario sottrarla
dagli interessi speculativi, e pensiamo che questo sia il momento: la
concessione di affidamento per i rifiuti a IREN è scaduta più di
due anni fa e continua in proroga fino a che non si va a gara
europea. Prima di affidare la gestione ad un azienda privata vogliamo
provare a costruire un’alternativa possibile, avviando un percorso
di ripubblicizzazione dei rifiuti. Proviamoci insieme!