Tagli alla formazione? Quella di "genere" è la prima a saltare!

Killing me Softly…..Per tre anni non sarà attivato il corso di Politiche di pari opportunità presso il dipartimento SPGI all’Università di Padova

5 / 5 / 2013

Come nella migliore tradizione, anche in materia di formazione si rispetta il clichè; i corsi di Studi di Genere, pochi ma incredibilmente attivi, vengono fatti saltare. In prima battuta in Calabria, ma la tendenza inesorabilmente colpirà anche l'Università di Padova a brevissimo, come ci spiega Alisa Del Re nell'appello che pubblichiamo.

Un po’ di storia.

Nel 2003 il Fondo sociale europeo stanziò dei fondi per le pari opportunità nel Veneto, e una parte arrivò all’Università. In una riunione dei Presidi di Facoltà dell’epoca si cominciò a dibattere su come spendere questi soldi: chi proponeva di attivare dei corsi di inglese, altri dei corsi di informatica (ovviamente con una maggioranza di donne tra i partecipanti). Facevo allora parte del Comitato Pari Opportunità dell’Università di Padova e mi precipitai (letteralmente) non invitata a quella riunione, spiegando che la cosa più utile era attivare dei corsi di Ateneo di Pari opportunità (a crediti liberi). Visto che non si sottraevano molti soldi e che in fondo l’FSE richiedeva proprio questo, il corso venne accettato e promosso. Così è nato il corso di Politiche di Pari Opportunità. Finiti i fondi FSE, il corso fu inserito nel Manifesto degli studi di Scienze Politiche, sempre a libera scelta, e fu frequentato attivamente da molti studenti e studentesse (una media di 100-150 studenti/esse l’anno, non solo di Scienze Politiche, ma anche di altre Facoltà). Nello stesso tempo venne attivato il corso Politiche sociali e politiche di pari opportunità nella UE per le lauree specialistiche (poi magistrali), sempre a libera scelta. Così veniva completato un piccolo percorso di studi di genere che spesso diventava trampolino per delle tesi di ricerca di un certo spessore. Nei due corsi il programma era vasto, spaziava dai temi della cittadinanza politica delle donne a quelli degli stereotipi di genere, dai temi delle discriminazioni sul lavoro alle molestie e al mobbing, dalle istituzioni di parità alle direttive europee, dalla violenza contro le donne e alla stupro come arma di guerra al governo del territorio da un punto di vista di genere. In mancanza di testi specifici furono adottati due manuali: uno per le lauree triennali (Del Re A., Perini L. (2009) Politiche di Pari Opportunità, Manuale per le lauree triennali, Padova, Cleup; Del Re A. (a cura di) (2008) Manuale di Pari Opportunità: per un orientamento sulle politiche di genere, Padova, Cleup). Nel 2008 venne finalmente realizzato il Centro interdipartimentale di ricerca: Studi sulle politiche di genere (CIRSPG) dentro i cui progetti di ricerca confluirono molte tesi elaborate dagli studenti del percorso di studi di genere (tra l’altro il progetto dell’Osservatorio delle elette del Veneto, che raccoglie i dati di genere dei 581 comuni del Veneto dal 1946 ai giorni nostri, visibile nel sito del CIRSPG).

Oggi i tagli imposti all’offerta formativa (formativa appunto: questo vuol dire che si vuole formare di meno?) nonché l’informatizzazione della stessa hanno ridotto questo percorso a:

1) Il corso di Politiche di pari opportunità verrà mantenuto nella laurea triennale ma attivato nel terzo anno (cioè tra tre anni) in alternativa ad un altro corso.

2) Il corso di Politiche sociali e politiche di Pari opportunità nella UE è mantenuto nelle lauree magistrali, ma attivato tra due anni e in inglese, sempre in alternativa ad un altro corso.

Il risultato? Per tre anni l’offerta formativa non riguarderà le politiche di genere nelle lauree triennali e recuperarne l’interesse dopo sarà un bel problema (tutti sanno come i corsi in alternativa- cioè a scelta, anche se non proprio libera - funzionano sul passaparola degli studenti). Nelle lauree magistrali vi sarà un corso specialistico tra due anni calato nel vuoto e per di più in inglese, cosa che io penso lo renderà appetibile solo a due o tre studenti erasmus troppo pigri per imparare l’italiano.

Prendendo spunto dal documento “Dal margine degli studi di genere: una proposta politica” firmato da molte studiose e che condivido totalmente, riporto le affermazioni: “Gli studi di genere offrono, in sostanza, delle griglie interpretative aperte e multiformi, stimolando a uno sguardo complesso e non riduttivo sull’esistente. E, ancora oltre, questo sguardo critico produce strumenti concreti di lavoro contro le discriminazioni e la violenza di genere, incluse le forme di razzismo e omo/transfobia – una ragione, questa, per cui dovrebbero essere inseriti nei curricula già a partire dalla scuola dell’obbligo. Inoltre, con un intero apparato scolastico uniformato su un’offerta che è in realtà più informativa che formativa – basata, quindi, sulla passività della/del discente – gli studi di genere rappresentano senz’altro un’eresia, poiché propongono un approccio complesso e

intersezionale, non nozionistico ma critico, non unidimensionale ma interdisciplinare. Invece, la realtà dimostra che chi è interessata/o ad acquisire o a sviluppare questi strumenti deve andare all’estero, poiché in Italia vige una sorta di censura della ricerca, della produzione teorica e del dibattito su questi temi. Sappiamo per esperienza quanto sia penalizzante, in sede di concorso o di abilitazione o anche solo di semplice partecipazione ai bandi per contratti di docenza, avere nel proprio curriculum pubblicazioni inerenti queste tematiche.

L’ostracizzazione e la cancellazione degli studi di genere, torniamo a ripetere, vanno dunque annoverate tra gli effetti del sessismo e del razzismo pervasivi e trasversali che sono dominanti in Italia”

Aggiungo che la cancellazione di questi corsi vanifica anche la ricerca che spesso viene attivata dai pochi Centri di ricerca di genere ancora presenti nelle Università italiane, in quanto una ricerca che non interagisca con la didattica, che non trovi impulsi e trasmissione di idee con il confronto con le giovani generazioni diventa puro e vuoto esercizio di stile, retorico e privo di senso in una Università che si voglia di formazione. L’importanza delle tesi e del lavoro che si fa assieme agli studenti e alle studentesse trova spesso nei Centri di ricerca di genere la collocazione ideale: mancando i primi, rischia di diventare sterile anche la ricerca stessa.

Come direttora del Centro interdipartimentale di ricerca: Studi di genere (CIRSPG) dell’Università di Padova mi associo alle preoccupazioni del Centro Interdipartimentale Women’s Studies Milly Villa dell’Università della Calabria quando dice in relazione alla chiusura di corsi di genere in quella Università (e altrove, come a Torino, per esempio) : “…Per tutto questo il Centro è particolarmente consapevole della gravità di una situazione che mette in discussione (localmente e a livello nazionale) la visibilità e la tenuta degli studi di genere, e siamo convinte/i che si possa resistere alle scelte imposte, elaborando alternative, valorizzando quello che esiste e resiste, individuando al contempo le debolezze del contesto in cui operiamo. Denunciamo quindi ogni tentativo di indebolire ulteriormente gli studi di genere, all’Università della Calabria come altrove. Come Centro ci impegneremo nel promuovere il ripristino di corsi non riattivati (a partire dalla prossima programmazione didattica), nel rafforzamento dei corsi esistenti e nell’ampliamento dell’offerta formativa su tematiche di genere in altri corsi di laurea. Siamo convinte/i che la diffusione di una prospettiva di genere negli orientamenti della didattica, della ricerca e della formazione sia uno strumento irrinunciabile contro il tentativo di dominare gli esseri umani lungo linee di ‘razza’ classe, sesso, orientamento sessuale. Pensiamo che solo creando reti di relazione tra persone e luoghi diversi possa attivarsi quella conoscenza che sostituisce il pregiudizio”.

Anch’io chiedo una ripresa del dibattito nazionale sulla situazione degli studi di genere in Italia, per avere un quadro complessivo dei punti di forza e di debolezza, e con la finalità di rinnovare una forza comune di risposta. Ma chiedo anche ai/alle colleghe/i dell’Università di Padova, agli studenti e alle studentesse, alle/ai rappresentanti delle commissioni e comitati di Pari Opportunità dell’Università e del territorio di esprimersi su questo tema, facendo presente alle autorità accademiche quanto si stia impoverendo l’offerta formativa con la cancellazioni (o posposizione tra alcuni anni) dei corsi di genere, in un momento in cui forse formare alla non discriminazione tra i sessi è compito prioritario dati i rapporti sociali esistenti.

Alisa Del Re

Direttora del CIRSPG

Università di Padova