Analisi dei risultati elettorali e prospettive per i movimenti.

"RenzEuropa"

Un avversario all'altezza del tempo di rivoluzioni, e uno spazio politico in attesa di rivoluzione.

27 / 5 / 2014

Leggere i dati elettorali è faccenda che non affascina e che può ingannare. È altrettanto evidente che voltarsi da un’altra parte e dire che, ovviamente, le elezioni non sono pratica di movimento e che ha vinto l'astensione banalizza il dato di fase che i risultati possono fornire. Cerchiamo perciò di analizzare gli esiti del voto europeo dal punto di vista di una critica radicale alla rappresentanza e collocandoli all'interno di un nuovo contesto storicamente determinato, ricco di possibili sviluppi, differenti e divergenti.

L'Europa è oggi a un bivio, proprio perché non è mai esistita come compiuto progetto politico d’integrazione. E anche se i confini interni sono stati resi più porosi – un po’ di più per i nativi, e del tutto per i capitali e per chi può permetterselo – sono profondissime le differenze antropologiche, culturali, sociali. E, ancor più dopo cinque anni di crisi, divergono le condizioni materiali nei diversi spazi nazionali che compongono il mosaico dell’Unione.

Europa in cerca di una collocazione globale.

Lo spazio politico europeo è schiacciato in una tenaglia. Da un lato, deve confrontarsi col nodo irrisolto della propria collocazione globale. A partire  dalla fine dell’illusione obamaniana di una equilibrata governance planetaria multipolare, il cui “motore immobile” avrebbe dovuto essere un mercato finanziario globale in grado di mettere in forma un assetto ordinativo. Esso si è invece rivelato fattore di deflagrante, permanente instabilità. Crescono perciò le tensioni tra oligarchie imperiali, che da regionali si vanno consolidando su ipotesi continentali. E lo scontro tra queste, vere e proprie placche tettoniche, definisce uno scenario dominato da nuove politiche di potenza, giocate intorno alle cruciali questioni del controllo delle materie prime e delle risorse energetiche, dei saperi e delle tecnologie, nella ricostruzione di nuove catene globali nella divisione del lavoro. È un processo complesso e composito, non lineare e soprattutto non regolato da alcun arbitrato di diritto internazionale, che non siano i nudi rapporti di forza.

Ne abbiamo dei segni inequivocabili nel conflitto armato in Est Ucraina, nello scontro nel Mar Cinese tra la seconda e la terza potenza economica mondiale, nell'attivismo lobbystico e diplomatico intorno al TTIP, nei nuovi accordi di cooperazione strategica tra Russia e Cina, nel distendersi di reti lunghe produttive e commerciali dall’America Latina fino all’Africa, non a caso oggetto di inediti processi di ri-colonizzazione. Se alla forma unica dell'impero è seguito il golpe unilateralista dei neo-con, e al mondo monopolare che avevano preparato lo scenario multipolare, alla governance finanziaria succede una relazione dialettica di potenza – anche armata – tra aree imperiali. È uno scontro concretissimo, ma post-ideologico: niente a che fare con la “guerra fredda”, ma conflitto tra interessi materiali di nuove oligarchie, nuovi flussi di capitale, una nuova divisione internazionale del lavoro. E le trattative bilaterali, semi-clandestine, tra Stati Uniti e Unione Europea sul TTIP sono il miglior esempio di negoziato post-ideologico.

L'Europa non ha ancora scelto, e costitutivamente non ha potuto scegliere, come collocarsi in questo nuovo scenario, sospesa tra Oriente e Atlantismo, tra Mediterraneo e Asia.

Omogeneità ed eterogeneità nella crisi europea.

L'altro lato della tenaglia sono gli effetti, sociali e politici, delle politiche di austerity. Le imposizioni verticali della Troika hanno esaltato l'assenza di un’Europa politica unitaria e ogni paese ha avuto la sua riposta. Qui dev’essere sottolineata la compresenza di elementi di omogeneità ed eterogeneità. Partiamo dai primi: cinque anni di gestione capitalistica della crisi hanno accelerato in tutta Europa i processi di depoliticizzazione post-democratica della società.

E questo spiega come non vi sia, né possa esservi una relazione di diretta corrispondenza tra i livelli di delegittimazione del sistema politico-istituzionale (e quindi di crisi strutturale della rappresentanza) e lo sviluppo dei conflitti sociali. La crescita dell’astensione – con una media continentale di partecipazione al voto intorno al 43 per cento – ci parla purtroppo di processi di frammentazione, individualizzazione e passivizzazione sociale, non di un esodo attivo e conflittuale dalla rappresentanza.

In secondo luogo, ovunque chi vota punisce, o prova a punire, quel ceto politico dirigente che porta la responsabilità di aver gestito le politiche di austerità. Qui però, a livello di singoli spazi nazionali, le risposte cominciano a differenziarsi.

La Große Koalition (che vede comunque aprirsi nel suo consenso le crepe del rafforzamento, a sinistra, della Linke e, a destra, dell’affacciarsi sulla scena degli euro-scettici di AfD) riesce a tenere perché la gran maggioranza dei tedeschi ritiene sia stata in grado di proteggerli, per quanto a caro prezzo sul terreno dei diritti sociali, dalle conseguenze della crisi, scaricate altrove.

E Renzi sfugge a questo destino punitivo perché non viene ancora identificato con il “governo dell’austerity”, ma anzi si ripone in esso la speranza di un’uscita, quale che sia, dalle politiche di impoverimento di massa degli ultimi anni.

L'entropia del risultato elettorale complessivo si traduce perciò, nel Sud Europa, nella limpida vittoria domestica di Alexis Tsipras e della formula Syriza in Grecia, così come nel crollo di consenso alla coppia bipolare PP–PSOE e nell’affermazione di una rinnovata Izquierda Plural e dell’originale esperimento Podemos in Spagna.

E la stessa crescita delle forze anti-europeiste più reazionarie non può essere letta come dato unico e omogeneo. Ad esempio in Francia il successo del Front National non significa certo che un quarto di elettori siano diventati tutti fascisti, ma dipende da un approfondirsi dei processi di crisi, dall'esaurirsi della capacità e della credibilità del Partito Socialista nell’offrire risposte politiche adeguate. E anche da una virata sulla “sovranità nazionale” che corrisponde al rigetto di un “asse franco-tedesco” nella costruzione europea, sempre più sbilanciato nella subalternità al partner germanico.

Sull'altra sponda della Manica, la vittoria di UKIP ripropone con forza la contraddittoria relazione tra la Gran Bretagna e l’Unione Europea, fin qui governata dai Conservatori, in nome del “legame speciale” con gli Stati Uniti e dell’uso reciproco che si è fatto del particolare ambiguo statuto delle isole atlantiche: ad esempio, col fatto che la piazza finanziaria globale di Londra è in realtà la più importante piattaforma off shore del capitale europeo.

Qui nel caso scozzese, come del resto in Catalogna con la vittoria dei “repubblicani di sinistra”, spicca come sia la variabile indipendentista a costituire uno degli argini alle forze più reazionarie e isolazioniste.

Ma al di là del fatto che ogni risultato è figlio della specificità di contesto, siamo a davvero un bivio: la crisi globale esalta la crisi d'Europa, ogni opzione è aperta e, finalmente, lo spazio politico dell’Unione Europea non è più il campo neutro degli ultimi vent'anni, ma un campo di battaglia e di transizione verso alternative seccamente contrapposte, la prima delle quali è che o si fa l'Europa politica sul serio o è finita l'Europa.

E' tempo di movimento, non c'è spazio per altro.

Sosteneva il Segretario Fiorentino (quello repubblicano, ai primi del Cinquecento) che il successo, nell’azione politica, dipende dalla combinazione equilibrata di virtù e fortuna. Renzi, il segretario fiorentino del PD (formula partitica “piglia-tutto” della postmodernità) dimostra, fin dai tempi della “Ruota della fortuna”, di godere sicuramente dei favori della seconda, e di essere un presidente del Consiglio tutt'altro che “ebetino”. Segna uno straordinario dato di consenso personale e sulle aspettattive generate dalla propria attività di governo. E si candida ad essere leader di un laboratorio politico post-ideologico, capace di interloquire con Landini e Squinzi su nuovi modelli di relazione tra capitale e lavoro senza passare per i canali di rappresentanza e le liturgie tradizionali. Un laboratorio che proprio dall’Italia parla direttamente alla crisi di governance della costruzione europea, proponendosi come pivot di riferimento e giocatore sistemico. Infatti il nuovo PD di Renzi rappresenta una delle proposte partitiche complessive più forti, ha il più alto peso specifico all'interno del Partito Socialista Europeo ed è all'avvio del semestre di presidenza dell’Unione.

In tal modo, Renzi e il suo PD si candidano ad essere tra i protagonisti, in rapporto diretto con la Große Koalition continentale, di una nuova fase nella gestione capitalistica della crisi, ricombinando addolcimento dell’austerity e il mantra della competitività, con la ricollocazione globale dell’Europa. Finalmente, verrebbe da dire, un avversario all’altezza delle sfide che ci pone la contemporanea epoca di rivoluzioni!

Questi elementi ci offrono un quadro che si è per un verso semplificato. Ora possiamo dire che partiamo dall'Europa, come effettivo campo di battaglia all'interno della crisi; in una situazione che è potenzialmente eccellente per i movimenti sociali, se reali ed esistenti, perché è la lotta di classe il giocatore non invitato e imprevisto in questa partita a poker che si disputa tra oligarchie imperiali su scala globale, e tra reazionari e innovatori capitalistici sul destino d’Europa. E il punto di vista dei movimenti sociali e della lotta di classe è decisivo perché solo esso determina che cosa è possibile e cosa non ha luogo d'essere.

I movimenti sociali, se hanno l'ambizione di divenire costituenti, si debbono perciò porre sul piano di esternità alla rappresentanza politico-istituzionale e vivere fino in fondo la crisi degli istituti intermedi di mediazione (non è infatti oggi all’ordine del giorno, per i ribelli, l’alleanza con i democratici!), assumendo però come proprio carattere fondativo sia la collocazione in uno spazio europeo e non nazionale (che è invece il terreno proprio dei reazionari, qualsiasi giacchetta essi indossino), sia la pratica politica e organizzativa della ricerca di coalizioni sociali e di scopo più ampie.

Paradossalmente si apre proprio ora uno spazio maggiore per la dialettica e la conflittualità sociale. E sarà decisivo quanto accadrà, e soprattutto quanto saremo in grado di far accadere, nella finestra politica che va dal vertice di Torino sulla disoccupazione giovanile alla conclusione del semestre di presidenza italiana dell’Unione Europea. Movimenti sociali costituenti possono esercitare sullo spazio pubblico europeo la propria decisiva opzione: divenire fino in fondo i protagonisti destituenti, in termini di alternativa di sistema, contro la “RenzEuropa” che si sta profilando all’orizzonte. E mai come ora assume un senso profondo e strategico parlare e agire per la Comune d'Europa.

#civediamolundici. Contro il “renzismo europeo” e non solo contro il governo Renzi.