Un impoverimento soggettivo e famigliare che non ha precedenti storici, basti pensare che durante la Grande Depressione 1929-39 il PIL pro capite si ridusse in Italia del 5%.

Siamo più poveri del 10%.

Italiani: un tempo poveri ma belli, ora sempre più poveri.

di Bz
6 / 12 / 2013

Un vecchio film di Dino Risi portava un titolo che ha simboleggiato la storia del costume italiano: "Poveri ma Belli". Quei tempi sono passati, ora siamo solo più poveri del 10%. Il potere d'acquisto delle famiglie italiane è calato del 9,4% tra il 2008 e il 2012. Ma è in appena un anno che il calo si è accentuato. Tra il 2011 e il 2012 si è registrato una diminuzione del potere d’acquisto del 4,9%, oltre la metà del calo totale. Sono dati Inps.

Il bilancio redatto dall’Inps per il 2012 segnala che il 45,2% dei pensionati italiani ha un reddito inferiore ai mille euro e che nel 2012 la pubblica amministrazione ha segnato un taglio di 130mila dipendenti pubblici. Taglio dovuto all’effetto combinato del blocco dei turn over insieme ai numerosi pensionamenti.

La spesa per gli ammortizzatori sociali nel 2012 è aumentata del 19% rispetto al 2011 superando quota 22,7 miliardi, si legge nel bilancio sociale Inps. L’Istituto sottolinea che la spesa principale è quella per la disoccupazione con 13,811 miliardi, oltre due miliardi in più rispetto ai 11,684 miliardi spesi nel 2011.

Il tema è preso, oggi, in considerazione da Sergio Rizzo sul Corriere, il quale evidenzia, traducendo in vil denaro, le fredde percentuali presentate dall’INPS, la perdita di 1586€ a testa all’anno, somma che trasferita lungo  decennio preso in considerazione, quello dal 20001 al 2012, configura una perdita di ben 12.340, con un crollo del PIL pro capite del 6,5% che non ha paragone con la situazione di alcun paese europeo, neppure di quelli tra i più sgarrupati come il Portogallo dove il segno meno si è fermato al 4,1%.

Un impoverimento soggettivo e famigliare che non ha precedenti storici, basti pensare che durante la Grande Depressione 1929-39 il PIL pro capite si ridusse in Italia del 5%. Ha poco da rimbeccare ai commissari europei Letta sbandierando gli interventi prodotti dal suo Governo: la situazione economico-sociale rimane estremamente grave, tanto più ora quando le riserve delle famiglie si sono ridotte drasticamente ed alcune aree territoriali – pensiamo al su ed alle isole – il rischio povertà attanaglia il 20% dei nuclei famigliari, mentre per il 9,8% tale situazione è già conclamata. Una situazione sociale esplosiva dove il potenziale di rivolta rimane latente sotto le ceneri di sindacati, partiti ed istituzioni che non rappresentano e non sono in grado di rappresentare i bisogni reali dei cittadini.

Riportiamo qui alcuni dati dal recentissimo Rapporto annuale CENSIS

Nel 2013 le spese delle famiglie sono tornate indietro di oltre dieci anni'': lo evidenzia il Censis. Si tratta di ''un quadro preoccupante nel quale risulta ormai essenziale agire con rapidità in termini di radicale abbassamento della pressione fiscale, di incentivi ai consumi prontamente utilizzabili'' e di politiche del lavoro.

Una famiglia su quattro fa fatica a pagare tasse o bollette e il 70% è in difficoltà se deve affrontare una spesa imprevista. Lo rileva il Censis, che parla di ''fragilità'' per ''una larga parte del Paese''. L'incertezza ''ha preso il sopravvento'' sulle famiglie assumendo ''la forma della preoccupazione e dell'inquietudine''.  Nel Rapporto annuale il Censis sottolinea che il 50% delle famiglie teme di non riuscire a mantenere il proprio tenore di vita e il 52% delle famiglie sente di avere difficoltà a preservare i propri risparmi. ''Una larga parte del Paese scopre un'intima fragilità: più del 70% delle famiglie - si legge nel Rapporto - si sentirebbe in difficoltà se dovesse affrontare spese impreviste di una certa portata, come quelle mediche, il 24% ha qualche difficoltà a pagare tasse e tributi'' e il 23% le bollette.

Il 2013 si chiude con la sensazione di una dilagante incertezza sul futuro del lavoro. Il 14% dei lavoratori teme di perdere il posto. ''Sono quasi 6 milioni gli occupati che si trovano a fare i conti con situazioni di precarietà lavorativa'', ai quali si aggiungono 4,3 milioni che non trovano un'occupazione. Il crollo temuto non c'è stato, negli anni della crisi siamo sopravvissuti. Ma ora abbiamo di fronte una società più "sciapa": senza fermento, accidiosa, furba, con disabitudine al lavoro, immoralismo diffuso, crescente evasione fiscale. E siamo "malcontenti", quasi infelici, perché viviamo un grande, inatteso ampliamento delle diseguaglianze sociali. Unico "sale" sono l'imprenditoria femminile, l'iniziativa degli stranieri e la dinamicità degli italiani all'estero.

La "fuga" degli italiani all'estero non conosce soste: nell'ultimo decennio il numero di chi ha trasferito la residenza è più che raddoppiato, da 50.000 a 106.000. Ma è stato soprattutto nel 2012 che l'incremento ha visto un boom: +28,8% tra il 2011 e il 2012. Sono soprattutto giovani: il 54,1% ha meno di 35 anni.Secondo un'indagine del Censis condotta nell'ottobre 2013, pubblicata nel Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese, un milione e 130 mila famiglie ha avuto nel 2013 almeno un componente all'estero per più di tre mesi. A questo 4,4% di nuclei familiari che hanno almeno una persona all'estero si aggiunge un altro 1,4% in cui uno o più membri stanno progettando la partenza o sono in procinto di trasferirsi. Quasi la metà dei giovani che si trovano all'estero (44,8%) vive ormai stabilmente in un altro Paese; per un ulteriore 41,8% il futuro appare ancora tutto da decidere (il 24,7% non sa se restare o tornare). Il 17,1% pur trovandosi all'estero per un periodo limitato si sta però attivando per restarci. Il fatto che una quota così consistente di italiani intenda stabilirsi oltralpe è legata in gran parte alle opportunità occupazionali che contraddistinguono altri Paesi rispetto all'Italia. A fronte di un 20,4% che si trova all'estero per ragioni formative, infatti, la maggioranza (72%) ha un'occupazione mentre il 5,3% ne sta cercando attivamente una. Tra gli occupati, i più (57,1%) lavorano per aziende o organismi stranieri o internazionali, mentre vi è un 5,7% occupato presso un'impresa o struttura italiana con sedi all'estero; significativa è anche la quota di lavoratori autonomi (9,2%) che hanno un'impresa o svolgono un'attività libero-professionale.