Salvini fa il bis

Decreto Salvini bis: lotta e sottomissione nell’Italia odierna

13 / 5 / 2019

Più usuale che raro, è stato annunciato dal Ministro degli Interni un nuovo decreto.

Decreto di nome e di fatto, affinché si possa nuovamente utilizzare il deus ex machina dei canoni di urgenza e necessità, in barba ad ogni canone di ragionevolezza, violando qualsivoglia principio di democrazia, scavalcando, nuovamente, il potere legislativo.

È la ratio del racimolare il consenso, o per lo più, per spargere la vox del populismo di destra, ormai in cima alle Greatest hit in vista delle elezioni europee del 26 maggio 2019.

Come la legge 132 del 2018, anche la bozza del Decreto Bis ha una natura bicefala, da un lato l’immigrazione, per contrastare sbarchi, accoglienza e Signor Sindaci che aprono i porti, dall’altro il mantra che ogni sceriffo dall’animo del buon padre di famiglia preserva: la sicurezza.

Ad aprire le danze successive ai visti normativi ci sono i Ritenuti, ove si evidenzia «la straordinaria necessità e urgenza di prevedere misure volte a contrastare prassi elusive dei dispositivi che governano l’individuazione dei siti di destinazione delle persone soccorse in mare. Tenendo conto dei peculiari rischi per l’ordine e la sicurezza pubblica scaturenti dall’attuale contesto internazionale, al contempo valorizzando le attribuzioni stabilite dall’ordinamento in capo al Ministro dell’interno quale Autorità nazionale di pubblica sicurezza».

Fa riflettere l’utilizzo di una terminologia all’interno di questa narrazione dominante: si parla di fantomatiche “prassi elusive”, e per elusivo si intende, in italiano, la capacità di evitare, di sottrarsi a qualcosa con furbizia e abilità. Quanto è assurdo riferirsi col tenore di tali parole, alle operazioni di salvataggio e all’individuazioni dei porti sicuri in cui far approdare esseri umani?

Il decreto, in concreto, prevede che, se nello svolgimento di operazioni di soccorso in acque internazionali non si rispettano gli obblighi previsti dalle Convenzioni internazionali (riferendosi a navi gestite da Ong) le sanzioni previste saranno di due tipi: da 3.500 a 5.500 euro per ogni straniero trasportato e, nei casi reiterati, se la nave è battente bandiera italiana, la sospensione o la revoca della licenza da 1 a 12 mesi.

Potrebbe terminare qui, e invece, il Viminale, modificando il codice della Navigazione, scavalca il Ministero delle Infrastrutture, attribuendosi poteri che vanno ben oltre gli Interni, un’ultrattività indiscriminata, che dovrebbe più che far rabbuiare i pentastellati, falli insorgere, se non per una questione politica, per un atto di dignità personale.

Nel secondo Ritenuto, si ravvisa per il Ministro «la necessità e l’urgenza di rafforzare il coordinamento investigativo in materia di reati connessi all’immigrazione clandestina, implementando gli strumenti di contrasto a tale fenomeno».  Strumenti che secondo il decreto si ravvisano nel potenziamento degli agenti sotto copertura, stanziando, per tale e specifica causa, un bel milione di euro.

Spostandoci dall’altro lato del binario, la sicurezza, sovvengono delle modifiche normative di notevole importanza.

L’art. 5 effettua delle modifiche al Regio Decreto del 18 giugno 1931 n.773, che già di per sé, attraverso denominazione e data, fa comprendere il contesto sulla quale si colloca la direzione politica del "Capitano". Bello sapere che, una legge del 1931 sulla Pubblica Sicurezza oltre ad essere viva e vegeta è, ad oggi, rafforzato in peggio.

A tale normativa, denominata Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (in acronimo TULPS), all’articolo 18, rubricato “delle riunioni pubbliche e degli assembramenti in luoghi pubblici”, si aggiunge che, nel caso siano commessi i reati di cui agli articoli 635 (danneggiamento) e 419 (saccheggio e devastazione) del codice penale, durante una riunione in luogo pubblico o aperto al pubblico, di cui non è stato dato avviso, almeno tre giorni prima, al Questore, i contravventori sono puniti con la reclusione fino a un anno.

Il commento da farsi in ordine a questa modifica è duplice: in primis, il reato di danneggiamento semplice è stato degradato in illecito civile e dunque depenalizzato con il decreto legislativo  n. 7/2016, come si interpreterà questo corto circuito? Si può ripenalizzare un fatto tipico se e solo se inserito in un determinato contesto, quale quello di una manifestazione pubblica?

In secundis, non vi era alcun dubbio che prima o poi, il reato di Saccheggio e Devastazione, già caro ai protagonisti della criminalizzazione del movimento No Tav, ritornasse in auge, e questa volta nella forma più smagliante che mai.

L’art. 5 modifica anche l’art. 24 del TULPS, quest’ultimo descrive che, qualora le tre intimazioni (che devono essere precedute, attenzione, obbligatoriamente da uno squillo di tromba) i carabinieri REALI, ordinano il discioglimento della riunione. Il Decreto Bis di Salvini inserisce un comma, inasprendo, semmai pensavate fosse possibile, le pene previste nel 1931: «Nel caso di riunioni non preavvisate o autorizzate, la pena per i contravventori è della reclusione fino a un anno».

La creazione giuridica de quo, travalica il legislatore autoritario del regime fascista, dimenticando che, TULPS in vigore o meno, l’interprete è chiamato, obbligatoriamente, a sottoporre determinati fossili normativi al vaglio di costituzionalità.

Veniamo ora ad un’altra modifica normativa, l’art. 6 del Decreto Bis modifica la legge 22 maggio 1975, n. 152, che se rinominata “Legge Reale” sovviene subito alla mente. Questa legge nasceva con la ratio di combattere e reprimere duramente quanto accadde negli Anni di Piombo, leggi che fior fiori di penalisti hanno denominato “dell’emergenza”. Secondo la normativa Salviniana è punibile con la reclusione fino a due anni chi fa uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona in manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico.

Il Decreto bis aggiunge il 5 bis alla Legge Reale specificando che «chiunque nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico, per opporsi al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio, mentre compie un atto di ufficio o di servizio, o a coloro che richiesti gli prestano assistenza, utilizza scudi o altri oggetti di protezione passiva ovvero materiali imbrattanti o inquinanti, è punito con la reclusione da uno a tre anni».

È infelice, ma bisogna specificarlo: questa legge è scritta male in italiano e a livello normativo, non riescono a comprendersi bene le portate di talune frasi, quali ad esempio il riferimento all’ausilio di “coloro che richiesti gli prestano assistenza”. Volendo dunque specificare una sorta di “legittimità” per il privato cittadino che aiuti le forze di pubblica sicurezza.

Il diritto penale interviene nuovamente per sanzionare «chi lancia o utilizza illegittimamente, in modo da creare un concreto pericolo per l’incolumità delle persone o l’integrità delle cose, razzi bengala, fuochi artificiali, petardi, strumenti per l’emissione di fumo o di gas visibile o in grado di nebulizzare gas contenenti principi attivi urticanti, ovvero bastoni, mazze, oggetti contundenti o, comunque, atti a offendere» punendo tali fatti, equiparando incolumità fisiche e integrità di cose sullo stesso piano, con la reclusione da uno a addirittura 4 anni.

Il decreto sopprime la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto (D.Lgs. 16 marzo 2015, n. 28) in caso di reato di violenza, resistenza, minaccia e oltraggio commessi a danno di un pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni. Nient’altro che depotenziare un decreto legislativo che tanto sta facendo, ed ha fatto, per incrociare l’intento deflattivo del legislatore.

Ma come si è arrivati a tutto questo?

Molto sembra approdare direttamente dalla mente del Ministro degli Interni, specie se da oltre un mese è in giro per l’Italia in campagna elettorale ed è contrastato da movimenti sociali e agglomerazioni di cittadini provenienti dalla società civile. Eppure questa creazione normativa non è nient’altro che la messa in opera, per scomodare Foucault, all’interno di questa pseudo-pace travagliata da una guerra continua, di un rapporto di forza perpetuo.

Siamo di fronte ad un binomio che esula dal richiamato Immigrazione e Sicurezza, la sfida, ad oggi, è quella tra lotta e sottomissione.