Remember December

La conquista di nuovi diritti e democrazia attraversa le piazze precarie e dei conflitti ambientali

2 / 12 / 2014

Dal meeting della Leopolda si è diffuso, tramite i giusti hashtag e parole chiave, un “messaggio di speranza” attraverso il quale Renzi prometteva di svecchiare il Paese e far ripartire l’economia. L’aumento dei posti di lavoro, il risparmio di risorse finanziarie grazie al taglio degli sprechi, l’eliminazione degli “orpelli ideologici” che non rispecchiano più le nuove esigenze del mercato, sono idee risolutive che si accompagnano alla retorica tecnologica innovativa sulle start up e gli iphone. Eppure, se nei primi periodi di Governo Renzi riusciva a creare consenso grazie alla sua attitudine comunicativa giovanilista, adesso stiamo vedendo come i suoi spot pubblicitari si stiano incrinando. Assistiamo infatti all'attivazione di una risposta reale al neoliberismo ed a quella governance europea sempre più orientata a dettare l’agenda economica e politica dei Paesi secondo i rigidi canoni dell'austerità e dello smantellamento dei rimasugli di welfare state. 

Quale precario, partita IVA o studente può vedere estendere i suoi diritti, l’accesso alla casa e a un reddito dignitoso dopo l’approvazione del Jobs Act? Quale lavoratore dipendente può dirsi tutelato con le nuove tipologie contrattuali? In un certo modo, certamente non ancora decisivo, i momenti e i percorsi pubblici dell’autunno l’hanno certificato.

Le mobilitazioni dei lavoratori dell'Ast di Terni, le piazze studentesche e quelle dello Sciopero Sociale, le varie forme di resistenze territoriali in opposizione alle grandi opere, se da un lato mostrano lo sgretolarsi del cosiddetto Partito della Nazione, dall'altro sono il sintomo di un'opposizione sociale composita che può sedimentarsi e avere l'ambizione di sfiduciare in maniera diffusa e sincronizzata questo modello governamentale.

I conflitti sociali che si sono aperti nel Paese, a nostro avviso, hanno un filo conduttore che non si limita a un piano resistenziale e minoritario, ma prova a trovare un linguaggio comune fatto di pratiche e alternative a vocazione maggioritaria; una vocazione che non può tenere conto della complessità dei piani bio-politici che sono investiti dal nuovo quadro che si vuole disegnare in Italia. L’altezza della sfida delle prossime settimane e mesi sarà fare in modo che proprio quel filo conduttore riesca a tenere uniti tutti questi piani, portandoli in superficie in modo dirompente.

Una prima occasione è la convocazione del presidio che accerchierà il Senato durante la discussione della legge delega del Jobs Act il 3 dicembre. Una vergognosa accelerazione dell’iter parlamentare, ponderata per affievolire i conflitti degli sfruttati e svuotare ancor di più lo sciopero generale del 12 dicembre, che si unisce all'uso della delega in bianco nelle mani del Governo per l’emanazione dei decreti attuativi del Jobs Act. I laboratori per lo sciopero sociale, collettivi, attivisti, studenti e lavoratori da tutto il Paese convergeranno a Roma con il portato del 14 novembre per assediare quelle istituzioni che diventano immediatamente responsabili della formalizzazione della precarietà come dispositivo di sfruttamento indiscriminato del lavoro e della vita.

Come giustificare, del resto, la completa assenza di un piano di riforma degli ammortizzatori sociali da una legge sul lavoro? Al ricatto legalizzato e alla coazione al lavoro, infatti, fa da appendice il drenaggio delle finanze pubbliche a tutti i loro livelli, non soltanto con i tagli e le regole auree da rispettare, ma anche attraverso l’investimento strategico e sistematico nella realizzazione di grandi opere inutili. Così come riconosciamo le istituzioni, i luoghi e le agenzie private che nelle nostre città amministrano e si arricchiscono del e sul lavoro precario, allo stesso modo non è complicato evidenziare la presenza delle costruzioni edili e infrastrutturali nei territori, giustificate sotto l’egida della crescita economica collettiva, quando interi quartieri e zone cittadine sono sprovvisti dei servizi essenziali.

Questo meccanismo continua a garantire enormi profitti ai soliti noti costruttori, distruggendo intere aree verdi e fertili e peggiorando quelle con un già alto livello di cementificazione.  Ben dodici dodici grandi opere presenti nello Sblocca-Italia sono nel Nord-Est, come ad esempio la Valdastico Nord, la superstrada Orte-Mestre, le tratte dell'alta velocità.

Una di queste è la Pedemontana, ossia la superstrada che attraversa il territorio dell'Alto Vicentino del Trevigiano; un’opera costruita attraverso il project financing e - come se non bastasse - che è lievitata esponenzialmente nei suoi costi nel corso della costruzione, una mastodontica struttura capace di distruggere gran parte dei territori agricoli passandovi sopra e intaccare una delle falde acquifere più grandi in Europa. Un vero e proprio debito, per niente funzionale a quel velleitario pareggio di bilancio e contenimento del deficit cui sarebbero costretti gli enti pubblici, atto a intensificare i profitti e le rendite delle imprese senza contare quali siano i veri bisogni e desideri dei cittadini su cui si abbatterà l’opera. Il 47 % dei 3,9 miliardi dello Sblocca-Italia rappresenta lo scempio del finanziamento alle autostrade del Paese, in controtendenza a qualsiasi pretesa di un’equa e ponderata redistribuzione della ricchezza collettivamente prodotta che possa anche solo immaginare degli ammortizzatori in grado di far fronte alla riproduzione sociale.

Per questo il 4 dicembre saremo a contestare assieme ai comitati dell’Alto Vicentino l’inaugurazione della Pedemontana alla presenza di Zaia, governatore leghista della regione Veneto e uno dei massimi sostenitori della realizzazione dell’autostrada: perché la realizzazione di un grande opera, inutile, è sintomo sia dello spreco delle risorse pubbliche sia della chiusura politica nei confronti di un nuovo concetto di cittadinanza che possa includere tutti e tutte. E’ evidente che la strategia della Lega, di fronte alla pesantezza della crisi e al nuovo sodalizio con le estreme destre, sia quella di giustificare la precarietà e l’impoverimento addossando ogni responsabilità all’accoglienza – già insufficiente - dei migranti, quando in realtà sono i primi promotori del saccheggio e della devastazione dei territori.

Soltanto con quest’accumulo sarà possibile scendere in piazza il 12 dicembre in maniera autonoma e indipendente dalle sigle confederali che hanno indetto lo sciopero generale. La partecipazione a Roma e al percorso dello sciopero sociale dello scorso mese ci differenzia da un appello che poco ha di conflittuale e che rischia di ricadere nella concertazione, soprattutto dopo dieci giorni dal voto al Senato. La pratica del blocco, le rivendicazioni del salario minimo e del reddito garantito europeo, così come il rifiuto del lavoro informale e dei contratti di prestazione gratuita o sottopagata - spesso siglati con la complicità dei confederali - , sono il nostro valore aggiunto che eccede i sindacati e la vuotezza della loro proposta alternativa al Jobs Act. 

In quella giornata si scenderà in piazza anche contro la Buona Scuola, un braccio lungo nell’istruzione pubblica delle politiche sul lavoro fatto da una commistione di competizione individualista, spartizione delle poche briciole per sostenere le scuole più “meritevoli”, e per finire implementazione delle ore di stage e tirocini. E, con ancora più forza,sarà ripreso quel filo conduttore che mette a critica un intero progetto di ridefinizione dei rapporti di forza e degli assetti politici immaginati dal Governo renziano. Attraversare il 12 dicembre sarà un’opportunità per fare tutto questo e oltrepassare i discorsi sindacali parlando direttamente a chi deciderà di astenersi dal lavoro. Sarà l’occasione per rendere sempre più maggioritario quell’orizzonte comune verso la liberazione dalla precarietà con una via d’uscita precisa e determinata, contro qualsiasi tentativo di cavalcare la sofferenza sociale proponendo una lotta tra poveri e l’esclusione d’intere categorie di persone – fenomeno cui i sindacati rischiano di fare sponda senza una reale progettualità politica conflittuale.

Queste settimane saranno quindi una prima prova per vedere di connettere tutte le fibre dei conflitti locali e nazionali in una narrazione condivisa che attacca un preciso modello, ben rappresentato dal grande evento milanese dell’Expo 2015 all’insegna del debito, del cemento e della precarietà. Potranno le nostre esperienze e gli accumuli che produciamo in questi giorni e mesi arrivare con una dimensione ampia, aperta e disponibile alla contrapposizione alla governance, creando nuove forme di relazioni sociali? I tempi si fanno interessanti e sembrano uscire fuori dall’unicità di Renzi e dell’Europa dell’austerity.

Spetta ai movimenti fare in modo che si scandiscano altri tempi, distinti tra loro, ma sincronizzati in una melodia comune.

Centri sociali del Nord Est