A leggere i titoli dei comunicati stampa
del governo diramati nel corso dell’estate sembrava prospettarsi un
orizzonte di liberazione dal lavoro nero ed un futuro roseo per i
migranti irregolari in questo paese.
Il recepimento della direttiva 52, la cosiddetta direttiva "sanzioni",
che oltre all’inasprimento delle pene per gli sfruttatori prevede anche
la possibilità di rilascio di un permesso di soggiorno ai lavoratori
sfruttati, sembrava far luce su una legge, la Bossi Fini, tra le cui
righe sono nascosti i segreti del successo di caporali e sfruttatori.
Lo stesso decreto di recepimento (il n. 109) si è spinto addirittura
oltre con quel "ravvedimento oneroso" che ha fatto sperare molti: una
sanatoria.
Le regolarizzazioni non sono certo una novità, piuttosto
si tratta di una necessità struttrale per una legge che produce
irregolarità. Una pentola a pressione capace di esplodere in ogni
momento che di tanto in tanto deve trovare una valvola di sfogo. Così,
dal 1998, anno di entrata in vigore della Turco Napolitano, di sanatorie
se ne sono susseguite ben quattro, una ogni quattro anni e mezzo.
I dati di questi giorni però, con poco più di 15 mila domande inviate dopo circa una settimana dall'inizio della procedura, offrono una finestra su una realtà in profonda trasformazione e contemporaneamente gettano ombre sullo stesso decreto di recepimento della direttiva europea.
In fondo già ad un prima lettura, il deceto 109
del governo stonava rispetto ai roboanti annunci dell’estate, viziato
dal peccato originale che ancora una volta ripropone un provvedimento
inapplicabile alla realtà.
Se infatti quella legge ha dedicato un ampio spazio alle sanzioni nei
confronti dei datori di lavoro rei di impiegare (in alcune situazioni)
lavoratori migranti irregolari, gli stessi meccanismi previsti
impallidiscono di fronte all’assenza di garanzie nei confronti del
lavoratore sfruttato. Così, la possibilità di vedersi riconosciuto un
titolo di soggiorno, unica leva in grado di spingere i lavoratori a
denunciare, è riconosciuto solo in caso di grave sfruttamento,
organizzato e realizzato attraverso minaccia e violenza.
E’ proprio con l’entrata in vigore di questo provvedimento che il Governo ha ritenuto opportuno inserire una norma transitoria che permettesse ai datori di lavoro di regolarizzare la loro posizione facendo emergere i rapporti di lavoro sommersi e sospendendo gli effetti delle nuove disposizioni in attesa che si concludano le procedure di regolarizzazione: azzeriamo tutto, facciamo emergere gli irregolari e poi applichiamo il pugno di ferro a chi li sfrutta.
La realtà di questi giorni ci prospetta però un destino ben diverso.
Nessuna possibilità di emersione per i migranti impiegati non a tempo piento
con la sola deroga del lavoro domestico, costi proibitivi sostenuti
nella stragrande maggioranza dei casi dai lavoratori stessi (invece che
dai datori di lavoro), requisiti di reddito ben al di sopra della media
dei redditi, in continua discesa in questo paese, stanno azzerando la
possibilità di uscire dall’irregolarità per migliaia di persone.
Da un lato insomma il governo propone una "finestra" temporale utile ad uscire dall’irregolarità con condizioni restrittive e rigorose, dall’altro il progressivo impoverimento della società spinge verso il basso i redditi, costringe migliaia di persone a perdere il permesso di soggiorno per mancanza di lavoro o a passare lunghi tempi di inerzia lavorativa alternati a momenti di lavoro retribuito (poco) saltuari e precari.
A fronte di un mercato del lavoro che sempre più impone la
scomposizione dell’orario di lavoro e la necessità di intraprendere più
attività lavorative per procurarsi un reddito (per chi è senza permesso
in particolare), la decisione di permettere l’emersione dei soli
lavoratori a tempo pieno suona come il paradosso più evidente.
Non spariranno mai, con buona pace del governo tecnico, quei migliaia
di migranti impiegati a chiamata o per lavori saltuari e discontinui,
che si procurano da vivere facendo crescere i guadagni di caporali più o
meno schiavisti, rimarranno qui, ancora in balia dei tanti caporalii,
ancora invisibili, ancora costretti all’ombra della clandestinità.
Per loro il decreto 109 non riserva alcuna speranza, nessuna opzione
di vita, nessuna possibilità di denuncia. Un unico solo destino:
sfruttamento e compressione dei diritti.
Neppure le mille strategie di aggiramento della norma sembrano essere
sufficienti: sono rari i conoscenti che rispondono alle condizioni
previste e che possono aiutare amici e parenti ad uscire dal buio.
Intanto salgono invece le quotazioni di faccendieri e truffatori a cui
questo provvedimento, con i suoi requisiti inarrivabili, ha offerto uno
spazio di mercatato senza precedenti. I datori di lavoro con requisiti
idonei si possono vendere a prezzo d’oro, anche senza la garanzia che il
giochetto vada buon fine (come nel 2009).
Niente male per una legge che si propone di contrastare lo sfruttamento dei migranti irregolari.
Nicola Grigion