Renzi si è fermato a Napoli

7 / 4 / 2016

Si potrebbe raccontare la giornata napoletana di contestazione a Renzi con tre immagini.
La prima è il video dell'ingresso nella sede del Mattino del premier: auto blu che arriva quasi sgommando e, praticamente, si piazza dentro all'edificio, porte aperte e – infine – un guardingo Matteo Renzi che, senza guardarsi intorno, si tuffa a capo chino all'interno del palazzo.
La seconda è la scena (ridicola, se non fosse inquietante) che prende vita, sempre in via Chiatamone, all'arrivo della troupe di Identità Insorgenti (media indipendente e meridionalista che siamo orgogliosi di ospitare nei locali di Mezzocannone Occupato): due ragazze con una telecamera e un cartello che diceva “NO ALLE SPECULAZIONI” vengono circondate, verbalmente aggredite, minacciate di ritorsioni legali perché (citando testualmente dai responsabili delle forze dell'ordine) “non esistono manifestazioni libere” e “due persone rappresentano un pericoloso assembramento”.
La terza, ovviamente, può essere liberamente scelta tra le tante che bene raccontano la violenza delle forze dell'ordine a ridosso del lungo mare, dove avviene l'impatto con il corteo dopo ore di odiosi blocchi, tentativi di deviazione, ostruzioni delle strade della città, provocazioni di ogni genere iniziate con intimidazioni ancor prima della partenza del corteo: gli spari dei lacrimogeni ad altezza uomo, il lancio del manganello, il blindato con gli idranti che non si limita a contenere, ma insegue i manifestanti per metri e metri, i celerini che tirano sassi, gli studenti e le studentesse feriti da una carica improvvisa e scomposta. C'è l'imbarazzo della scelta.
Da queste tre immagini si può ricostruire la giornata.
1. Renzi è venuto a Napoli come un ladro di polli. Avesse potuto scegliere, si sarebbe sottratto da questa città ribelle come già ha fatto OGNI VOLTA negli ultimi due anni, adducendo pretesti via via più fantasiosi per evitare il confronto con la nostra città. Ma non poteva: dopo il disastro delle primarie napoletane del PD, la cui candidata sindaco viene fuori da episodi di corruzione e direzione del voto che insultano ogni pur blando principio democratico, dopo le spaccature interne, l'affaire Bassolino, Renzi non poteva venir meno. Lo stile del suo arrivo racconta tutto ciò molto bene. L'incontro su Bagnoli è stato annunciato con una settimana di anticipo: nessun incontro pubblico, nessun iniziativa di piazza, nessun comizio. Solo una toccata e fuga in prefettura. Il giorno prima, poi, lo stesso incontro viene spostato di diverse ore. Il giorno stesso, poi, l'itinerario cambia: evitando accuratamente il centro storico, dove stava iniziando a montare la mobilitazione, Renzi corre a Nisida e, infine, raggiunge la sede del Mattino alla chetichella, rifiutando ogni incontro pubblico, rifiutando il confronto con le istituzioni locali e, soprattutto, con le donne e gli uomini che tanto avevano da dire al presidente del consiglio. Non bisogna essere fini analisti della politica per capire che tutto questo è un segnale di enorme debolezza, che viene da un esecutivo travolto da scandali e fenomeni di corruzione (dalle primarie napoletane alle dimissioni del Ministro Guidi): qualche mese fa Renzi aveva annunciato che sarebbe venuto a Napoli quando voleva, senza bisogno di scorta, perché l'affetto e il sostegno dei napoletani sarebbero stati la sua tutela. Invece, mentre migliaia di persone sfidavano i dispositivi di sicurezza per portare le voci del dissenso lì dove aveva senso che venissero ascoltate, non ci pare che qualcuno si prodigasse per costruire festosi comitati di accoglienza all'amato presidente del consiglio. Un'invasione aliena, quella di Renzi, fatta per dovere di reverenza verso la federazione napoletana del suo partito e verso le lobby e i pacchetti di interesse che quel partito rappresenta, più che per convinzione politica.
2. I media mainstream, Mattino in testa (e il fatto che il megafono napoletano di Renzi per parlare di Bagnoli sia di proprietà di Caltagirone si commenta da sé), conoscevano benissimo la cornice in cui questo incontro avveniva e hanno provato a giocare di concerto con il governo per costruire, prima, durante e dopo il corteo una narrazione allucinante, slegata da qualsivoglia dato di realtà. La strategia è sempre la stessa: prima del corteo costruire un clima di tensione in città così da scoraggiare la partecipazione alla manifestazione per paura di chissà quale blitz terroristico, paventato da articoli che, in modo nemmeno troppo celato, si limitavano a magnificare le veline della questura. Durante il corteo, senza nemmeno porsi il problema di raccontare il punto di vista di chi stava protestando (eppure le duemila persone scese in piazza qualcosa avrebbero evidentemente avuto da dire), limitarsi ad aspettare il “tafferuglio” (splendido eufemismo della carta stampata, con il quale si attenua il racconto degli abusi in divisa). Dopo, raccontare le mirabolanti avventure di blocchi eversivi che tengono in ostaggio il corteo: oggi il Mattino ci parla di lanci di Molotov da parte di professionisti dell'insurrezione armata. Di fronte a questo livello di disonestà intellettuale e di delirio mancano le parole: siamo ormai all'invenzione pura e clamorosa di qualunque cosa serva a sostenere il discorso dominante. Menzogne mainstream e criminalizzazione dei media indipendenti è, evidentemente, un tutt'uno: da qui le censure, le versioni dei fatti non riportate e, icasticamente, l'accerchiamento delle giornaliste napoletane che alla sede del Mattino volevano arrivare, per portare il proprio punto di vista e, magari, qualche domanda scomoda che gli yesman di Caltagirone non avrebbero potuto fare.
3. Costruita l'orchestra mediatica, il resto era lo sporco lavoro dei bastardi in divisa: strade blindate, provocazioni, minacce e, infine, una bella carica a freddo, del tutto immotivata, quando ormai avevano capito che in nessun altro modo quel corteo si sarebbe disperso. Sul lungomare è andata in scena una vera e propria caccia all'uomo, un inseguimento folle e pericoloso con il quale speravano di intimidire chi, da ore, sfilava per le piazze, le strade e i vicoli di una città troppo conosciuta per lasciarsela intrappolare dagli agenti della repressione. Con un po' di orgoglio possiamo dire che non ha funzionato: i manifestanti hanno mandato in tilt ogni ipotesi repressiva, continuando a occupare il tessuto metropolitano senza sosta per nove ore consecutive: striscioni ai palazzi, nei mezzi pubblici, sulle barche, cortei selvaggi, sit-in. Una festa ribelle che ha chiarito a Renzi come saremo pronti ad accoglierlo ogni volta.

Questo è quanto. La giornata di ieri doveva essere la doppia trappola di Renzi, per De Magistris e soprattutto per i comitati di lotta per la giustizia sociale e ambientale. Arrivare a Napoli in modo trionfale e arrogante, istruire le forze dell'ordine alla provocazione violenta, immortalare gli scontri inevitabili e addossare al sindaco l'etichetta di “mandante morale” dei black-bloc. Questo schema non ha funzionato: all'arroganza del colonizzatore Renzi ha dovuto preferire la vergogna del bambino con le mani nella marmellata. Nascondersi dove poteva, rilasciare un'intervista delirante in cui addirittura venivano citati pezzi delle rivendicazioni storiche dei movimenti bagnolesi (ad esempio la rimozione della colmata) per strappare una disperata coda di consenso in una giornata disastrosa e, infine, subire le prese in giro e le contestazioni che non lo hanno lasciato in pace nemmeno a fine giornata, durante la sontuosa cena nel cuore della Napoli bene che gli è stata rovinata da chi passava di lì e, sacrosantamente, non ha potuto fare a meno di urlargliene quattro su tutto quello che, per colpa sua, il nostro territorio sta subendo.
Ora Renzi annuncia, al sicuro nelle fortezze della (loro) Capitale che verrà a Napoli una volta al mese. È una musica vecchia, gliel'abbiamo sentita fischiettare tante volte e sappiamo bene che sono le bugie di un irredimibile Pinocchio. In ogni caso lo aspettiamo: il comitato di accoglienza napoletano è quello. Siamo un popolo ospitale: anche la prossima volta saremo all'altezza.

Lab. Occ. Insurgencia