Gheddafi trema insieme ai Raìs del Maghreb e del bacino orientale.
In giornata le fiamme sul Palazzo del Governo, il simbolo di un’era e
del controllo militare e politico sui migranti nel Mediterraneo.
E la Libia, le piazze della Grande Repubblica (Jamāhīriyya) Araba di
Libia Popolare e Socialista, è a doppio filo legata all’Europa che
intorno al controllo dei migranti ha piazzato interessi e businness nell’altra sponda della frontiera Sud (da Eni a Finmeccanica).
Il crollo del regime chiama immediatamente in causa il Vecchio
Continente delle frontiere e dei pattugliamenti di Frontex, dei
finanziamenti ai campi di detenzione e dei risarcimenti per le vecchie
mattanze coloniali. Così la Fortezza Europa trema, tremano le sue
diplomazie.
Quella della Fortezza è una definizione che, esprimendo efficacemente il
portato di violenze e barbarie che i confini europei hanno messo in
campo nella gestione dei controlli di frontiera, poco ci dice della
straordinaria potenza messa in campo dalla mobilità, della sfida
continua che preme ed attraversa in mille modi ed in mille forme i
confini.
Le mura di quella fortezza non sono mai state ferme, mai immobili, ma si
sono nel tempo proiettate all’interno delle nostre terre, nel cuore
delle nostre città e soprattutto oltre lo spazio europeo, oltre la borderline
di Schengen, fino al cuore della Libia per esempio, fino a costruire,
negli ultimi due anni, un vero e proprio sistema di pattugliamento
congiunto, di respingimenti arbitrari, di militarizzazione esterna
negoziata con il dittatore a colpi di milioni di euro provenienti
proprio dalle nostre tasche.
Ma oggi, dopo l’Egitto e la Tunisia, dopo lo Yemen, ed il Bahrein, dopo le scosse che muovono l’Iran ed il Marocco, inaspettatamente quel dittatore, il Colonnello Gheddafi, che ha saputo approfittare da vero stratega della ricerca ossessionata di un accordo sull’immigrazione da parte del Governo italiano, da spendere pubblicamente come fine dei movimenti migratori verso il nostro paese, è sull’orlo della caduta, è di fronte ad una esplosione di rabbia senza precedenti, ad un condensato di rivolte che, da Bengasi ad Al Beida pongono una istanza democratica, chiamando immediatamente in causa l’Europa ed i suoi confini.
Intorno alla Libia ruota infatti il perno delle strategie di "contenimento"
dell’immigrazione del nostro paese: la politica dei respingimenti, la
messa in mostra degli apparati militari euro-mediterranei. Non si
tratta, lo sappiamo, di un vero confronto, non solo per l’asimmetria
evidente tra i dispositivi di controllo messi in campo ed i desideri di
libertà che invece viaggiano spesso su barche fatiscenti e carrette alla
deriva, ma anche e soprattutto perché quello scontro, quello che da
ormai oltre un decennio si gioca in mezzo al Mar Mediterraneo, non ha
valore rispetto alla reale dimensione ed alle rotte vere percorse dai
migranti che raggiungono il Vecchio Continente.
Ma quella frontiera, spettacolarizzata e militarizzata, è stato il più
importante terreno politico di negoziazione sull’immigrazione, di
costruzione della figura del "clandestino"-nemico
pubblico, di evocazione, in questi anni, del pericolo invasione. Si
tratta del più grande strumento di costruzione di una idea di
cittadinanza gerarchica e stratificata che ha lavorato anche e
soprattutto all’interno dell’Europa che abitiamo.
Così mentre il Palazzo brucia quell’accordo trema, messo in scacco da migliaia di giovani che con la loro spinta per la democrazia e la libertà stanno immediatamente chiamando in causa le diplomazie europee e mondiali complici del regime e preoccupate di ripristinare la "stabilità" dei loro interessi a Tripoli, mentre anche la capitale brucia.
Guardiamo a Tripoli ma senza stare immobili. Perché in
queste settimane ciò che accade, in Maghreb ed in Libia, chiama noi
tutti direttamente in causa. Non per tifare i nostri coetanei
nord-africani, ma per raccogliere qui la loro spinta, quell’esercizio di
libertà, di auto-determinazione, di scelta sul presente e sul futuro
che hanno messo in campo. L’altra sponda del Mediterraneo ci propone una
sfida immediata.
Democrazia e trasformazione dicono in Libia. Aprendo le porte ad inedito
spazio per aggredire le costrizioni alla libertà di scelta e
circolazione anche all’interno dell’Europa.
Già iniziano a prendere forma le prime iniziative per la caduta del Colonnello.
Si apre l’occasione per tutti di essere protagonisti qui in Europa di un enorme cambiamento: welcome
.