Si potrebbe raccontare la giornata napoletana di
contestazione a Renzi con tre immagini.
La prima è il video dell'ingresso nella sede del Mattino del premier: auto blu
che arriva quasi sgommando e, praticamente, si piazza dentro all'edificio,
porte aperte e – infine – un guardingo Matteo Renzi che, senza guardarsi
intorno, si tuffa a capo chino all'interno del palazzo.
La seconda è la scena (ridicola, se non fosse inquietante) che prende vita,
sempre in via Chiatamone, all'arrivo della troupe di Identità Insorgenti (media
indipendente e meridionalista che siamo orgogliosi di ospitare nei locali di
Mezzocannone Occupato): due ragazze con una telecamera e un cartello che diceva
“NO ALLE SPECULAZIONI” vengono circondate, verbalmente aggredite, minacciate di
ritorsioni legali perché (citando testualmente dai responsabili delle forze
dell'ordine) “non esistono manifestazioni libere” e “due persone rappresentano
un pericoloso assembramento”.
La terza, ovviamente, può essere liberamente scelta tra le tante che bene
raccontano la violenza delle forze dell'ordine a ridosso del lungo mare, dove
avviene l'impatto con il corteo dopo ore di odiosi blocchi, tentativi di
deviazione, ostruzioni delle strade della città, provocazioni di ogni genere
iniziate con intimidazioni ancor prima della partenza del corteo: gli spari dei
lacrimogeni ad altezza uomo, il lancio del manganello, il blindato con gli
idranti che non si limita a contenere, ma insegue i manifestanti per metri e
metri, i celerini che tirano sassi, gli studenti e le studentesse feriti da una
carica improvvisa e scomposta. C'è l'imbarazzo della scelta.
Da queste tre immagini si può ricostruire la giornata.
1. Renzi è venuto a Napoli come un ladro di polli. Avesse potuto scegliere, si
sarebbe sottratto da questa città ribelle come già ha fatto OGNI VOLTA negli
ultimi due anni, adducendo pretesti via via più fantasiosi per evitare il
confronto con la nostra città. Ma non poteva: dopo il disastro delle primarie
napoletane del PD, la cui candidata sindaco viene fuori da episodi di
corruzione e direzione del voto che insultano ogni pur blando principio
democratico, dopo le spaccature interne, l'affaire Bassolino, Renzi non poteva
venir meno. Lo stile del suo arrivo racconta tutto ciò molto bene. L'incontro
su Bagnoli è stato annunciato con una settimana di anticipo: nessun incontro
pubblico, nessun iniziativa di piazza, nessun comizio. Solo una toccata e fuga
in prefettura. Il giorno prima, poi, lo stesso incontro viene spostato di diverse
ore. Il giorno stesso, poi, l'itinerario cambia: evitando accuratamente il
centro storico, dove stava iniziando a montare la mobilitazione, Renzi corre a
Nisida e, infine, raggiunge la sede del Mattino alla chetichella, rifiutando
ogni incontro pubblico, rifiutando il confronto con le istituzioni locali e,
soprattutto, con le donne e gli uomini che tanto avevano da dire al presidente
del consiglio. Non bisogna essere fini analisti della politica per capire che
tutto questo è un segnale di enorme debolezza, che viene da un esecutivo
travolto da scandali e fenomeni di corruzione (dalle primarie napoletane alle
dimissioni del Ministro Guidi): qualche mese fa Renzi aveva annunciato che
sarebbe venuto a Napoli quando voleva, senza bisogno di scorta, perché l'affetto
e il sostegno dei napoletani sarebbero stati la sua tutela. Invece, mentre
migliaia di persone sfidavano i dispositivi di sicurezza per portare le voci
del dissenso lì dove aveva senso che venissero ascoltate, non ci pare che
qualcuno si prodigasse per costruire festosi comitati di accoglienza all'amato
presidente del consiglio. Un'invasione aliena, quella di Renzi, fatta per
dovere di reverenza verso la federazione napoletana del suo partito e verso le
lobby e i pacchetti di interesse che quel partito rappresenta, più che per
convinzione politica.
2. I media mainstream, Mattino in testa (e il fatto che il megafono napoletano
di Renzi per parlare di Bagnoli sia di proprietà di Caltagirone si commenta da
sé), conoscevano benissimo la cornice in cui questo incontro avveniva e hanno
provato a giocare di concerto con il governo per costruire, prima, durante e
dopo il corteo una narrazione allucinante, slegata da qualsivoglia dato di
realtà. La strategia è sempre la stessa: prima del corteo costruire un clima di
tensione in città così da scoraggiare la partecipazione alla manifestazione per
paura di chissà quale blitz terroristico, paventato da articoli che, in modo
nemmeno troppo celato, si limitavano a magnificare le veline della questura.
Durante il corteo, senza nemmeno porsi il problema di raccontare il punto di
vista di chi stava protestando (eppure le duemila persone scese in piazza
qualcosa avrebbero evidentemente avuto da dire), limitarsi ad aspettare il
“tafferuglio” (splendido eufemismo della carta stampata, con il quale si
attenua il racconto degli abusi in divisa). Dopo, raccontare le mirabolanti
avventure di blocchi eversivi che tengono in ostaggio il corteo: oggi il
Mattino ci parla di lanci di Molotov da parte di professionisti
dell'insurrezione armata. Di fronte a questo livello di disonestà intellettuale
e di delirio mancano le parole: siamo ormai all'invenzione pura e clamorosa di
qualunque cosa serva a sostenere il discorso dominante. Menzogne mainstream e
criminalizzazione dei media indipendenti è, evidentemente, un tutt'uno: da qui
le censure, le versioni dei fatti non riportate e, icasticamente,
l'accerchiamento delle giornaliste napoletane che alla sede del Mattino
volevano arrivare, per portare il proprio punto di vista e, magari, qualche domanda
scomoda che gli yesman di Caltagirone non avrebbero potuto fare.
3. Costruita l'orchestra mediatica, il resto era lo sporco lavoro dei bastardi
in divisa: strade blindate, provocazioni, minacce e, infine, una bella carica a
freddo, del tutto immotivata, quando ormai avevano capito che in nessun altro
modo quel corteo si sarebbe disperso. Sul lungomare è andata in scena una vera
e propria caccia all'uomo, un inseguimento folle e pericoloso con il quale
speravano di intimidire chi, da ore, sfilava per le piazze, le strade e i
vicoli di una città troppo conosciuta per lasciarsela intrappolare dagli agenti
della repressione. Con un po' di orgoglio possiamo dire che non ha funzionato:
i manifestanti hanno mandato in tilt ogni ipotesi repressiva, continuando a
occupare il tessuto metropolitano senza sosta per nove ore consecutive:
striscioni ai palazzi, nei mezzi pubblici, sulle barche, cortei selvaggi,
sit-in. Una festa ribelle che ha chiarito a Renzi come saremo pronti ad
accoglierlo ogni volta.
Questo è quanto. La giornata di ieri doveva essere la doppia
trappola di Renzi, per De Magistris e soprattutto per i comitati di lotta per
la giustizia sociale e ambientale. Arrivare a Napoli in modo trionfale e
arrogante, istruire le forze dell'ordine alla provocazione violenta,
immortalare gli scontri inevitabili e addossare al sindaco l'etichetta di
“mandante morale” dei black-bloc. Questo schema non ha funzionato:
all'arroganza del colonizzatore Renzi ha dovuto preferire la vergogna del
bambino con le mani nella marmellata. Nascondersi dove poteva, rilasciare
un'intervista delirante in cui addirittura venivano citati pezzi delle
rivendicazioni storiche dei movimenti bagnolesi (ad esempio la rimozione della
colmata) per strappare una disperata coda di consenso in una giornata
disastrosa e, infine, subire le prese in giro e le contestazioni che non lo
hanno lasciato in pace nemmeno a fine giornata, durante la sontuosa cena nel
cuore della Napoli bene che gli è stata rovinata da chi passava di lì e,
sacrosantamente, non ha potuto fare a meno di urlargliene quattro su tutto
quello che, per colpa sua, il nostro territorio sta subendo.
Ora Renzi annuncia, al sicuro nelle fortezze della (loro) Capitale che verrà a
Napoli una volta al mese. È una musica vecchia, gliel'abbiamo sentita
fischiettare tante volte e sappiamo bene che sono le bugie di un irredimibile
Pinocchio. In ogni caso lo aspettiamo: il comitato di accoglienza napoletano è
quello. Siamo un popolo ospitale: anche la prossima volta saremo all'altezza.
Lab. Occ. Insurgencia