Saviano libero. Appunti sulla contraddizione Mondadori

Riproponiamo l'intervento di Wu Ming pubblicato su Giap lo scorso aprile, e che, anche per gli stessi autori, molto attiene alla discussione aperta dall'affaire Mondadori; elemento centrale rimane il ruolo politico e sociale dello scrittore.

26 / 8 / 2010

Ricapitoliamo: Berlusconi attacca Gomorra. Lo aveva già fatto, ma stavolta è più esplicito.
Saviano giustamente fa notare che Berlusconi è proprietario della casa editrice che pubblica il libro, e chiama in causa quest’ultima: “Si esprimano i dirigenti, i direttori, i capi-collana”.
Si esprime invece MarinaBerlusconi, più in veste di figlia che di editrice.
Saviano commenta la lettera di Marina senza abbozzare, senza toni concilianti, anzi, chiamando in causa la Mondadori con maggiore perentorietà. Il messaggio è: “Voglio sentire chi in casa editrice ci sta per davvero, voglio sentire chi la Mondadori la manda avanti”.

La contraddizione si acuisce. Da autore Mondadori e autore di Gomorra, Saviano occupa una postazione strategica, e più di altri può chiamare al pettine certi nodi, nodi che riguardano anche noi.
Far venire i nodi al pettine è tanto un dovere civico e politico, quanto un compito specifico dello scrittore.

Pubblicando con Mondadori, Saviano ha generato conflitto. Conflitto non effimero, ma che opera in profondità. Comunque vada, è più di quanto abbia fatto l’opposizione.
Se Saviano fosse rimasto in una nicchia di ugual-pensanti, nel ghetto dei presunti “buoni”, non avrebbe acuito nessuna contraddizione, né generato alcun conflitto.

Stare simultaneamente “dentro” e “contro”, diceva l’operaismo degli anni Sessanta. “Dentro e contro” era la posizione, era dove piazzare il detonatore.

Sia chiaro: l’alternativa non è mai stata “fuori e contro”. L’alternativa è sempre stata “dentro senza rompere i coglioni”, oppure “dentro senza assumersene la responsabilità”. Dentro fingendo di star fuori, insomma. Come tanti, come troppi.
Un “fuori dal sistema” non esiste. Il sistema è il capitalismo, ed è ovunque, nel micro e nel macro, nei rapporti sociali e nelle coscienze, nelle giungle e in cima all’Everest. Noi abbiamo sempre detto – e ancora diciamo – che tutti quelli che combattono “il sistema” lo fanno dall’interno, dato che l’esterno non c’è. Il potere non è fuori da noi, è un reticolo di relazioni che ci avvolge, un processo a cui prendiamo parte, Ma ovunque vi sia un rapporto di potere, là è anche possibile una resistenza.

Sei anni fa WM1 spiegò, per l’ennesima volta, la nostra posizione sul “pubblicare con Einaudi”. Lo fece per filo e per segno su Carmilla. Lo fece perché è sempre stato nostro costume – e ancora lo è – rendere conto pubblicamente delle nostre scelte, soprattutto se ci viene richiesto dai lettori.
Tra le altre cose WM1 scriveva: Negli ultimi anni, le polemiche “boicottomaniache” hanno rischiato di fare il gioco degli yes men, dei leccaculo: chi chiede agli autori di sinistra di “andarsene da Mondadori” non capisce che così facendo il loro posto nella casa editrice e nell’immaginario collettivo (una posizione a dir poco strategica) sarebbe preso da autori e manager di destra (i quali non vedono l’ora), con piena libertà di spargere la loro merda incontrastati.

Queste frasi risalgono a due anni prima dell’uscita di Gomorra. Sono cose che, in seguito, lo stesso Saviano ha dichiarato in più occasioni, e diversi altri autori hanno ribadito, anche di recente.
Da anni difendiamo questa postazione avanzata e scomodissima, esposti sia agli attacchi della destra sia a continue raffiche di “fuoco amico”.

La nostra posizione sul pubblicare con Einaudi è  identica dal principio, è la stessa dichiarata in quel vecchio testo e ancora prima. Non siamo noi il corpo estraneo alla tradizione e al catalogo Einaudi, come non siamo noi ad avere corrotto Tizio o Caio, ergo non siamo noi che dobbiamo levare le tende.

Mettiamola così: se qualcuno vuole trafugarmi o usurpare qualcosa, io non rinuncio fin da subito, non gli lascio tutto in mano e tanti saluti. Io cerco di lottare, di resistere. Se poi il rapporto di forza è schiacciante, prenderò un fracco di botte, ma almeno avrò tentato. E’ meglio prenderle dimenandosi che prenderle stando fermi.

In quelle note del 2004, WM1 descriveva un berlusconismo in forte crisi. I sintomi c’erano tutti, ma quell’analisi – sei anni dopo possiamo dirlo – li sopravvalutava. Eppure…
Eppure sei anni fa la partita non era persa. Il berlusconismo arrancava, non sfondava, il logoramento era evidente. Non tutti i pozzi erano avvelenati. L’elenco di passi falsi, sconfitte e defaillances non ce l’eravamo sognato noi, erano tutte cose appena accadute. L’anno prima tre milioni di persone avevano marciato a Roma contro la guerra in Iraq. Due anni dopo, la “devolution” (la più grande scommessa del berlusco-leghismo, un’impresa storica di de-costituzionalizzazione del Paese) sarebbe stata bloccata dal voto referendario. Non sono falsi ricordi. C’era ancora un blocco sociale, una “forza storica” che si opponeva e impediva al berlusconismo di sfondare.
Quella forza storica, però, da sola non bastava. Ed è stata boicottata, sabotata, massacrata prima dalla “opposizione” che dal governo. E inoltre ha commesso degli errori, continuando ad affidarsi a certi rappresentanti.

Quel che è successo dopo lo sappiamo. Oggi tutto è più difficile, ma per noi la sfida, la sfida politica, è ancora “resistere un minuto più del padrone”. L’Einaudi è un campo di battaglia importante, e finché avremo munizioni e fiato continueremo a combatterci sopra. Ce ne andremo solo se e quando, presto o tardi, le condizioni si faranno intollerabili.

E’ la strategia sbagliata? Tutto può essere. Ma è quella che abbiamo scelto e di cui rendiamo conto da sempre. Noi possiamo fare errori, scazzare previsioni, fare passi falsi, ma agiamo sempre con coscienza, prendendoci le nostre responsabilità, sottoponendoci al pubblico scrutinio, facendo autocritica.

Dopodiché, le scelte di ciascuno verranno giudicate sul lungo periodo, commisurate ai risultati ottenuti sul campo, alla traccia lasciata, al contributo dato alla sopravvivenza di un barlume di senso nella propria e altrui vita.

Qualche parola su Saviano.
Al di là di alcune mosse e prese di posizione stridenti e da noi non condivise, abbiamo sempre difeso e continueremo a difendere Saviano dagli attacchi stupidi o interessati. Saviano è un collega, un amico, un compagno di strada. Per questo gli abbiamo sempre detto le cose fuori dai denti, e abbiamo segnalato quali rischi gli facesse correre la sua trasformazione in comodo simbolo, vessillo rassicurante e buono per tutti i frangenti, abito d’indignazione prêt-à-porter.

Tra le altre cose,nel 2009 scrivemmo: …”Saviano è tutti noi”. Vada avanti lui ché ci rappresenta così bene. Soffra lui per conto nostro, è il destino che si è scelto. Bel ragazzo, tra l’altro. Saviano è l’uomo più strumentalizzato d’Italia [...] La voce di Saviano è rimasta invischiata tra scelte fatte più in alto, politiche d’immagine e “stato delle cose” realpolitiko: Saviano con Shimon Peres con Donnie Brasco con Salman Rushdie con Veltroni, Saviano alla scuola di formazione del PD nel Mezzogiorno e così via.
Dev’essere ben chiaro che Saviano non può comportarsi in altra maniera: ha davvero bisogno di questa ossessionante presenza pubblica, di questo
over–statement di solidarietà anche pelosa, perché gli garantisce incolumità. Il paradosso è che, dietro il cordone sanitario, lo scrittore svanisce e resta solo il testimonial [...] Saviano dovrà lottare con le unghie e con i denti per ri–conquistarsi come scrittore.

Da qualche settimana, sui giornali e in rete, circola una pubblicità,(l'immagine di una folla di gente tutta con il volto di Saviano,ndr), un’immagine che abbiamo fin da subito trovato molto vera e perciò raggelante, perfetta rappresentazione del dispositivo che ri-produce Saviano come soggetto non libero.

Dal 2006, per continuare a vivere, Saviano ha dovuto agire perché non calasse l’attenzione: gli è toccato  essere sempre visibile, essere una presenza costante nella sfera pubblica. In ogni momento, il forte rischio era che questo sovra-apparire lo inflazionasse, gli facesse perdere potenza.

Di fronte a un calo di potenza, la tentazione è di rispondere “aumentando la dose”, per ottenere un effetto in un’opinione pubblica sempre più assuefatta e “tollerante”. Solo che, aumentando la dose, il problema si ripropone a un livello più alto e quindi più impegnativo, meno gestibile.
Questo è il dilemma, e Saviano ne è sempre stato conscio: non è un caso che abbia spesso tentato di scartare, che sia sempre tornato a insistere sulla “scrittura”, sullo scrittore. Era il suo modo di fare resistenza, di non far chiudere il dispositivo, di non farsi legare definitivamente.

Bene, può darsi che Saviano abbia trovato lo spiraglio. Può darsi che l’acuirsi della contraddizione-Mondadori gli stia fornendo un inedito spazio di espressione non pre-ordinata. Forse il dispositivo è entrato in una crisi almeno passeggera, perché sotto i nostri occhi Saviano “è diventato quel che è”. Mai come ora, mai in modo tanto eclatante, Saviano è stato quello che vediamo nella risposta a Marina Berlusconi: un uomo libero. Anche nella reclusione che sconta, un uomo libero. Comunque vada a finire con Mondadori, comunque vada a finire in generale, in questo momento Saviano è libero.