Sherwood Festival - Beni comuni: nei conflitti al cuore dell'alternativa

Video degli interventi

21 / 6 / 2012

Oltre contraddizioni, ambiguità e ideologie, un concetto potente per lo sviluppo dei movimenti e la trasformazione possibile: il confronto con Guido Viale, Beppe Caccia, Marco Bersani, Antonio Musella e Giuliana Beltrame, coordinato da Vilma Mazza.

Più di trecento persone, nonostante la temeraria contemporaneità con la partita di qualificazione della Nazionale agli Europei, hanno partecipato lunedì 18 luglio al primo dei dibattiti previsti dal programma di Sherwood Festival, quello dedicato al tema "Beni comuni, che fare?".

Tema di straordinaria attualità, da quando questo concetto è diventato la diffusissima parola d'ordine di molteplici movimenti che, dalle realtà locali fino al livello globale, si battono intorno al controllo della proprietà e alla gestione di risorse, beni e servizi, dal territorio e l'ambiente ai saperi. 

Ma tale diffusione comporta anche il rischio della banalizzazione e dell'utilizzo strumentale. Il confronto tra gli ospiti della foresta di Sherwood ha invece consentito di approfondirne il significato e soprattutto di discutere in quali pratiche di conflitto esso possa tradursi, senza nascondersi i limiti e le contraddizioni dei diversi percorsi che, nel nostro paese, a questa parola d'ordine si richiamano. 

I beni comuni non possono essere ricondotti ad una "tabella merceologica" né possono essere definiti soltanto come quelle risorse naturali, esauribili o rinnovabili che siano, disponibili e necessarie per la vita sociale. Sono piuttosto il prodotto della comune attività umana, della cooperazione stessa, che oggi nella pienezza della sussunzione reale investe completamente la dimensione ecologica. Allo stesso modo non possono essere considerati oggetto di una neutra definizione scientifica, oppure determinati a priori attraverso il ricorso a formali categorie giuridiche, vecchie o nuove che siano. Costituiscono piuttosto il permanente campo di una contesa, in cui la definizione stessa di ciò che è comune segue necessariamente lo stabilirsi sempre mobile dei rapporti di forza sociali.

La discussione ha escluso che si possa confondere la molteplicità costitutiva dei beni comuni con la "riduzione ad Uno" del Bene Comune, singolare e maiuscolo: nozione quest'ultima che nega lo scontrarsi di ben precisi punti di vista e annacqua la consistenza di solidi interessi "di parte" in un interesse generale, corrispondente invece al punto di vista e agli interessi di classe dominanti. Un'idea che serve, in ultima istanza, a conservare lo stato di cose presente.

Viceversa la determinazione materiale e plurale dei "beni comuni", a partire dai conflitti stessi per il loro statuto proprietario e il loro controllo, può pure contribuire ad evitare che su si essi si ricostruisca una rinfrescata narrazione puramente ideologica: non porta da nessuna parte un "benicomunismo" per i nostalgici del Novecento! Se invece questa idea-forza ricorre infatti, negli ultimi anni, sempre di più tra le parole d'ordine qualificanti dei movimenti sociali reali che si battono contro le privatizzazioni e più in generale contro una gestione della crisi all'insegna dei "sacrifici", del peggioramento delle condizioni di vita e della distruzione dei diritti di tutti - da quello per l'acqua, a quelli di studenti e ricercatori per i saperi fino a quelli a difesa di territori ed ambiente - è forse perché i beni comuni possono davvero costituire il cuore della ricerca di un'alternativa, che sia di modello produttivo e di sistema sociale al tempo stesso.

La loro individuazione nel vivo dei conflitti corrisponde perciò al tentativo di costruire un orizzonte comune di cambiamento radicale dell'esistente, in cui molte e molti possano riconoscersi e per cui possano battersi. E ciò spiega perché la carica trasformativa dei movimenti "per i beni comuni" non possa diventare un punto tra gli altri di un programma elettorale, né debba essere piegata alle logiche e ai riti della rappresentanza politico-istituzionale, e così perimetrata e depotenziata. 

Piuttosto essi indicano il terreno di una pratica culturale e politica che apre nuovi spazi di democrazia diretta, di decisione condivisa intorno a ciò che è comune. Dal concetto di "commons", dalla sua storia secolare di rottura dell'ordine capitalistico, fino alla più stretta attualità nella crisi economico-finanziaria e alle vie d'uscita politiche che esso indica, la discussione ha infine affrontato i nodi che riguardano il rilancio dei movimenti, a partire da quello per l'acqua e dai mille conflitti intorno al governo del territorio e ai progetti infrastrutturali devastanti, e il rapporto tra beni comuni e la prospettiva di una radicale riconversione ecologica del modello produttivo, nella permanente relazione tra comitati, lavoratori e autonomie locali.

Di seguito i video degli interventi.

Beppe Caccia

Giudo Viale

Marco Bersani

Antonio Musella

Giuliana Beltrame