Sanatoria per pochi, sfruttamento per molti

16.497 domande inviate al 20.09, solo 1.786 da parte delle aziende. Altro che emersione del lavoro nero!

19 / 9 / 2012

A leggere i titoli dei comunicati stampa del governo diramati nel corso dell’estate sembrava prospettarsi un orizzonte di liberazione dal lavoro nero ed un futuro roseo per i migranti irregolari in questo paese.
Il recepimento della direttiva 52, la cosiddetta direttiva "sanzioni", che oltre all’inasprimento delle pene per gli sfruttatori prevede anche la possibilità di rilascio di un permesso di soggiorno ai lavoratori sfruttati, sembrava far luce su una legge, la Bossi Fini, tra le cui righe sono nascosti i segreti del successo di caporali e sfruttatori.

Lo stesso decreto di recepimento (il n. 109) si è spinto addirittura oltre con quel "ravvedimento oneroso" che ha fatto sperare molti: una sanatoria.
Le regolarizzazioni non sono certo una novità, piuttosto si tratta di una necessità struttrale per una legge che produce irregolarità. Una pentola a pressione capace di esplodere in ogni momento che di tanto in tanto deve trovare una valvola di sfogo. Così, dal 1998, anno di entrata in vigore della Turco Napolitano, di sanatorie se ne sono susseguite ben quattro, una ogni quattro anni e mezzo.

I dati di questi giorni però, con poco più di 15 mila domande inviate dopo circa una settimana dall'inizio della procedura, offrono una finestra su una realtà in profonda trasformazione e contemporaneamente gettano ombre sullo stesso decreto di recepimento della direttiva europea.

In fondo già ad un prima lettura, il deceto 109 del governo stonava rispetto ai roboanti annunci dell’estate, viziato dal peccato originale che ancora una volta ripropone un provvedimento inapplicabile alla realtà.
Se infatti quella legge ha dedicato un ampio spazio alle sanzioni nei confronti dei datori di lavoro rei di impiegare (in alcune situazioni) lavoratori migranti irregolari, gli stessi meccanismi previsti impallidiscono di fronte all’assenza di garanzie nei confronti del lavoratore sfruttato. Così, la possibilità di vedersi riconosciuto un titolo di soggiorno, unica leva in grado di spingere i lavoratori a denunciare, è riconosciuto solo in caso di grave sfruttamento, organizzato e realizzato attraverso minaccia e violenza.

E’ proprio con l’entrata in vigore di questo provvedimento che il Governo ha ritenuto opportuno inserire una norma transitoria che permettesse ai datori di lavoro di regolarizzare la loro posizione facendo emergere i rapporti di lavoro sommersi e sospendendo gli effetti delle nuove disposizioni in attesa che si concludano le procedure di regolarizzazione: azzeriamo tutto, facciamo emergere gli irregolari e poi applichiamo il pugno di ferro a chi li sfrutta.

La realtà di questi giorni ci prospetta però un destino ben diverso.
Nessuna possibilità di emersione per i migranti impiegati non a tempo piento con la sola deroga del lavoro domestico, costi proibitivi sostenuti nella stragrande maggioranza dei casi dai lavoratori stessi (invece che dai datori di lavoro), requisiti di reddito ben al di sopra della media dei redditi, in continua discesa in questo paese, stanno azzerando la possibilità di uscire dall’irregolarità per migliaia di persone.

Da un lato insomma il governo propone una "finestra" temporale utile ad uscire dall’irregolarità con condizioni restrittive e rigorose, dall’altro il progressivo impoverimento della società spinge verso il basso i redditi, costringe migliaia di persone a perdere il permesso di soggiorno per mancanza di lavoro o a passare lunghi tempi di inerzia lavorativa alternati a momenti di lavoro retribuito (poco) saltuari e precari.

A fronte di un mercato del lavoro che sempre più impone la scomposizione dell’orario di lavoro e la necessità di intraprendere più attività lavorative per procurarsi un reddito (per chi è senza permesso in particolare), la decisione di permettere l’emersione dei soli lavoratori a tempo pieno suona come il paradosso più evidente.
Non spariranno mai, con buona pace del governo tecnico, quei migliaia di migranti impiegati a chiamata o per lavori saltuari e discontinui, che si procurano da vivere facendo crescere i guadagni di caporali più o meno schiavisti, rimarranno qui, ancora in balia dei tanti caporalii, ancora invisibili, ancora costretti all’ombra della clandestinità.

Per loro il decreto 109 non riserva alcuna speranza, nessuna opzione di vita, nessuna possibilità di denuncia. Un unico solo destino: sfruttamento e compressione dei diritti. Neppure le mille strategie di aggiramento della norma sembrano essere sufficienti: sono rari i conoscenti che rispondono alle condizioni previste e che possono aiutare amici e parenti ad uscire dal buio.
Intanto salgono invece le quotazioni di faccendieri e truffatori a cui questo provvedimento, con i suoi requisiti inarrivabili, ha offerto uno spazio di mercatato senza precedenti. I datori di lavoro con requisiti idonei si possono vendere a prezzo d’oro, anche senza la garanzia che il giochetto vada buon fine (come nel 2009).

Niente male per una legge che si propone di contrastare lo sfruttamento dei migranti irregolari.

Nicola Grigion

- Speciale sanatoria 2012