Verso lo sciopero generale e selvaggio del 6 maggio.

Riconoscersi e fare inchiesta nel Picchetto Precario

Se il picchetto precario diventa lo spazio pubblico dove ci incontriamo.

4 / 5 / 2011

Oramai è diventato famoso il caso di Sara, commessa di Tezenis del centro commericale Porta di Roma alla periferia nord est della Capitale, costretta con il ricatto e la violenza a licenziarsi dalla direttrice del punto vendita Vera Emilio.

La prima denuncia di quello che era accaduto è dovuto alla trasmissione Le Iene, ma di certo questo non sarebbe bastato per arrivare alla chiusura del negozio e alla rimozione di Vera Emilio: è stato grazie alla mobilitazione partita dagli amici di Sara, che su  Facebook hanno aperto la pagina «Tutti uniti contro Vera Emilio difendiamo Sara», e poi estesasi a tantissimi precari che si sono riconosciuti nella sua situazione.

La protesta non si è fermata al mondo virtuale di Facebook e ha dato vita ha due manifestazioni, una il 16 e una il 23 aprile, che sono riuscite a costruire un vero e proprio picchetto precario, la prima volta costringendo alla chiusura il negozio e la seconda, dato che il negozio era già chiuso e la battaglia vinta,  creando un momento di discussione e riconoscimento, coinvolgendo anche i commessi e le commesse degli altri negozi del mega-mall Porta di Roma muovendosi in corteo per il centro commerciale, raccogliendo applausi e consensi. Così nel tempio del consumo e della precarietà per qualche ora il centro della scena è stato conquistato dai precari.

Il primo maggio qualcosa di non molto dissimile è accaduto a via del Corso, a Roma quando, per denunciare l’impossibilità del diritto al riposo per molti precari nel giorno della festa dei lavoratori [dei lavoratori si badi bene, non del lavoro!]  per gli interessi convergenti delle associazioni di categoria di esercenti e padroni con l’amministrazione comunale,  attivisti, precari, metalmeccanici, studenti sotto la sigla «Uniti Per Lo Sciopero», hanno  bloccato i negozi [Tezenis, Disney Store, Rinascente, Nike Store, Zara] tra i sorrisi e gli applausi dei lavoratori.

Questa formula di Picchetto Precario è riuscita a creare un immediato spazio pubblico in cui ritrovarsi e riconoscersi come simili, prima magari annusandosi con circospezione per poi scoprirsi uguali e allora cominciare a prendere parola. E’ stata rotta la solitudine della condizione precaria materialmente e temporalmente,  anche se magari ancora solo per pochi minuti, mettendola all’improvviso sotto i riflettori negli spazi del consumo in cui di norma è invisibile.

Il Picchetto Precario è come il carnevale: ribalta la normalità, la routine, il placido scorrere spazio temporale creando un momento di rottura in cui tutto diviene possibile, in cui le cose possono andare alla rovescia rispetto a come vanno di solito, in cui i normali rapporti di forza si possono ribaltare.

Ma la cosa più significativa di questi momenti di mobilitazione è stata la capacità discorsiva, la voglia di raccontare la propria condizione messa in campo dai precari, la felicità di essere chiamati in causa e la volontà di non rifugiarsi di fronte ai rumorosi picchetti nei retrobottega dei negozi ma di parlare e uscire fuori e applaudire.

Il Picchetto Precario in questa formula si è dimostrato empiricamente una buona arma nelle mani dei precari, per imporre le loro ragioni nel caso di Tezenis, e per denunciare una situazione di sfruttamento nel caso del primo maggio, ma è anche un momento utile per indagare direttamente vis a vis le condizioni materiali di vita dei precari, un momento collettivo di inchiesta sul campo che rompe i ricatti e l’atomizzazione dei lavoratori.

*da www.carta.org

Picchetto Precario

Riprendiamoci le nostre vite!