R.i.g.a.s. - Contributo per Cop 17 a Durban - Sudafrica

25 / 10 / 2011

POSIZIONE RIGAS IN VISTA DEL COP 17 DI DURBAN E DI RIO+20

Situazione dei cambiamenti climatici

E' ormai riconosciuto anche dalla comunità scientifica che l'aumento di 2 gradi centigradi delle temperature previsto nei prossimi 20 anni renderebbe irreversibili i danni provocati dai cambiamenti climatici a livello planetario. Già oggi si fanno sentire pesantemente gli effetti dei cambiamenti climatici conseguenza delle scelte messe in atto a più livelli dai governi nazionali, dalle agenzie dell'Onu, dai vertici internazionali per assecondare gli interessi economici immediati delle corporations transnazionali. I disastri ambientali aumentano: sempre più numerosi sono i casi di siccità e di inondazioni; la desertificazione avanza; i ghiacciai si sciolgono rapidamente causando l’innalzamento dei mari; gli inquinamenti chimici provocano l’acidificazione degli oceani; le zone forestali - in particolare quelle tropicali – si riducono; si modificano i cicli bio-geo-chimici dell’azoto e del fosforo. Tutti questi gravi fenomeni favoriscono una forte perdita della biodiversità, definita dai biologi come “sesta estinzione di massa”, la più veloce estinzione delle specie viventi da quando è comparsa la vita sulla Terra provocata non da asteroidi giganti, tempeste solari o eruzioni vulcaniche, ma dalla forza distruttiva dell’uomo. A ciò si accompagna una crescente disuguaglianza nella produzione, nell'accesso all'alimentazione e l'aumento delle migrazioni climatiche, le cui proiezioni annunciano tra i 250 milioni e 1 miliardo di profughi climatici entro il 2050.

La comunità scientifica è concorde che per limitare la crescente minaccia che pesa sulla riproduzione della vita sul pianeta e per fronteggiare l’impoverimento economico e sociale non solo delle fasce più deboli della società, ma anche delle classi medie, è necessario diminuire del’80% le emissioni di gas climalteranti entro il 2050.

Un quadro della “governance globale”

Purtroppo le ricette proposte dai governi, nei vertici di Copenaghen prima e Cancun poi hanno dimostrato la mancanza di volontà politica da parte della “governance globale”, e in particolare dei paesi più inquinanti, di assumersi la responsabilità della situazione. Una mancanza di volontà che deriva dall'aver abdicato a favore dei dogmi del libero mercato e dalle pressioni sempre più invadenti dei lobbisti delle grandi corporation che lavorano quotidianamente per annullare qualsiasi intenzione di costruire riforme e norme a difesa dell'ambiente e dei beni comuni contrarie agli interessi dei grandi capitali.

Grandi multinazionali, BM e governi si rivedranno prima a Durban per la 17° Conferenza delle Parti sul Clima a fine novembre 2011 e poi a Rio a giugno 2012, durante la Conferenza delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Sostenibile Rio+20. Purtroppo da questi incontri rischia di non venir fuori nulla di buono che possa arrestare e contrastare il dramma dei cambiamenti climatici e la minaccia della crisi ecologica. Anzi, ad oggi i paesi del G77 insieme al governo della Bolivia denunciano la mancanza totale di trasparenza e la incoerenza di misure che invece di affrontare la crisi la complicano. Le uniche misure adottate sono in realtà necessarie più per fare cassa attraverso processi di finanziarizzazione della natura. In nome della crisi economica e finanziaria verranno sacrificati i diritti della natura e la giustizia ambientale. l’obiettivo che ci troviamo davanti è dunque quello di una riorganizzazione della “governance globale” proprio attraverso le stesse misure che hanno prodotto la crisi globale: mercato, green economy, privatizzazioni e tecnologie. Il quadro di fondo resta inalterato e nulla sarà fatto per diminuire la febbre del pianete, ridurre i consumi insostenibili e riconvertire le produzioni.

Tutte le soluzioni che ci vengono proposte dalla “governance globale”, dai governi e dalle forze politiche si sono sino ad ora tradotte in scelte che hanno mirato unicamente alla salvaguardia degli interessi di pochi e alle posizioni di rendita di un modello energetico obsoleto e insostenibile. Una prima considerazione riguarda le “non soluzioni” in campo. L'accordo di Kyoto che prevedeva una diminuzione del 5% delle emissioni entro il 2012 secondo i livelli del 1990 e che verrà ridiscusso il prossimo giugno 2012 durante Rio+20, rimane l'unico accordo in atto. I risultati, o non risultati, raggiunti dimostrano i limiti di tale accordo che si è rivelato insufficiente e non vincolante. Allo stesso modo, il processo delle Conferenze delle Parti sui Cambiamenti Climatici si è rivelato inconcludente: non c'è un tetto limite di emissioni per i paesi più inquinanti, né un piano di riduzione vincolante prioritariamente per questi paesi.

Si sono invece definite una seria di “false soluzioni” basate sulla finanziarizzazione dei cambiamenti climatici e la mercificazione della natura. La “governance globale” intende “riformare” il modello economico capitalista attraverso operazioni di marketing come la green economy che sottendono gli stessi equilibri di potere e gli stessi meccanismi di produzione, distribuzione, consumo rispetto al modello attuale. Un “capitalismo verde”, orrendo ossimoro, che propone contemporaneamente “termovalorizzatori” e monoculture per biocarburanti, centrali nucleari e grandi impianti di energie rinnovabili come il fotovoltaico a terra o le mega dighe, tecnologie pulite e aumento dei consumi di materie prime, etc., ha come unica ricaduta l'aggravamento della crisi ambientale e sociale. Le “false soluzioni” pianificate e già attuate per fronteggiare i cambiamenti climatici si basano essenzialmente sul mercato del carbonio e i così detti Meccanismi di Sviluppo Pulito, che verranno finanziati attraverso un fondo verde istituito a Cancun durante il COP16 e gestito dalla Banca Mondiale. Della pianificazione del Fondo Verde si discuterà proprio a Durban nell'autunno prossimo.

Questa paradossale inadeguatezza è evidente nella scelta di affidare la questione climatica a meccanismi di finanziarizzazione che hanno reso l'emergenza un'occasione ulteriore di arricchimento per i capitali privati, la finanza speculativa ed i governi. Attraverso il mercato del carbonio è stato introdotto l'assurdo principio del “diritto ad inquinare”, dietro pagamento di una compensazione economica per la contaminazione prodotta. Meccanismi come il carbon trade e il Redd+ (che considera le monocolture e la deforestazione proposte valide per far fronte al Cambiamento Climatico) hanno avuto in definitiva come unico risultato un aggravamento dell'ingiustizia ambientale e climatica.

CAP and Trade

Come funziona?

La “governance globale” pensa di limitare le emissioni attraverso la creazione di crediti di carbonio. I crediti o permessi, veri e propri strumenti finanziari, permettono a chi inquina di più di comprare da chi inquina di meno il proprio “diritto” ad inquinare. Crediti gratuiti vengono anche concessi per chi applica i “Meccanismi di Sviluppo Pulito” e altre azioni di mitigazione e compensazione fra i quali rientra i REDD +.

Questo sistema corrisponde innanzitutto ad una necessità del mercato finanziario, bisognoso di creare nuovi mercati e "bolle finanziarie" di durata di vita limitata. Non garantisce la diminuzione delle emissioni, solo la speculazione e non permette ai paesi meno industrializzati di diminuire le proprie emissioni. Infatti con i Cap and Trade, non c'è regolazione secondo chi e come inquina, e non c'è un tetto di emissioni massime, rendendo impraticabile una reale diminuzione delle emissioni.

Altre false soluzioni di mitigazione

Fra le false soluzioni di mitigazione messe in atto dalla governance globale e denunciate dai movimenti e dalla società civile a livello internazionale figurano, oltre al Cap and Trade, il meccanismo di Riduzione delle Emissioni da Deforestazione e Degrado forestale (REDD e REDD+) e la Geo-ingegneria.

REDD+

Il meccanismo teoricamente mira alla conservazione e alla riforestazione, ma in realtà si traduce nel favorire la produzione agro-forestale sulla quale si basa essenzialmente la produzione di "bio" carburanti. La protezione delle foreste e la riforestazione di quelle degradate è un obbligo di tutti i governi che deve essere realizzato senza limitare l’autonomia, i diritti o il controllo dei popoli indigeni e contadini sulla terra e sui loro territori, visto che sono stati proprio contadini ed indigeni a conservarle e sono coloro che meglio conoscono e garantiscono questi importantissimi e complessi ecosistemi. Un obbligo che però non deve tramutarsi nella giustificazione attraverso la quale le multinazionali ed i governi del nord possono da un lato continuare a inquinare e dall’altro a disseminare monoculture di alberi, spacciandole per foreste. I diritti territoriali e culturali dei popoli indigeni e dei contadini devono essere riconosciuti esplicitamente in qualsiasi accordo climatico.

La geo-ingegneria

I movimenti rifiutano di giocare a Frankenstein con la geo-ingegneria: le proposte su grande scala per alterare “positivamente” il clima, come il biochar (o carbone agricolo) e le piante modificate geneticamente, per ottenere un supposto aumento della riflettività e resistenza alla siccità, al calore o al sale; la fertilizzazione degli oceani o la creazione di nuvole iniettando anidride solforosa in atmosfera creano problemi incontrollabili: alghe neurotossiche, radiazioni, batteri resistenti, ecc. La geo-ingegneria è solo un esempio in più di come le imprese multinazionali siano disposte a giocare con il futuro del pianeta e dell’umanità pur di creare nuove fonti di profitti.

Posizioni dei poteri a Cancun e nel post Cancun

È stata confermata a Cancun l’egemonia e le priorità del mercato economico e finanziario nella gestione della crisi ecologica, insieme alla mancanza di una leadership forte che sappia contrastare l’attuale governance e introdurre misure coercitive che responsabilizzino i governi, in particolare i paesi ricchi, più “consumatori di natura” e più inquinanti. Allo stesso tempo a Cancun durante il COP16 non c’è stata una polarizzazione delle principali potenze economiche nel processo decisionale, così come avvenuto a Copenaghen dove fu impossibile il raggiungimento di un accordo. Non sono più dunque solo i paesi occidentali ad incidere attraverso il ruolo centrale degli USA, ma la Cina e le nuove potenze economiche asiatiche le quali dimostrano un forte protagonismo.

L'unica posizione coraggiosa è stata quella della Bolivia, rimasto il solo paese parte non firmatario dell’accordo di Cancun. Un'esclusione che è stata denunciata recentemente dai paesi dell'ALBA partecipanti alla riunione negoziale dei paesi del G77+ Cina sui cambiamenti climatici tenutasi a Bangkok. La Bolivia è stato, inoltre, l'unico stato a rivendicare a livello internazionale delle politiche incisive per la riduzione delle emissioni e per una gestione della crisi climatica basata sui diritti dell'uomo e della natura, mettendo in atto un dialogo e un processo partecipativo coinvolgendo i movimenti sociali Boliviani e di tutto il mondo, come avvenuto nella Cumbre dei Popoli di Cochabamba nell'Aprile 2010.

In questo quadro, l'Italia rimane ai margini, uno dei pochi stati rimasti “negazionisti”. Si oppone alla proposta europea di raggiungere oltre il 30% di riduzione delle emissioni e di fissare obiettivi vincolanti per l'efficienza energetica. Si è anche opposta all'estensione del protocollo di Kyoto e non ha nessun piano nazionale ne ha investito risorse per affrontare i cambiamenti climatici.

L'Unione Europea ha proposto invece a Cancun la riduzione interna del 30% delle emissioni entro il 2020 se gli altri grandi inquinatori si impegneranno ad accettare e rispettare l’impegno, andando oltre la già attuata strategia europea del 20-20-20 che prevedeva una riduzione del 20% delle emissioni, un aumento del 20% dell'efficienza energetica e del 20% di rinnovabili per il 2020. E' bene ricordare però che la legislazione europea è poco vincolante, come dimostrano gli scarsi effetti della strategia dell’Unione in Italia. L'Unione Europea è anche fra i primi promotori del meccanismo di finanziamento cap and give away che ha portato alla deregolamentazione del valore dei permessi, dei prezzi delle energie fossili ed all'aumento delle emissioni in Europa.

Soprattutto va ricordato che l’ambizioso piano energetico europeo si fonda in realtà sul progetto Desertec (consorzio Deutsche Bank, Simens, ecc.) e Transgreen (consorzio francese Super Grid) per l’installazione nelle regioni desertiche del Sahara di enormi estensioni di pannelli solari e il trasporto sub-mediterraneo. Nuove colonizzazioni del pianeta e nuove concentrazioni di potere si prospettano in nome dell’energia pulita.

Commissione Europea

Tabella di marcia verso un'economia competitiva a basse emissioni di carbonio nel 2050, presentata al parlamento europeo nel marzo 2011

Il piano presentato dalla Commissione Europea per implementare una transizione verso una “economia a basse emissioni” prevede una riduzione delle emissioni interne del 80% entro il 2050, passando per tappe intermedie del 40% entro il 2030 e del 60% entro il 2040, andando ben oltre le proiezioni dell'attuale piano 20-20-20 che porterebbe ad una diminuzione delle emissioni del 40% entro il 2050.

Il Piano di riduzione strategico proposto vuole intervenire su:

  • il settore energetico “decarbonizzato” attraverso energie rinnovabili, generazione distribuita, scambio di quote di emissioni, tassazione energetica, e sostegno tecnologico, per raggiungere una riduzione delle emissioni del settore del 93% entro il 2050;

  • i trasporti attraverso l'elettrificazione e la tariffazione dei trasporti, la pianificazione urbanistica intelligente, per raggiungere una riduzione delle emissione del settore del 54% entro il 2050;

  • l'ambiente edificato: attraverso l'edilizia sostenibile per raggiungere una riduzione delle emissioni del settore del 90% entro il 2050;

  • il settore industriale: attraverso l'efficientizzazione delle produzioni, il riciclaggio, l'innovazione tecnologica, la cattura e stoccaggio delle emissioni per raggiungere una riduzione delle emissioni del settore del 83% entro 2050:

  • l'agricoltura: attraverso l'efficienza sostenibile, la diversificazione e commercializzazione locale dei prodotti, la riduzione dell'erosione, il rimboscamento, per raggiungere una riduzione delle emissioni del settore del 42% entro 2050.

La commissione sottolinea la necessità di aumentare gli investimenti di capitale (incremento annuo medio di 270 miliardi), ridurre la fattura energetica e la dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili, creare nuovi posti di lavoro. Si richiedono cambiamenti necessari dell'economia e del lavoro per riuscire a raggiungere l'obiettivo di una riduzione delle emissioni del 80%.

Nelle ultime negoziazioni intermedie sul clima in Thailandia e Germania in preparazione del vertice di Durban, le proposte portate avanti dai maggiori inquinatori al mondo sono sempre le stesse e sono identiche a quelle fatte dalle stesse corporation e istituzioni finanziarie internazionali responsabili dei cambiamenti climatici e dell’inquinamento planetario. Mercato, green economy e privatizzazioni sono il mix letale che metterebbe la parola fine sulle speranze di invertire la rotta e dare risposte alle legittime aspirazioni della gran parte dell’umanità che paga il prezzo della crisi ecologica e che in questi anni si è ribellata alla dittatura degli interessi economici a scapito del diritto alla vita.

Le proposte delle “società in movimento” per l’attuazione di vere soluzioni

Di fronte a questo quadro di mancanza di proposte efficaci provenienti dai governi e dalle istituzioni, esiste un vastissimo ed eterogeneo campo di attori sociali, associazioni, comitati, sindacati, organizzazioni, intellettuali, singoli che compongono la società in movimento, che porta avanti molteplici alternative concrete e modelli di partecipazione reali e democratici. Queste nuove soggettività sono portatrici di una nuova epistemologia che si fonda sull'interdipendenza e interconnessione tra uomo e natura. Un'etica della Terra che mette al centro la giustizia ambientale e la giustizia sociale come i due assi su cui ricostruire un modello per superare le crisi e contrastare l’impoverimento sociale e la mercificazione della vita e della natura. Unnuovo campo che ha un compito storico: fermare la devastazione del pianeta, rimettere al centro delle politiche internazionali il concetto di bene comune dell'umanità e di diritto alla vita. Parlare quindi di crisi ecologica e giustizia ambientale, significa mettere mano alla democrazia. Una democrazia degenerata e svuotata di significato dalla crisi del modello capitalista e dall'attuale governance, guidata da una casta di cosmocrati, che in nome della sopravvivenza delle proprie rendite riduce la politica a spettatrice privando i cittadini della possibilità di scegliere sul loro destino. Un percorso già lanciato dai Forum Sociali Mondiali, dai controvertici sul clima e rafforzato dalla Conferenza dei Popoli di Cochambamba, creata su iniziativa dei movimenti latino americani e del governo boliviano. A causa di questa emergenza planetaria i movimenti di tutto il mondo ed i governi più responsabili si incontreranno nuovamente proprio il prossimo giugno 2012 a Rio, parallelamente al vertice ONU Rio+20, così da contrastare il tentativo egemone di multinazionali e dei principali governi inquinatori del pianeta di dettare la linea e addirittura speculare sul disastro ecologico aggravandolo.

Numerose sono le proposte avanzate, di cui riportiamo sinteticamente qui i principali punti che RIGAS fa suoi:

- il trasferimento delle spese per le forze armate, la guerra e la sicurezza in spese per affrontare cambiamenti climatici, il trasferimento del 6% del PIL dei paesi inquinanti per misure di mitigazione, di adattamento e la tassazione delle emissioni per la riconversione;

- la creazione di un reale quadro coercitivo che possa garantire la riduzione delle emissioni basato sui concetti di responsabilità degli inquinatori nel fronteggiare i cambiamenti climatici e di sostegno ai paesi con minori possibilità economica;

- l'attuazione di piani di preservazione, recupero e gestione sostenibile delle foreste secondo le necessità, non secondo il loro valore sul mercato;

- lo sviluppo di una nuova giurisdizione nazionale e internazionale che abbia come ispirazione la giustizia ambientale e climatica, che tenga conto del debito ecologico maturato, che preveda la costituzione di tribunali ambientali nazionali e di un tribunale internazionale per la giustizia ambientale e climatica;

- il trasferimento di tecnologie ai paesi con minori possibilità economiche;

- la salvaguardia e il supporto della agricoltura contadina locale, ad esempio quella familiare, escludendo quella volta all’esportazione;

- lo sviluppo di una società “post carbon” declinata in un settore industriale riconvertito e non estrattivista, efficienza energetica, trasporti e urbanizzazione sostenibile ed a basso impatto, che permetta il raggiungimento di una riduzione di oltre l’80% delle emissioni entro il 2050;

Queste proposte, concrete e realizzabili, dimostrano come vi sia la possibilità di uscire dalla crisi senza rinunciare ai diritti ma addirittura migliorando le condizioni della vita per la maggior parte degli abitanti del pianeta, combattendo concretamente la povertà. Considerando la crisi della democrazia rappresentativa che i movimenti quasi ovunque devono affrontare, il protagonismo della società in movimento nel promuovere e praticare l'alternativa, dal livello globale a quello nazionale e locale diventerà l’elemento centrale per costruire un senso comune ed una trasformazione culturale diffusa necessaria a rendere desiderabili le trasformazioni di cui abbiamo bisogno. Risulterà dunque fondamentale la capacità della società in movimento di costruire allo stesso tempo pensiero e pratiche egemoni nella società capaci di ribaltare un modello di sviluppo che vorrà riciclarsi attraverso l’insostenibilità della green economy.

RIGAS: proposte e obiettivi

In questo contesto, la Rete Italiana per la Giustizia Ambientale e Sociale si farà portatrice delle seguenti proposte nelle mobilitazioni sociali previste per i prossimi appuntamenti internazionali su clima e biodiversità ai quali parteciperà, a Durban a dicembre 2011 e a Rio a giugno 2012 con la seconda Cumbre dei popoli che si terrà negli stessi giorni dell'incontro Rio+20. Le stesse proposte saranno centrali nelle azioni nazionali di RIGAS e delle organizzazioni che ne fanno parte, in particolare sulle questioni connesse all'energia e ai beni comuni, due priorità del contesto nazionale attuale.

Fra i suoi obiettivi, Rigas ribadisce la centralità della democrazia partecipata e comunitaria nel creare le condizioni per intrecciare i temi della vita con un nuovo modello di sviluppo e di partecipazione capace di costruire un processo di accumulazione di forze in grado di guardare agli appuntamenti di Durban e Rio come a un momento di rottura ed allo stesso tempo di rinascita di una visione universale fondata sui diritti umani e su quelli della natura.

Eco-mafie

Rigas denuncia la grave situazione delle ecomafie in Italia, dove l'assenza dello Stato e il potere delle mafie colluse con il potere economico sono responsabili di molte situazioni di grave degrado ambientale e sociale. Una delle priorità che Rigas ha assunto nel suo cammino per la giustizia ambientale e sociale è in tal senso la lotta contro le mafie e l'ingiustizia sociale.

Profughi ambientali

Alla luce delle proiezioni sui fenomeni migratori, delle relative nuove politiche italiane ed europee e dei sintomi visibili nel nostro paese della catastrofica gestione delle migrazioni, Rigas sottolinea la necessità di sviluppare nuove politiche di gestione dell'immigrazione e sostiene iniziative dal basso che mirano all'appoggio delle comunità migranti in Italia, con particolare riferimento al Sud del paese. Considera fondamentale il lavoro di sensibilizzazione sui nessi tra cambiamenti climatici, degrado ambientale e fenomeni migratori.

Urbanistica, consumo di suolo e gestione del territorio

Rigas riconosce la necessità di diffusione sul territorio dei progetti di urbanistica sostenibile, fra cui le cosiddette "transition town", città impegnate in un processo di riconversione sostenibile che punta a zero emissioni di carbonio. Sostiene il percorso dei comuni virtuosi italiani per lo sviluppo armonioso e sostenibile della gestione dei territori locali articolato in 5 linee guide: la gestione sostenibile e partecipata del territorio, l'impronta ecologica dei comuni, la gestione dei rifiuti, la mobilità sostenibile e la promozione di nuovi stili di vita.

Più in generale, per frenare il saccheggio del territorio a beneficio delle speculazioni immobiliari e delle rendite fondiarie, è necessario che cresca una diffusa “coscienza dei luoghi”, un radicamento territoriale dell’economia, un abbassamento delle economie di scala e un accorciamento delle reti produttive. Un riconoscimento della “sovranità” sul territorio delle popolazioni locali contro ogni sovradeterminazione autoritaria e a favore, invece, di collaborazioni libere e reciproche tra comunità autonome e federate. A partire dai laboratori territoriali, come nel caso di Napoli (“Laboratorio per la Costituente dei beni comuni”) è possibile delineare dal basso nuove architetture dei poteri pubblici effettivamente partecipati e popolari.

Trasporti e Mobilità dolce

Rigas manifesta la sua preoccupazione riguardo le politiche infrastrutturali e di trasporto portate avanti in Italia che spesso non corrispondono alla reale domanda di mobilità di persone e cose, ma ad opportunità di profitti. Evidenti sono gli esempi della Val Di Susa o del ponte sullo Stretto, due casi in cui si tenta di imporre progetti distruttivi per il territorio ignorando l'opinione e le proposte delle comunità residenti e spesso delle amministrazioni locali. Rigas sostiene proposte che si basano su uno sviluppo delle vie di comunicazione e dei trasporti sostenibili dal punto di vista ambientale e sociale e che rispondano in primis alle esigenze delle popolazioni locali prevedendo reali meccanismi di consultazione e di controllo sociale e processi partecipativi per la presa di decisioni.

Rifiuti zero

Sul tema legato ai livelli di consumo e alla produzione e gestione dei rifiuti, Rigas appoggia la sperimentazione e promuove la diffusione di nuove forme di gestione del ciclo rifiuti. La situazione della gestione dei rifiuti in Italia, caratterizzata da una gestione irrazionale, insostenibile e criminale, contaminata da pratiche mafiose, in particolare nel Sud del paese, è drammatica. In questo senso Rigas promuove la gestione integrata dei rifiuti contenuti nella strategia "rifiuti zero", sostenuta dai movimenti sociali in Italia e in tutto il mondo, che ripensa completamente il ciclo della produzione e dell'uso delle risorse in modo da limitare a monte la produzione di rifiuti e di riutilizzare e riciclare tutti i materiali, per raggiungere l’impatto zero.

Altra economia e agricoltura

Rigas sostiene lo sviluppo di nuovi modelli di produzione, mercato e di economia e appoggia le iniziative delle reti dei piccoli produttori agricoli e altre esperienze di economia solidale come i distretti di economia che lavorano alla creazione di circuiti economici alternativi basati sul mutuo sostegno e su spazi di scambio non finalizzati al profitto. Sostiene percorsi come quella della Città dell'Altra Economia, che vogliono essere promotori e attori di altre forme di economia e di società. In riferimento al settore agricolo, Rigas appoggia le iniziative di mercati agricoli alternativi basate sulla solidarietà con e fra i piccoli produttori, come i Gas o la rete Terra Terra.

Promuovere e sostenere le economie locali come base per la costruzione di un tessuto produttivo nuovo vuol dire anzitutto sostenere l'agricoltura organica, ottenendo il duplice risultato di sostenere l'occupazione, con la stabilizzazione di 2 miliardi di posti di lavoro in tutto il mondo, e invertire la rotta dei cambiamenti climatici di -2 centigradi, contribuendo a porre un freno al fenomeno dei nuovi flussi migratori, tutelando allo stesso tempo la biodiversità (prima di tutto quella dei prodotti agroalimentari) e valorizzando le conoscenze tradizionali che seguono i cicli naturali e non modificano l'equilibrio ecologico del territorio. Rigas ricorda che sono i contadini i veri “lavoratori verdi” che alimentano il 70% della popolazione, consumando poca acqua e petrolio a differenza dell'idro-agrobusiness grande produttore di emissioni.

Più in generale, a fronte della crisi sistemica, epocale, che mina i fondamenti stessi su cui ha retto il progetto della modernità, è necessario immaginare un’altra teoria economica che veda la rigenerazione dei beni comuni e la creatività del lavoro al centro dello sforzo cooperativo sociale. Serve una conversione degli apparati produttivi e di consumo volta a decrescere i flussi di materia e di energia impegnati nei cicli produttivi. Tale sfida può essere vinta solo la scienza, le tecnologie e la maggiore produttività che da esse ne deriva saranno indirizzate non ad aumentare le rese e i rendimenti, ma a diminuire l’impatto umano sulla biosfera.

Beni comuni e energia: una priorità italiana

Rigas promuove lo sviluppo di nuove politiche e pratiche di gestione dei beni comuni che siano basate su una gestione pubblica che garantisca la partecipazione della società civile attraverso un coinvolgimento reale nella presa di decisioni e la previsione e predisposizione di meccanismi di controllo sociale.

In questo contesto Rigas appoggia il percorso dei movimenti italiani per l'acqua che hanno portato nel 2007 alla elaborazione della proposta di legge popolare per la ripubblicizzazione dell'acqua e successivamente alla campagna referendaria contro le privatizzazioni del servizio idrico nel 2010 e 2011. Allo stesso modo, ha sostenuto il comitato referendario “Si per fermare il nucleare”.

Le campagne referendarie hanno portato 27 milioni di italiani a pronunciarsi positivamente per l'acqua e l'energia bene comune, dimostrando la particolare sensibilità della popolazione ai temi dei referendum. All'indomani dei risultati del 12 e 13 giugno scorsi si impone una riflessione profonda sulle sfide che le crisi ci pongono, ripartendo dai beni comuni, dal lavoro e dalla necessità di ripensare il modello di sviluppo. Una riflessione che si deve abbinare a proposte e azioni concrete, al centro delle quali la legge popolare per la ripubblicizzazione dell'acqua e il disegno di un piano energetico nazionale.

Energia e lavoro: per una democrazia energetica

Il referendum sul nucleare ha riportato nell'agenda politica del paese tre grandi questioni tra loro intrecciate: lo sviluppo delle rinnovabili, del risparmio e dell’efficienza energetica, la risposta ai cambiamenti climatici e le opportunità di lavoro e di modifica degli stili di vita che tutto ciò determina. In un mondo dove l'80% delle energie provengono da combustibili fossili, è urgente costruire una nuova economia fondata sulla sostenibilità ambientale, a basse emissioni di CO2, fondata su un modello di produzione distribuita dell’energia, partendo dal riconoscimento di una necessaria rivoluzione energetica, alla ricerca di un diverso paradigma di gestione delle risorse che superi anche la dicotomia pubblico-privato.

Abbiamo bisogno di un modello energetico che superi l'estrattivismo, basato principalmente su fonti di approvvigionamento sostenibili dal punto di vista sociale ed ambientale. Non abbiamo bisogno di un modello accentrato, più costoso, non sicuro e insostenibile, ma di investire sul decentramento della produzione attraverso la creazione di piccole unità produttive, per promuovere l'autosussistenza e la sovranità energetica territoriale. Questo ci permetterebbe allo stesso tempo di andare oltre la concentrazione della produzione e della distribuzione nella mani di poche imprese.

Occorre quindi puntare al ridisegno di una politica energetica nazionale basata sulla creazione di reti di produzione energetica dal basso che si concentri prima di tutto sull'efficienza e sul risparmio energetico. La fornitura di energia deve inoltre basarsi sul presupposto che l’energia è un bene comune e, come tale, deve essere garantita a tutti e non può essere affidata a privati, ma delegata ai comuni o alle collettività locali per garantirne una gestione efficiente. L’interesse delle comunità è, infatti, garantire la fruizione del bene energia e non fare profitto. Inoltre, considerando la specificità di ogni territorio, sono proprio le comunità a poter valutare le soluzioni migliori. Che sia il fotovoltaico, l’eolico o altre fonti rinnovabili, la chiave è la gestione comunitaria dell’energia.

Rigas sostiene in Italia le proposte e mobilitazioni portate avanti dai sindacati che mirano alla tutela dei diritti e alla difesa del contratto nazionale. Allo stesso tempo propone modelli di riconversione industriale alternativi sostenibili basati sulla democrazia e sui diritti dei lavoratori. In questo senso, si riconosce nel settore energetico un punto di partenza per una riconversione inclusiva dei diritti del lavoro. Solo in Italia, secondo uno studio della Bocconi e della Confindustria, investire nell'efficienza energetica creerebbe in 9 anni 1.600.000 posti di lavoro e farebbe risparmiare 50 milioni di tonnellate di petrolio.

Come dimostra l’esperienza di Rigas, sono comitati, associazioni, amministrazioni locali virtuose, sindacati, lavoratori, studenti e mondo accademico, forze produttive, a portare alla luce una società in movimento che ha come obiettivo comune la difesa dell'ambiente e del territorio, l'accesso ai servizi basici, il diritto al lavoro nella prospettiva della giustizia ambientale e sociale. E' questa società in movimento ad avere oggi il compito di costruire un nuovo “blocco sociale” in grado di portare avanti le trasformazioni e le riforme necessarie per uscire dalle crisi, a partire da quella energetica.