Diario da Lampedusa

Sarebbe questa la civiltà della democrazia?

30 / 3 / 2011

Dopo essere stata per anni, e in maniera esponenzialmente più significativa in questi giorni, il palcoscenico su cui rappresentare le “emergenze invasioni”, le “ondate di clandestini”, gli “esodi bilblici”, la piccola isola siciliana è stata oggi stravolta dalla macchina del consenso berlusconiano.

Striscioni inneggianti a Silvio attaccati meticolosamente in più punti del paese e curiosamente scritti tutti con la stessa sfumatura di blu e la medesima grafia; tentativi di pulizia delle spiagge; militarizzazione della zona antistante al municipio, luogo del comizio, e interdizione completa di quest'area a tutti i migranti; una claque di provocatori pronta a menare le mani per evitare che qualcuno potesse esprimere il proprio dissenso; assoluto oscuramento della scelta di gran parte dei cittadini di Lampedusa di disertare il Silvio-show; sono questi alcuni degli elementi che hanno composto il quadro complessivo della visita del presidente, e che per la maggior parte sono “sfuggiti” all'occhio sempre vigile delle telecamere.

Mentre lo spettacolo si svolgeva nel centro di Lampedusa, nel resto dell'isola andava avanti l'ordinaria straordinarietà degli eventi che si stanno susseguendo in queste ore. Al porto riprendevano gli sbarchi e nel frattempo i migranti giunti nei giorni scorsi continuavano ad aspettare godot. Ancora attese di ore sotto il sole, spintoni per non perdere la precedenza faticosamente acquisita, divisioni in gruppi, trasferimenti al C.I.E. e ancora identificazioni. Sperano di andare in Italia, ma iniziano ad avere dubbi su quella che potrà essere la loro sorte reale. Cominciano ad arrivare voci da Tunisi su amici e parenti rimpatriati, e così la tensione e la paura aumentano.

Quando incontriamo Kadli sulla banchina del porto, Berlusconi ha appena finito di parlare. L'amaro in bocca è ancora molto forte e le parole che pronuncia in inglese non fanno che accrescerlo. Ci chiede perchè la polizia non gli ha permesso di ascoltare il discorso del presidente del consiglio, perchè i suoi amici lampedusani sono passati e lui è stato bloccato. Ci dice che questa non è democrazia e che Berlusconi si comporta come Ben Alì. È difficile non dargli ragione e ancora più difficile è provare a ripondergli quando ci chiede se le navi lo porteranno in Italia o lo rimpatrieranno. Sostiene di non poter tornare a Tunisi, che la polizia, scappata durante la rivoluzione, è tornata in molte città e perseguita chi si è ribellato.

Ma le storie individuali, i rischi dei singoli, i problemi particolari non contano mai nelle situazioni di “emergenza”. È questa parola che trasforma radicalmente le prassi e i discorsi della gestione ordinaria delle situazioni difficili. Si impone una gestione indiscriminata, e perciò discriminante, delle persone, senza nessuna importanza per la complessità dei percorsi singolari che hanno portato alla scelta di emigrare. Pacchi, numeri, cose da spostare tra un'isola e una penisola o tra un continente e l'altro, questo sono oggi i migranti arrivati a Lampedusa.

Durante il suo discorso, a un certo punto, Berlusconi ha detto: “l'isola è diventata il punto di frontiera tra civiltà senza democrazia, senza libertà, senza benessere e la civiltà occidentale, europea che invece gode della libertà, della democrazia e del benessere”.

Sarebbe quella che stiamo vedendo in questi giorni quaggiù la civiltà della democrazia e del benessere? O forse le garanzie e le tutele che questa presunta civiltà garantirebbe non si assegnano secondo una discriminante geografica, ma solo in base al paese di provenienza o all'eventuale possesso di un permesso che conceda il diritto ad avere diritti?

* Presidio Welcome sull’isola di Lampedusa

Pubblicato su Il Manifesto il 31.03.11

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