SiAmoAfrin: il ricavato raggiunge il Rojava attraverso la Mezzaluna rossa. Grazie a tutt*

5 / 9 / 2018

La campagna SiAmoAfrin, durata dal 25 aprile al 2 giugno 2018, ha coinvolto un gran numero di collettivi, centri sociali e associazioni accanto a individui solidali, Ong nazionali e straniere, internazionalisti impegnati in Rojava nella società civile, nelle Unità di protezione popolare e nelle Unità di protezione delle donne, Ypg e Ypj. È stata un grande sforzo di solidarietà messo in piedi in pochi giorni per contribuire a far fronte all’emergenza degli sfollati e dei profughi che hanno dovuto abbandonare la città siriana e il cantone di Afrin sotto la pressione dei bombardamenti turchi e dell’invasione di miliziani islamisti. In soli 39 giorni sono stati raccolti 42.163,76 euro tra donazioni on line e vendite di kefieh e magliette, iniziative pubbliche e concerti. Non è stato soltanto uno sforzo umanitario, ma un piccolo gesto collettivo in favore di una società libera.

L’intero ricavato è stato devoluto il 21 agosto alla Mezzaluna rossa curda, la più importante ed affermata organizzazione umanitaria che operi nella Siria del nord. Perché “siamo” Afrin? Occorre ricostruire il contesto che ha reso indispensabile questa iniziativa: il 20 gennaio 2018 ventimila jihadisti di varie nazionalità, tra cui migliaia di miliziani di Al-Qaeda e un numero imprecisato di ex membri dell’Isis, sono penetrati in territorio siriano con la copertura aerea e di terra dell’esercito turco, oltre alla compiacenza della Russia e dei paesi Nato, compresa l’Italia. Era iniziata - con il silenzio dei nostri media e l’utilizzo di armi di fabbricazione italiana da parte turca - l’invasione di Afrin, una delle poche città fino ad allora pacifiche della Siria, colpevole - agli occhi del presidente turco Tayyp Erdogan - di aver scelto dal 2012, con un’insurrezione popolare, un modello di autogoverno improntato alla centralità delle donne e al pluralismo linguistico e religioso.

Cosa ancor più “grave” agli occhi del presidente turco, gli abitanti di Afrin avevano resistito in tutti questi anni agli attacchi e all’assedio dei gruppi jihadisti appoggiati dal suo governo in territorio siriano. Tantissimi giovani di Afrin, anzi, uomini e donne, avevano dato un contributo determinante alla lotta contro l’Isis in altre aree della Siria, da Serekaniye a Raqqa e a Dei El Zor (trovando spesso la morte in battaglia, come Arin Mirkan, dal cui sacrificio aveva avuto inizio la riscossa di Kobane). La gioventù rivoluzionaria e internazionalista di Afrin era divenuta esempio per i giovani di altre città siriane, ma anche turche, o curde di Turchia. La rivoluzione di Afrin non era accettabile, per il sistema di potere rappresentato da Erdogan, proprio perché incarnava un modello diverso per il Kurdistan e per la Siria, ma anche per la Turchia e per il Medio oriente.

Dopo due mesi di resistenza costata centinaia e centinaia di caduti, le istituzioni autonome di Afrin hanno deciso di evacuare la popolazione civile per permettere alle Ypj e alle Ypg di continuare la resistenza sotto forma di guerriglia (una resistenza che dura tuttora). Centinaia di migliaia di persone, tra cui bambini, donne incinte, disabili e anziani, si sono messi in marcia sotto i colpi di mortaio, verso la regione di Sheeba, a est di Afrin, dove le Ypj e le Ypg hanno istituito un nuovo fronte di difesa. Di fronte a un tale esodo, le organizzazioni umanitarie ufficiali, la comunità internazionale e le Nazioni Unite sono rimaste in silenzio. Nessun aiuto è stato fornito ai rifugiati, che hanno dovuto dormire per settimane in case e scuole abbandonate, o all’addiaccio, quando era ancora inverno, con carenza di acqua e di cibo e senza i più elementari medicinali. La maggior parte è tuttora in queste condizioni: principi di epidemia si diffondono e hanno causato il decesso di minori, i checkpoint di Assad hanno trasformato l’area in una sorta di prigione a cielo aperto, e Erdogan continua la pulizia etnico-politica del cantone occupato assegnando terreni e abitazioni ai mercenari islamisti e alle loro famiglie.

È così che il Gruppo di umana solidarietà (Gus), una Ong italiana attiva da molti anni su vari scenari internazionali e nell’ambito di diverse crisi umanitarie, in collaborazione con Hevî Foundation, una Ong impegnata a Kobane e in altre zone del Rojava, ha deciso tra marzo e aprile di mettere in piedi una campagna urgente per contribuire all’acquisto di medicinali e di altri beni di prima necessità per gli sfollati. Mille kefieh sono state acquistate in Kurdistan e distribuite in Italia in occasione di festival, iniziative di solidarietà e concerti, accanto a spille e magliette con il logo disegnato appositamente per la campagna da Zerocalcare. Diversi combattenti italiani e stranieri delle Ypg si sono spesi in prima persona per promuovere pubblicamente la campagna, compreso l’intero Tabur Enternasionalist, l‘Unità Internazionalista delle Ypg, che ha realizzato per SiAmoAfrin un video dalla Siria.

La diffusione della campagna ha reso necessaria una rendicontazione capillare dei fondi. Abbiamo comunicato al Comitato diplomatico sanitario della Siria del nord-est, al Comitato per la sanità del Cantone di Kobane (in cui una parte dei rifugiati di Afrin è stata dislocata), alla Mezzaluna rossa curda del Rojava e alla sezione italiana della stessa organizzazione il senso della nostra campagna e la cifra complessiva raccolta, che è stata girata, con un unico bonifico bancario, proprio alla Mezzaluna. Il nostro auspicio è che il materiale che verrà acquistato e distribuito da questa organizzazione possa salvare vite umane, alleviare le sofferenze di una popolazione cacciata con la violenza dalla propria terra e fornire ad essa concrete possibilità di riscatto per il prossimo futuro.

Il nostro più sentito ringraziamento va a tutte e tutti coloro che hanno donato, hanno raccolto fondi, hanno organizzato iniziative di solidarietà, suonato e cantato, cucinato, spillato birre, organizzato, disegnato grafiche e condiviso sui social network o dal vivo gli scopi e l’importanza della campagna SiAmoAfrin. È stato un esempio di iniziativa dal basso, volta a valorizzare le competenze comunicative, organizzative e creative cresciute nei network di azione politica e pensiero critico che esistono nella nostra società. Insieme, uniti, è possibile fare qualcosa di utile, e soprattutto di concreto. La solidarietà e la lotta per Afrin e per tutti i popoli della Siria non possono certo finire qui. Afrin resiste, ma continua a soffrire. Occorre costruire nuove iniziative politiche ed umanitarie per non far mancare il nostro contributo a chi in Medio oriente lotta per la difesa delle popolazioni civili e per un mondo migliore e più giusto, senza più guerre e senza più frontiere.

Comitato SiAmoAfrin Italia