Due giorni di iniziative contro il proibizionismo, per dire no alla assegnazione da parte del Sindaco di Rimini alla comunità di San Patrignano del SIGISMONDO D'ORO (massima onorificenza della città di Rimini)

Rimini - Perchè diciamo no al Sigismondo d'oro a San Patrignano

19 / 12 / 2010

Perchè diciamo no al Sigismondo d'oro a San Patrignano

Ricordare è un esercizio che nessuno oramai pratica in Italia; al limite il passato si mistifica a seconda delle convenienze, come accadeva in 1984 di Orwell. Anche la ragione non va di moda: dati scientifici, verificabilità delle fonti, possibilità di ripetere l’esperimento sono vuoti concetti spesso impraticati. Per non parlare del rispetto delle normative, dei regolamenti, delle prescrizioni che questo stato, seppur estremamente fragile, cerca di fare applicare.

Quindi non stupisce che il Sindaco di Rimini Dott. Alberto Ravaioli abbia deciso di assegnare a San Patrignano il Sigismondo d’Oro, massima onorificenza della città. Non stupisce neppure (sempre premesso quanto sopra) la risposta che lo stesso ha dato ai parenti delle vittime di San Patrignano, Giuseppe Maranzano e Sebastiano Berla, che gli chiedono conto di questa assegnazione: “Non sapevo ci fossero stati dei problemi nel passato… comunque il Sigismondo d’Oro è già assegnato”. Risposta incredibile.

Se il Sindaco non sapeva possiamo, allora, provare a rinfrescargli la memoria e contemporaneamente a vedere se si solleva un po’ di indignazione in questa città.

San Patrignano, dalla fine degli anni settanta sino al 1993, fu teatro di spaventose violenze ai danni di molti dei suoi ospiti, che il consesso sociale aveva affidato all’autoelettosi salvatore della Patria (nel campo delle tossicodipendenze) Vincenzo Muccioli. Queste violenze, maturate in una escalation di delirio onnipotenziale dello stesso Muccioli e dei suoi “adepti” portarono alla uccisione di Roberto Maranzano nel 1989 (autore materiale Alfio Russo) e al nascondimento del suo corpo in una discarica del napoletano. Venne infatti fatto credere alla famiglia che Roberto se ne era andato “sua sponte” dalla struttura e, non fosse stato per una spontanea confessione di un ex ospite, la famiglia avrebbe continuato a credere a questa verità. Altre vittime di quella struttura furono: Natalia Berla, suicidatasi nel 1989 dopo una serie, oltremodo, spaventosa di violenze  e di vessazioni psicologiche; Gabriele di Paola che, vedendosi negata una possibilità di fuga durante una visita dei carabinieri al seguito del ministro di Giustizia Martelli, il giorno dopo si suicidò; Rosalba Petrucci, che dopo due anni di permanenza nella succursale di Pescara di San Patrignano, decidendo di non tornare da un permesso scatenò le ire dei suoi “responsabili”  che andarono a recuperarla a casa sfondando la porta del bagno in cui si era chiusa: dopo poco si suicidò.

Di tutto questo Vincenzo Muccioli disse di non sapere nulla, che i suoi sottoposti agivano da soli e che, al limite, lui agiva come confessore, non rivelando ad alcuno quanto era venuto a sapere, come se non fosse lo stesso Muccioli l’autore dei pestaggi ampiamente descritti in pagine e pagine di atti processuali e non fosse chiaro che vi era una assoluta sintonia tra il leader picchiatore e i sottoposti picchiatori anch’essi.

Dopo la morte dello stesso Muccioli, San Patrignano cercò di trasformarsi cercando di “ricostruire la propria immagine” ed è ancora questa la favola che viene raccontata al mondo: “San Patrignano non è più come allora, adesso tutto è cambiato… sono storie vecchie”.Per quanto ne sappiamo, invece, sulla cosiddetta comunità di San Patrignano anche oggi gravano parecchie ombre sia a livello normativo che culturale che storico/politico. Di fatto, il modello San Patrignano è divenuto stato con la legge fini/giovanardi e la retorica intorno al “male della droga” è un dispositivo sottoculturale che invece di frenare alimenta le dipendenze patologiche mai così diffuse in questi anni di proibizionismo. Fattore proibizionista questo che, casualmente, aumenta il businnes degli ingressi in una struttura/fabbrica che funziona con il lavoro gratuito di centinaia di persone (caso unico di lavoro gratuito in tutta Europa).

Ma veniamo al presente.

Nel 2006 in una indagine sui dati del recupero intitolata OLTRE LA COMUNITA’ si afferma falsamente che San Patrignano recupera il 72 per  cento di coloro che sono da lì passati. Peccato che questa ricerca sia totalmente priva dei criteri di verificabilità scientifica e sia stata ampiamente contestata dal mondo scientifico italiano e produrrebbe solo ironia se venisse presentata all’estero.

Vi sono, poi, violazioni che riguardano le normative di abitabilità di una struttura residenziale: camere in cui vi sono stipate, in condizioni igieniche veramente gravi, un  numero superiore di persone rispetto a quanto consentito dai regolamenti.

Che dire poi della fuga in massa dalla succursale di Trento nel Gennaio 2007 dove 35 persone decisero di andarsene da un giorno all’altro e che causò improvvisi cambiamenti di metodo, tanto da ricevere una censura da parte dei servizi territoriali che parlarono (ai tempi) di violazione del PATTO TERAPEUTICO ( modifica improvvisa delle regole di un percorso).

Senza contare il fatto che si hanno notizie che la pratica delle chiusure e delle pressioni psicologiche per non dire di altro su coloro che vogliono abbandonare la struttura sia ricominciata. Oggi. Nel 2010. Non venti anni fa, in un tempo in cui il lifting della famiglia Muccioli (a cui il Sindaco Ravaioli vuole dare l’ultimo ritocco) vuole relegare i “problemi” di questa struttura.

Si potrebbe andare avanti all’infinito perché la storia della famiglia Muccioli e di San Patrignano meriterebbe una sorta di enciclopedia degli orrori (sia fisici che scientifici) che non è detto non si possa un giorno raccontare. Preferiamo fermarci qui, sperando che il giovane Muccioli, durante la consegna del Sigismondo d’Oro, non sia troppo nervoso e non oltraggi ancora i Carabinieri, o chi osa contestarlo, come fece questa estate nel corso di una partita di pallacanestro in via di surriscaldamento che aveva, appunto, richiesto l’intervento, non gradito dal leader nel suo stato libero di bananas, delle forze dell’ordine. Curiosa invettiva per uno dei massimi esponenti della via italiana al law and order.

 Intanto il  Sigismondo d’Oro accoglie un nome discusso e discutibile e la città di Rimini, con il suo sindaco Alberto Ravaioli si uniforma all’adagio generale che non considera i tossicodipendenti come persone portatrici di tutti i diritti ascrivibili a una persona, ma uomini e donne da dovere sottomettere per cercare di sostituire la volontà “purificatrice” muccioliana alla loro, in quello che si è già detto essere un DELIRIO DI ONNIPOTENZA teso a ripristinare la normalità (con una violenta e pervasiva forza moralizzatrice) in persone che, invece, versano in grave difficoltà esistenziale e, spesso, devono combattere, oltre che con se stesse anche con chi “vuole salvarle”.