"Cemento Arricchito", tra devastazioni e resistenze

Tav a Vicenza, una grande opera di frattura urbana e cittadina

Intervista con l'urbanista Paolo Ceccarelli.

1 / 3 / 2015

Veneto, Nord Est.

Tante “isole” nel mare della crisi. Molti “anfratti” senza controllo. E la rotta comune dei comitati territoriali. Un arcipelago tutto da (ri)scoprire. Un viaggio fra le lobby della devastazione, ma anche lungo la trincea della resistenza popolare. Una bussola inchiodata dal cemento, eppure con l’ago che cuce sempre i movimenti alternativi  alla “sussidiarietà nazionale”.

 Comincia dall’«isola del tesoro» di Vicenza, la città-Expo del civismo democratico di Variati sintonizzato con le imprese dei cannibali e l’oro delle banche, quest’avventura collettiva che accenderà i riflettori sull’intero Arcipelago.

In occasione del convegno organizzato dall'Osservatorio Urbano Territoriale abbiamo realizzato un'intervista con l'urbanista Paolo Ceccarelli. 

Vicenza si è trovata sotto l'albero di Natale un regalo che sicuramente non avrebbe voluto ricevere: il progetto preliminare del Treno ad alta velocità che rivoluziona completamente il volto della città. Sono tanti anni che nella città del Palladio si parla del Tav o Tac (alta capacità), ma nessun piano era mai andato in porto fino all'approvazione del decreto Sblocca-Italia del governo Renzi, che ha dato il via libera a tutte quelle grandi opere rimaste prima chiuse nel cassetto.

L'11 dicembre 2014, a pochi giorni dalla visita del ministro Lupi a Vicenza, lo studio di fattibilità del Tav è stato presentato per la prima volta ai consiglieri comunali, per essere votato in 30 giorni al massimo dal Consiglio comunale, garantendo così l'accesso ai 2,5 miliardi di euro previsti per la realizzazione dell'opera. Si è deciso quindi, per volere del Governo, di correre più veloci del treno stesso, riducendo la possibilità per i cittadini di interloquire con l'amministrazione comunale alle sole commissioni Territorio. Da questa fretta e dalla mancata presentazione pubblica del progetto alla cittadinanza, nasce il primo problema di metodo: la totale assenza di coinvolgimento degli abitanti in un processo partecipato. Non è stata fatta nessuna assemblea di quartiere e non c'è stato nessun modo per i vicentini di conoscere il progetto, se non leggendosi in proprio le complesse relazioni tecniche o le pagine de Il giornale di Vicenza che fornivano un'informazione a senso unico.

Se guardiamo con attenzione lo studio di fattibilità, targato Camera di Commercio e Confindustria - alla cui stesura ha partecipato l'ingegner De Stavola, finanziatore della campagna elettorale del sindaco, Achille Variati (Pd) -, comprendiamo come il problema più grande non sia il previsto quadruplicamento dei binari tra Verona e Padova, quanto le cosiddette “opere complementari” al Tav. La vecchia stazione, situata a cinque minuti dalla centralissima piazza dei Signori, dovrebbe essere chiusa in favore di due nuove stazioni: la prima, la stazione centrale dedicata ai treni veloci, sarebbe in zona Fiera, in mezzo ai capannoni e lontana dal centro. Un complesso di cemento che dovrebbe contenere negozi e supermercati sul modello della stazione di Reggio Emilia, nota per essere diventata una cattedrale nel deserto. La seconda, riservata ai treni regionali, è prevista nel quartiere di Borgo Berga, in zona Tribunale nuovo, a ridosso del fiume Bacchiglione, in un luogo ad alto rischio idrogeologico.

Fa parte del progetto preliminare anche un tunnel scavato dentro Monte Berico e situato su due livelli: uno inferiore, che dovrebbe fungere da bypass idraulico, l'altro superiore, dove far passare la auto per diminuire il traffico in città. Un vero e proprio sfregio al patrimonio artistico palladiano, alla villa Valmarana - situata sopra l'ipotetica galleria - e alla Rotonda, distante poche centinaia di metri in linea d'aria.

Il progetto preliminare prevede anche l'interramento di alcuni binari, la costruzione di nuove strade e tangenziali, ponti e rotatorie, e il passaggio di un filobus che dovrebbe collegare le due nuove stazioni, oltre ovviamente a espropri e abbattimenti di case e palazzine.

Grazie alla pressione delle associazioni, sono intervenuti - preoccupati per l'impatto di tale progetto - l'Unesco e il ministero dei Beni culturali, facendo scoppiare il caso sia sui quotidiani nazionali, che su quelli internazionali (come “The Guardian”). Anche per questo, il sindaco ha fatto marcia indietro, chiedendo ai progettisti di trovare una soluzione alternativa al tunnel.

Il Tav a Vicenza resta comunque l'ennesima grande opera che risucchia altri pezzi di un territorio già martoriato da enormi colate di cemento e drena miliardi di euro di risorse pubbliche per riempire le tasche delle solite imprese private - da Impregilo a Maltauro, famose per una lunga storia giudiziaria alle spalle. I vicentini non sono rimasti in silenzio, ma si sono mobilitati immediatamente con riunioni e assemblee anche tra Natale e Capodanno, e hanno riempito le piazze della città il 12 gennaio 2015, durante la votazione del Consiglio comunale, e il 16 gennaio (a 8 anni dal sì del governo Prodi al Dal Molin), con una fiaccolata di 500 persone sotto la pioggia battente. Nel frattempo, si stanno organizzando comitati, assemblee di quartiere e una raccolta firme per chiedere un referendum consultivo sul passaggio del Tav a Vicenza.

L'Osservatorio urbano territoriale (Out), composto da varie associazioni e comitati cittadini, ha organizzato una tre giorni a inizio febbraio per approfondire l'importanza della tutela del patrimonio culturale e del ruolo svolto dall'azione civile in questo ambito. Si è discusso dell'impatto che le grandi opere provocano sul patrimonio artistico e paesaggistico in Veneto, come nel caso vicentino. Una città che sceglie di far parte del patrimonio dell'umanità dell'Unesco deve tenere conto dell'unicità del luogo in questione, in questo caso Monte Berico, e deve pensare a un modello di sviluppo non più novecentesco, ma che guardi al futuro. Deve saper immaginare una crescita compatibile con l'enorme ricchezza culturale e artistica del territorio, preservando le risorse del paesaggio per le future generazioni.