Il referendum di Mirafiori è stato un esempio importante di resistenza
operaia a un diktat imposto in nome della globalizzazione. Lo sciopero
di oggi, indetto dalla Fiom sarà una prima, difficile, verifica di un
confronto che investe ormai tutto il paese. L'elaborazione a cui il
seminario di Uniticontrolacrisi ha dato inizio vuole essere sia
un contributo alla definizione di una alternativa concreta alle
imposizioni di una competitività globale e senza sbocco che sta portando
il mondo verso il baratro, sia l'inizio di un collegamento operativo
tra le principali componenti che hanno dato vita all'incontro: la Fiom,
in rappresentanza del mondo del lavoro che resiste e rivendica
salvaguardia e sviluppo dei diritti del lavoro; il movimento di studenti
e ricercatori, che oggi è la parte più organizzata di un esercito di
precari o di giovani a cui è stato rubato il futuro, ma che racchiude
tutte le potenzialità di un collegamento tra quella resistenza e il
mondo dei saperi tecnici, scientifici e sociali; i centri sociali, in
rappresentanza dell'universo di coloro che precari lo sono già e che su
questo hanno creato forme autonome di aggregazione sul territorio. Di
qui nasce il dibattito su beni comuni e riconversione del sistema
produttivo e dei modelli di consumo.
L'aggressione alle condizioni e
ai diritti dei lavoratori della Fiat e delle maestranze di molte altre
aziende è il modo in cui vengono fatti pagare al mondo del lavoro i
costi della crisi, i vincoli della globalizzazione e della sua
competizione sfrenata; nel caso specifico, quella dell'industria
automobilistica. Perciò anche la risposta - la difesa a oltranza dei
diritti e la tutela della salute e della vivibilità degli ambienti di
lavoro - non può essere disgiunta dalla ricerca di modelli di consumo e
da un'organizzazione della produzione alternativi a quelli attuali - nel
caso dell'industria dell'auto, da modelli di mobilità sostenibile - non
più fondati su una competizione che intende arruolare le maestranze di
un'azienda in una guerra permanente, e sempre perdente, contro quelle di
tutte le altre aziende; bensì su rapporti di cooperazione in cui che
cosa, come, dove e per chi produrre possano essere scelte condivise.
La
ricerca di questa alternativa deve misurarsi però con la crisi
ambientale e con i rischi imposti dall'attuale sistema di produzione e
consumo: cosa che nei governi, nell'imprenditoria o nella finanza, sia
nazionali che globali, non trova alcun ascolto.
Molti dei beni e
degli stili di vita - sia di chi vi ha accesso che di chi soltanto vi
aspira - come molte delle attuali produzioni dovranno prima o poi essere
dismesse; meglio farlo prima, in forma graduale e concertata, che poi,
in forme improvvise, catastrofiche, e sotto l'incalzare della crisi
economica e di quella ambientale. Non si deve temere di individuare,
ovviamente attraverso il più ampio dibattito, i consumi e le produzioni
insostenibili; né di dirlo apertamente, anche quando ciò sembra mettere
in discussione la temporanea collocazione e la provvisoria sicurezza di
chi è impegnato in quelle produzioni o di chi considera irrinunciabili
quei consumi. Il problema è coinvolgere questi soggetti in un percorso
concreto e condiviso verso condizioni, lavori e stili di vita più liberi
e sicuri. Viceversa, per sostituire alla devastazione dell'ambiente,
della convivenza e della salute pratiche più sostenibili dovranno essere
promosse e incentivate altre forme di consumo, altre scelte produttive,
altre modalità di cooperazione: sia all'interno di uno stesso impianto
che tra aziende, enti o territori diversi. Non si tratta di fantasie;
sono già oggi oggetto di pratiche, sperimentazioni, ricerche cui non
viene data la visibilità dovuta.
L'intensificazione dello
sfruttamento e la compressione dei diritti dei lavoratori, sia alla Fiat
che in altre aziende grandi, medie o piccole, avvicina la condizione
dei lavoratori a tempo indeterminato - i cosiddetti "garantiti" -
all'esercito dei precari e dei giovani a cui né scuola né mondo del
lavoro offrono più un futuro. La ricerca di una via di uscita è ormai un
obiettivo e un compito comune. Si aggiunga che per trent'anni il
"pensiero unico" che ha guidato e giustificato una globalizzazione
predatoria e autoritaria ha potuto colonizzare le menti di milioni e
forse miliardi di persone sulla base dell'assunto che a governare sia il
mondo che l'esistenza di ciascuno devono essere gli interessi privati.
Perché privato vuol dire efficiente e ciò che non è privato non può che
essere statale e inefficiente: sottratto al "libero" gioco di un mercato
ormai controllato da poche centrali della finanza internazionale, per
essere predato dalle burocrazie o dalle cosche degli Stati. Promotori e
artefici della conversione ambientale devono lasciarsi dietro le spalle
la falsa alternativa tra privato e statale, imboccando il percorso
difficile e graduale - perché fondato su una sperimentazione continua -
verso la condivisione dei beni comuni; beni e attività da sottrarre al
controllo sia degli interessi privati che delle diverse articolazioni
del potere statale, per promuoverne la gestione in forme trasparenti di
autogoverno.
Gli ambiti a cui fa riferimento questa prospettiva sono
due: il primo è costituito da esperienze di lotta e organizzazione già
in corso, con obiettivi chiari e definiti - anche se suscettibili di
continui approfondimenti e ampliamenti - e che hanno accumulato grandi
patrimoni di buone pratiche, di legami sociali, di saperi pratici e
teorici, come le lotta della Val di Susa, il comitato No Dal Molin, la
campagna contro la privatizzazione dei servizi idrici, le mobilitazioni
dei pendolari, molte lotte contro gestioni o progetti scellerati nel
campo dei rifiuti, molte iniziative per il controllo di scuole, nidi,
attività culturali, servizi sanitari. Ma anche molte esperienze
"molecolari" come quella dei Gas, gruppi di acquisto solidale,
suscettibili di un'enorme espansione sia numerica - già in corso - che
tematica: sono infiniti gli acquisti solidali che possono essere
gestiti, a partire da quelli energetico.
Il secondo ambito è dato da
quei movimenti che si impongono sulla scena sociale con la loro urgenza,
anche se la formulazione di obiettivi e strategie, quand'anche
circostanziata, è lungi dall'aver esaurito le loro potenzialità:
innanzitutto la resistenza dei lavoratori della Fiat e le lotte di tutte
le aziende in crisi o sottoposte a processi di ridimensionamento,
ristrutturazione o delocalizzazione; poi il movimento degli studenti,
dei ricercatori e di quei docenti che hanno solidarizzato con loro;
infine le prime, embrionali, mobilitazioni dei lavoratori migranti e le
iniziative di coloro che promuovono per loro accoglienza e sostegno.
Lungo il percorso di cui lo sciopero di oggi costituisce una prima importantissima tappa, non solo i soggetti che fanno capo a Uniticontrolacrisi,
ma tutti coloro che avvertono l'urgenza di difendere, insieme ai
diritti del lavoro, i cardini della vita democratica e la necessità di
politiche orientate alla sostenibilità, possono riconoscersi in
un'agenda comune. I suoi punti cardine sono l'aggregazione di soggetti e
componenti diverse, con storie e culture differenti, con obiettivi e
prospettive per ora scollegate; lo sviluppo congiunto di progetti
condivisi: dagli ambiti più semplici, ma irrinunciabili, quali
informazione e sensibilizzazione delle persone e delle reti che ciascuno
è in grado di raggiungere, a quelli più complessi, quali la messa a
punto di rivendicazioni, di nuove pratiche, o di iniziative di
autorganizzazione sul modello dei Gas e dei centri sociali.
Fondamentale
in questa congiuntura sociale è la combinazione delle pratiche di lotta
o di autorganizzazione con i saperi che il movimento universitario, il
mondo della ricerca e quello della cultura possono mobilitare e mettere a
disposizione degli altri movimenti, in modo che il tema della
conversione ambientale diventi il centro di un nuovo sentire,
contrapposto al "pensiero unico" e in grado di sgomberare il campo dai
residui con cui, in misura maggiore o minore, esso continua a intasare
le menti di ciascuno di noi. Ma, soprattutto, in modo da promuovere,
partendo dall'università, una vera riforma dei saperi: che investa non
solo l'organizzazione del mondo accademico, l'entità e le fonti del suo
finanziamento, ma soprattutto i contenuti della cultura che in esso si
elabora e si trasmette. Questo nuovo rapporto tra lotte, movimenti e
saperi potrà dare forma, in ogni ambito territoriale o settoriale
raggiungibile, a istituti di consolidamento e di autogestione delle
nuove aggregazioni; cioè a embrionali organi di autogoverno dei beni
comuni.
Sciopero, atto primo
28 / 1 / 2011