Screwing Berlusconi

13 / 6 / 2011

Vi ricordate la copertina di The Economist, Berlusconi che ha fottuto un intero paese, The man who screwed an entire country, beh, adesso a essere fottuto da un intero paese è lui e tutta la sua senile corte, in testa quell’imbecille oracolare di Bossi, talmente imbecille da sputtanarsi con un invito al non voto proprio quando i suoi seguaci leghisti erano già accorsi a frotte a votare. Al mare, al mare! Ma –sospettiamo– non tanto a Portofino o in Costa Smeralda, quanto a Hammamet, sempre che i nuovi governanti tunisini non applichino la reciprocità delle espulsioni e non ci rimandino il Papi a Lampedusa.

Come ci siamo arrivati e cosa ci aspetta?

Ci siamo arrivati in un modo strano alla liquidazione del centro-destra: non con un ricambio interno o una soluzione centrista, come la debolezza dell’opposizione lasciava pensare, piuttosto con una ribellione extra-partitica, non esente neppure da sfumature populiste e antipolitiche (vedi il Veneto leghista più ancora che Napoli). La spinta dei movimenti (dal 14 dicembre di studenti e precari alle donne indignate, dalle coalizioni eterogenee sull’acqua pubblica agli operai Fiom) è stata decisiva per trascinare i partiti di opposizione riluttanti prima a una battaglia comunale su candidati non graditi poi al voto referendario –in parole povere, hanno costretto Repubblica (e i Fazio, Santoro, ecc.) a passare dal silenzio alla grancassa, e quello è l’unico partito realmente esistente. Decisivo (si confronti con il referendum sulla fecondazione assistita) è stato l’indignato impegno di base cattolico, non contrastato dalle gerarchie che hanno scelto questa strada per congedarsi senza chiasso dall’impresentabile Berlusconi. Per paradosso la vittoria referendaria è, a pari titolo, frutto dei centri sociali e delle parrocchie, delle femmine indecorose e delle suore di clausura, degli artisti e dei missionari. I partiti si sono eclissati, Cisl e Uil sono affondate, la Cgil ha fatto la sua parte con moderazione e senza fretta, ma l’ha fatta. Udc e Fli si sono dimostrati irrilevanti (e con essi la volpe ex-Tavoliere e ora di Macerata, D’Alema). Questo è il vero quadro di novità uscito dal 12-13 giugno e che condizionerà i prossimi cicli di lotta.

Casa ci aspetta? Una finanziaria lacrime e sangue e una crisi della maggioranza e del governo. Più esattamente: una crisi intorno alla gestione di una botta da 40 miliardi, mal coperta da inverosimili promesse di alleggerimenti fiscali. Una gestione il cui appalto è ambito anche dal centro-sinistra, che già si affanna a trovare dove si taglia e dove si fa soffrire. Già Tito Boeri invoca sadicamente di anticipare con congrue riduzioni di spesa il pareggio di bilancio previsto per il 2014 e suggerisce le pensioni come target, esorcizzando qualsiasi tentazione a “sbilanciarsi”. Tremonti, dal canto suo, rifiuta l’assist a Berlusconi e non sembra neppure propenso a uno scambio secco Irpef-Iva (l’inflazione fa problema), soprattutto non vuole cavare le castagne dal fuoco per un altro candidato premier. La Lega propone di tassare banche e rendite, ma non ha il coraggio di sfidare la finanza. Il ritiro dalla Libia è una palese provocazione, per gettare il Premier nel più nero sconforto. Certo, si è resa conto che le chiacchiere sul federalismo e i trasferimenti di dipartimenti ministeriali non fanno né caldo né freddo al suo elettorato, che vuole tagli alle tasse e incentivi alle imprese (bella contraddizione). Tutti (tranne gli industriali) vorrebbero poi stabilizzare un po’ di precari e offrire prospettive decenti ai giovani, ma a spese della contrattazione nazionale e delle garanzie universali acquisite. Trovare la quadra fra Pdl, Lega, Tremonti e Confindustria sarà molto difficile senza passare per una campagna elettorale anticipata, che con l’aria che tira non si preannuncia troppo favorevole.

Ma questi sono discorsi per domani. Oggi è l’ora di festeggiare. Nunc est bibendum, nunc pede libero pulsanda tellus. ­Qualcuno, per favore, lo traduca a quella capra della Gelmini. 

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